MORIRE DI RIMORSO – IL KILLER DEL GIOIELLIERE DI PRATI AVEVA DETTO ALLA PSICOLOGA: “ADESSO CHIUDETE LA PORTA E BUTTATE LA CHIAVE” – LUDOVICO CAIAZZA SOSTENEVA DI NON SAPERE DI AVER UCCISO GIANCARLO NOCCHIA – MAGISTRATURA E DAP INDAGANO SUL SUICIDIO E SU EVENTUALI BUCHI NELLA SORVEGLIANZA
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
il funerale di giancarlo nocchia
Domenica mattina la psicologa del carcere aveva raccomandato una visita psichiatrica e il regime di «grande sorveglianza». Eppure poche ore dopo Ludovico Caiazza, 32 anni, è riuscito a creare un cappio con le lenzuola, l’ha attaccato alle sbarre della cella e si è impiccato. È il ventiquattresimo detenuto che si suicida dall’inizio dell’anno. E adesso i magistrati e il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dovranno accertare che cosa davvero sia accaduto dal momento dell’ingresso dell’uomo nel reparto «Nuovi Giunti» sino all’arrivo dei soccorsi all’uomo accusato di aver aggredito e ucciso il gioielliere Giancarlo Nocchia, nel suo negozio al quartiere Prati a Roma.
E per farlo stanno ricostruendo orari e circostanze, in modo da verificare se ci siano state omissioni da parte di chi aveva il compito di vigilare. Tenendo conto che proprio di fronte alla psicologa Caiazza si era mostrato sconvolto, sostenendo di aver saputo che l’orafo era morto solo dopo essere fuggito, e aveva detto: «Adesso chiudete la porta e buttate la chiave». Ma soprattutto anche perché ieri sera si è ucciso nello stesso reparto un ragazzo rumeno di 18 anni, Eduard Theodor Brehuescu accusato di aver assassinato lo scorso aprile il truccatore delle dive Mario Pegoretti.
L’arrivo di notte
I carabinieri del Reparto operativo di Roma che lo hanno arrestato su un treno lo accompagnano nel penitenziario alle 3,15 di domenica. L’uomo è in preda a una crisi di astinenza: lo sottopongono alle visite mediche e gli somministrano il metadone. Poi c’è l’incontro con la specialista che deve giudicare le sue condizioni mentali. I tre parametri di pericolosità sono «medio, minimo e basso», ma la raccomandazione è di tenerlo sotto controllo. Alle 10,50 Caiazza incontra l’avvocato d’ufficio. Il colloquio dura fino alle 12,20. E forse solo in quel momento l’indagato si rende conto delle conseguenze di ciò che ha fatto, del rischio che buttino la chiave, soprattutto tenendo conto dei precedenti penali, come lui stesso aveva auspicato.
Il rientro in cella
Alle 12,30 Caiazza torna in cella. Le disposizioni concordate dalla polizia penitenziaria con la direttrice del carcere Silvana Sergi sono di controllarlo ogni 30 minuti, «ma in realtà il passaggio è stato effettuato ogni quarto d’ora», spiega la stessa Sergi. Nel reparto ci sono 109 reclusi «governati» da due sorveglianti, un agente di piano e uno preposto. Secondo le relazioni di servizio compilate dopo il decesso, alle 22,45 l’agente vede il corpo che penzola accanto alla finestra. Fa scattare l’allarme, chiama i soccorsi, arrivano gli altri agenti che lo tengono per le gambe e tagliano il lenzuolo.
Dieci minuti dopo intervengono i medici del 118. Provano a rianimarlo, utilizzano anche un defribillatore. Non c’è nulla da fare. Alle 23,25 Caiazza risulta «deceduto». I sorveglianti verbalizzano, come sottolinea la direttrice, «che in realtà quando si è scoperto che si era impiccato erano trascorsi solo 7 minuti dall’ultimo controllo».
L’autolesionismo
Saranno i magistrati a dover stabilire come mai, nonostante le condizioni del recluso fossero ritenute a rischio, non si sia deciso di sorvegliarlo «a vista». E dunque a chiarire se sia stata seguita la procedura prevista in questi casi, ma anche se fosse sufficiente il numero di agenti in servizio. Certamente il suicidio di Caiazza riporta in primo piano un’emergenza che il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, ma anche Radicali e associazioni che operano all’interno dei penitenziari denunciano da anni e che riguarda proprio le condizioni di vivibilità in alcuni casi disumane, dovute anche alle carenze di investimenti.
Nel 2014 ci sono stati «43 suicidi, 6.919 atti di autolesionismo, 966 i ferimenti e 3.575 le colluttazioni». A volte, denuncia il segretario del Sappe Donato Capece, «basterebbe davvero poco, come usare lenzuola di carta per chi arriva in condizioni alterate».