
SUI MEDICI DI BASE SIAMO ARRIVATI ALLO SCONTRO FINALE TRA POLITICA E SINDACATI: IN BALLO C’È LA NOSTRA SALUTE – IL GOVERNO HA PARTORITO LA RIFORMA CHE TRASFORMA I DOTTORI DI FAMIGLIA DA LIBERI PROFESSIONISTI IN DIPENDENTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE. UN PASSAGGIO NECESSARIO FAR FUNZIONARE LE 1.350 CASE DELLA COMUNITÀ MESSE IN PIEDI CON I 2 MILIARDI DEL PNRR – GABANELLI: “IL PRINCIPALE SINDACATO DEI MEDICI DI FAMIGLIA, TENTA DI BLOCCARE LA RIFORMA. SE LA POLITICA SI ARRENDERÀ DI FRONTE A QUESTA OPERAZIONE DI ‘TERRORISMO PSICOLOGICO’ LE CASE DELLA COMUNITÀ RESTERANNO SCATOLE VUOTE. E I CITTADINI SI ARRANGINO…”
Estratto dell’articolo di Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il “Corriere della Sera”
MILENA GABANELLI - RIFORMA MEDICI DI FAMIGLIA
La riforma è in discussione da almeno tre mesi e ora è pronta: se approvata, i nuovi medici di famiglia diventeranno dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Il documento deve ottenere il via libera dalla Commissione Salute della Conferenza Stato-Regioni, per poi approdare sul tavolo del ministro Orazio Schillaci.
Per comprendere cosa potrebbe accadere in futuro, e le ragioni per cui oggi stiamo ancora a discutere su come rafforzare l’assistenza sul territorio, è necessario guardare al passato: da anni la Fimmg, il principale sindacato dei medici di famiglia, blocca ogni tentativo di cambiamento invitando i cittadini a fare muro. Ma perché?
Manifesti e slogan
riforma dei medici di base - dataroom
È il 13 settembre 2012, al governo c’è Mario Monti e per garantire la presenza di un medico di famiglia ogni giorno dalle 8 alle 20, il decreto Balduzzi introduce le Aggregazioni funzionali territoriali (Aft). Il decreto prevede che gruppi di dottori lavorino in squadra per assistere fino a un massimo di 30.000 abitanti, secondo modelli definiti dalle Regioni.
In questo modo, se il proprio medico di fiducia non è disponibile, il paziente può rivolgersi a un altro collega del gruppo che ha accesso alla cartella clinica.
L’obiettivo è anche quello di alleggerire i Pronto soccorso, dove ancora oggi un accesso su tre di codici bianchi e verdi è considerato inappropriato proprio perché evitabile consultando il proprio medico.
La questione non è semplice: i medici di famiglia sono liberi professionisti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale e, per rendere operativo questo sistema, è necessario modificare gli Accordi collettivi nazionali (Acn). [...]
L’11 aprile 2014 partono le trattative per il rinnovo dell’Acn con la Struttura interregionale sanitari convenzionati (Sisac), che rappresenta la parte pubblica. Il sindacato Fimmg invita subito i colleghi a esporre nelle sale d’attesa un volantino: «Sono cominciate le trattative per cambiare l’organizzazione della medicina generale per i prossimi 20 anni. Ci tieni a conservare il diritto di scegliere il tuo medico di famiglia? La Conferenza delle Regioni vuole limitarlo, potresti avere una sorpresa».
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La Sisac tiene duro: gli orari della medicina generale vanno riorganizzati per garantire una reale continuità assistenziale. Il medico di famiglia deve operare secondo le modalità stabilite dall’Asl o dal distretto, sia nell’organizzazione del lavoro sia nell’attività assistenziale. La Fimmg rivendica invece un sistema di autogoverno e proclama lo stato di agitazione della categoria: [...]
L’accordo non arriva e il 26 marzo 2015 la Fimmg alza il tiro. La minaccia è di fare scattare 15 giorni di protesta durissima, proclamare uno sciopero e tappezzare le città di manifesti. Lo slogan: «Io non vado con il primo che capita. Il mio medico lo scelgo io». Si va avanti così per anni, con trattative che riprendono e saltano, minacce, altre trattative, nuove rotture (su Corriere.it tutti gli step della protesta).
