"FICO" SECCO - "THE GUARDIAN" FA IL CONTROPELO AL NUOVO EATALY DI BOLOGNA: "SE MIRA A CELEBRARE LA CULTURA DEL CIBO TRICOLORE LO STA FACENDO IN MODO MOLTO POCO ITALIANO. MOLTI FANNO FATICA A TROVARE UN SENSO A UN PROGETTO IN APERTO CONTRASTO CON IL FASCINO DELLA GASTRONOMIA TRADIZIONALE" - IL MAL DI PANCIA DEI COMMERCIANTI: "È COME IKEA, NON HA NENTE A CHE FARE CON LA CITTÀ"
Inaugurata da Paolo Gentiloni il 15 novembre scorso, il nuovo “Fico-Eataly World” di Bologna sarà il più grande parlo agro-alimentare al mondo, e promette ai suoi visitatori “la scoperta di tutte le meraviglie della biodiversità italiana sotto un unico tetto di 10,000 metri quadri." Ad ogni modo, molti fanno fatica a trovare un senso in un progetto che si pone in aperto contrasto col fascino tradizionale della nostra gastronomia – il piacere dei mercati serpeggianti nelle piazze rinascimentali, o gli assaggi dai produttori in cima ai paesini di collina.
Entrare da Eataly è un po’ come andare dentro un megamarket in stile americano, un “Wholefoods” a steroidi. Il luogo un tempo fungeva da mercato all’ingrosso oggi ospita al suo interno 45 catene di ristoranti, che secondo la Fico "sono uniti dalla passione per l’eccellenza e dal ruolo che svolgono nel produrre e promuovere il meglio del cibo e del vino italiano." Le cucine dei ristoranti sono visibili dai rivestimenti a pannelli di vetro, e ogni giorno organizzano diverse lezioni per educare il consumatore alla produzione del cibo, che sia William di Carlo che spiega come fare le mandorle caramellate in Abruzzo o l’Olio Roi che spiega come pressa le sue olive a freddo usando il loro frantoio a pietra.
Ci sono una moltitudine di negozietti che vendono prodotti italiani e attrezzature per la cucina; sei padiglioni pedagogici sperimentali; diverse aule; aree di gioco sportive sparse per tutto il posto; c’è anche un cinema e un centro Congressi da mille persone. Tutto è circondato da uno spazio aperto incontaminato, con diversi ettari a disposizione di animali da fattoria e le coltivazioni.
L’organizzazione dietro a Eataly, la Fico - Fabbrica Italiana Contadina – è il risultato di una collaborazione tra il sindaco di Bologna Virginio Merola e Oscar Farinetti, la mente dietro al rinomato marchio di successo Eataly, tanto conosciuto in Asia e in America quanto in Italia. Il defunto mercato all’ingrosso, conosciuto come CAAB (Centro Agro Alimentare Bologna) è stato donato dal pubblico e Farinetti, insieme alla Coop e altri investitori privati che hanno finanziato la sua trasformazione nel nuovo Fico Eataly World.
Ci sono voluti quattro anni per completare il progetto e un totale di 120 milioni di euro in investimenti, coinvolgendo oltre 150 aziende, e creando 3.000 posti di lavoro. Se tutto va secondo i piani, la Fico stima circa sei milioni di visitatori l’anno, che rappresenteranno un forte incremento del turismo per l’intera zona.
È facile perdere il senso dello spazio e dello scopo nei suoi luccicanti corridoi. Da una parte, il nuovo Eataly può essere giustamente lodato come un centro interattivo e educativo. C’è un’offerta eccezionale di produttori, che offrono classi, sia per adulti sia per bambini, sulla storia e la produzione del cibo “dal campo alla forchetta” per 20€. I “Caroselli ambientali” raccontano in maniera innovativa la relazione tra uomo e natura e l’importanza del mangiar bene, utilizzando un approccio hi-tech all’insegnamento – touch screen, ologrammi e strumenti multimediali interattivi. Inoltre, col sostegno di quattro università, la Fondazione Fico per l’Educazione Alimentare e alla Sostenibilità si è posta l’obiettivo di essere all’avanguardia della ricerca per la sostenibilità alimentare.
Dall’altra, la quantità di catene di ristorazione e di bar fortemente marketizzati, e il modo in cui i visitatori vengono direzionati tra le varie aree come dentro a un aeroporto, sottolinea la cultura del consumo di massa che sta dietro all’intero progetto. Fico soddisfa ogni gusto e ogni tasca, dal ristorante più costoso in assoluto “Amerigo”, una trattoria stellata Michelin con una lunga storia sulle colline bolognesi, a “Il Barbecue”, un chiosco di strada che offre panini a 5€.
Carlo Facchini, un dipendente dello storico negozio d’alimentari Amedeo Ceccarelli, noto per i suoi prodotti provenienti dall’Emilia Romagna, ha lavorato nelle salumerie bolognesi per oltre 40 anni e ha meglio sintetizzato il sentimento generale della popolazione locale: “Eataly non ha niente a che vedere con la città di Bologna. È come Ikea – un outlet di periferia dove puoi andare durante un giorno libero.” Le voci di strada dicono che i tour operator offriranno un giorno sia da Eataly sia nella città, ma Carlo sostiene che il mercato può fare volentieri a meno di questo tipo di clientela. E ha ragione: le dimensioni di Eataly e la sua posizione fuori città, attrarrà un genere di consumatori diverso da quelli che incontra al suo bancone. Come molti commercianti del Mercato di Mezzo, Carlo è scettico riguardo alla reale materializzazione di quei 10,000 clienti in più giornalieri.
C’è una tensione tra il vecchio e il nuovo, laddove le usanze tradizionali vengono esibite dentro a uno spazio che sembrano essergli incongruenti. Prima di lasciare il parco, mi sono presa un caffè espresso perché – proprio come da Ikea – il mio corpo era assalito da un sovraccarico sensoriale. Una ragazza alla cassa mi ha giustamente fatto notare che anche se Eataly mira a celebrare la storia e la cultura del cibo italiano “lo sta facendo in maniera molto poco italiana” facendo apparire più una visione distopica del futuro che un reale omaggio all’eredità culinaria dell’Italia.
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