10 anni di trattative: nulla di fatto
L’Accordo collettivo nazionale 2016-2018 viene firmato solo il 20 gennaio 2022, dieci anni dopo la legge Balduzzi, e le Aggregazioni territoriali, pensate per far lavorare i medici in squadra e garantire un’assistenza continuativa, di fatto restano una scatola vuota. La Fimmg esulta: «Sono confermate la libera professione convenzionata, la scelta fiduciaria e l’autonoma organizzazione».
Vediamo cosa vuole dire «organizzazione autonoma».
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1) Il medico di famiglia può decidere di non vaccinare contro l’influenza, di farlo solo se è il suo paziente a chiederlo, oppure di chiamarlo e invitarlo a vaccinarsi (chiamata attiva). Le differenze in termini di copertura vaccinale sono enormi, e lo dimostrano i dati dell’Ats di Milano. Ogni medico di famiglia dovrebbe vaccinare gli over 65 che ha in carico, vale a dire circa 400 pazienti. A questo obiettivo si avvicina solo il 7% dei dottori che effettua chiamate attive, il 57% vaccina mediamente (da 101 a 299 pazienti), il 18% ne vaccina meno di 100, e il 18% quasi nessuno.
2) Il medico di famiglia può scegliere di lavorare da solo o in gruppo. È il motivo per cui ancora oggi ci sono differenze enormi nella gestione dell’assistenza, con una percentuale di medici in associazione che va dal 29% in Calabria all’84% in Friuli-Venezia Giulia.
3) Durante la pandemia il medico di famiglia ha potuto rifiutarsi di eseguire i tamponi.
4) Le visite possono essere prevalentemente su appuntamento.
La lezione del Covid I limiti della medicina del territorio esplodono all’arrivo della pandemia. Le Regioni sono costrette a prendere atto del fallimento: «I contratti collettivi nazionali non sono idonei ad affrontare il cambiamento in atto, anche pensando (...) alla gestione delle multi-cronicità, aumento delle fragilità, programmazione dell’assistenza domiciliare».
MILENA GABANELLI - MEDICI DI BASE
Per offrire assistenza ai cittadini tutti i giorni, dalle 8 alle 20, nascono le Case della Comunità, strutture pubbliche da costruire entro il 2026 attrezzate di punto prelievi, macchinari diagnostici per gli esami e un team multidisciplinare. Per funzionare, però, ci devono lavorare i medici di famiglia.
Il fallimento di Speranza
Nel luglio 2022 il ministro della Salute Roberto Speranza tenta un cambiamento per garantire, seppur con un rapporto di para-subordinazione, 38 ore di lavoro settimanali: 20 nei propri studi e 18 nelle Case della Comunità. Ma le nuove disposizioni, messe nero su bianco poco prima della crisi del governo Draghi, restano chiuse in un cassetto. Infatti gli accordi attuali garantiscono dalle 5 alle 15 ore negli studi, a seconda del numero di pazienti, e 6 nelle Case della Comunità.
Di nuovo proteste
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Ora le Regioni stanno lavorando alla riforma epocale: i nuovi medici di famiglia diventeranno dipendenti del Ssn e lavoreranno un po’ nei loro studi un po’ nelle Case della Comunità, senza compromettere alcun rapporto di fiducia con il paziente, mentre i medici già in servizio continueranno se lo vorranno a restare lavoratori autonomi. Riparte la protesta e scatta una mobilitazione ancora più bugiarda e capillare di dieci anni fa. Locandine appese negli studi: «Vogliamo che tu abbia sempre il tuo medico vicino a te».
Raccolta firme inviando a casa dei pazienti email dal titolo: «Proteggi il tuo medico di famiglia». Convocazione dei sindaci: «Vediamoci il 2 aprile, se diventiamo dipendenti Asl salta il sistema». Lettere ai sindaci: «Vorrei attirare la sua attenzione sulla forte preoccupazione che stiamo vivendo come categoria sul futuro della medicina generale, con il rischio di compromettere seriamente uno dei pilastri del nostro Ssn». [...]
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Pubblicità a pagamento sui giornali: «Con il passaggio alla dipendenza delle Asl il rapporto di fiducia con il tuo medico di famiglia verrebbe compromesso per sempre». Se la politica si arrenderà di fronte a questa operazione di «terrorismo psicologico» della Fimmg e alla paura di perdere voti, il finale è già scritto: le Case della Comunità, dopo averci speso 2 miliardi del Pnrr, resteranno scatole vuote. E i cittadini si arrangino.