VOODOO CAPITALE - TRUFFA ESOTERICA AL RE ROMANO DELLE CALZATURE: 326 MILA EURO ALLA FINTA MAGA CHE CHE ORA SI RITROVA IMPUTATA PER “CIRCONVENZIONE DI INCAPACE” PER AVER "ABUSATO DELLO STATO DI DEFICIENZA PSICHICA DELL'UOMO"
Marco Carta per Il Messaggero
Aveva trovato due terrificanti bamboline voodoo dentro casa. Pensava di essere finito al centro di un rito satanico e che le sue pessime condizioni di salute fossero la conseguenza di un malocchio. Invece qualcuno si stava prendendo gioco di lui, approfittando della sua debolezza mentale.
E' così che Giuseppe Caccetta, titolare del celebre calzaturificio di via Piave, bottega storica amata anche da Alberto Sordi e dalla principessa Carolina di Monaco, negli ultimi anni della sua vita, si è ritrovato al centro di un vero e proprio inganno.
Raggirato dalla donna che gli aveva garantito un aiuto contro le forze del male, la maga libanese Ben Amer Hanna, nata a Tripoli nel 1969, che ora si ritrova imputata per circonvenzione di incapace per aver «abusato dello stato di infermità o comunque di deficienza psichica» dell'uomo, inducendolo a «corrispondere somme di denaro in contante, assegni bancari e diversi oggetti di valore».
LA STORIA
Una passione per la cartomanzia e il mondo dell'esoterico. Aveva 76 anni Giuseppe Caccetta quando, nell'estate del 2009, conosce Hanna Ben Amer, in un elegante ufficio ai Parioli. A metterli in contatto è stata la sua cartomante di fiducia. «Forse ti posso aiutare» gli dice subito la Ben Amer, che pochi giorni dopo si presenta a casa sua e in negozio per un giro di «perlustrazione».
In entrambi i posti, dopo essersi arrampicata su una scala, la donna vede comparire le due misteriose bambole voodoo, la cui maledizione, secondo la «maga», si sarebbe abbattuta su di Caccetta e i suoi famigliari.
«Quelle bambole sono qui da tempo. Devi fare presto». Caccetta ha paura. E' fortemente indebolito dalle sue precarie condizioni di salute, i farmaci che è costretto a prendere incidono anche sul suo stato d'animo e così decide, in preda all'ansia, di affidarsi alla «cure» di Ben Amer.
E sin da subito partono le richieste di denaro, con cui la donna avrebbe dovuto comprare delle speciali erbe per togliere le influenze negative, considerate necessarie per le pratiche magiche con cui avrebbe salvato l'uomo dalla condanna a morte.
L'assoggettazione di Caccetta, che arriva a vendere una collezione di quadri per sostenere le spese, è totale, tanto che in una parte della casa, inaccessibile a tutti, l'uomo realizza un santuario, con un piccolo altare e un cerchio di candele, dove la Amer faceva i riti per liberarlo dagli influssi maligni.
I CONTI IN ROSSO
A scoprire l'inganno è la figlia Margherita, che lo scorso venerdì, difesa dall'avvocato Giovanna Guzzo, ha testimoniato come parte offesa nel processo contro la megera libica. Quando infatti la donna il 17 giugno del 2010 va a trovare il padre, costretto a letto, trova la Amer che voleva dall'uomo un assegno in bianco.
«Nonostante mio padre mi chiedesse di allontanarmi dalla stanza rimasi a guardare la scena». In poco tempo i famigliari di Caccetta ritrovano i conti del padre quasi prosciugati da «almeno 50 movimenti bancari» sospetti e circa 326mila euro fra prelievi e assegni in bianco o a persone sconosciute tra il novembre del 2009 e il 2011.
Per ripianare i debiti sono anche costretti a vendere un immobile. «La stragrande maggioranza delle movimentazioni risalgono a periodi di degenza in ospedale». Come, quando nell'aprile del 2010, Caccetta, ricoverato in una clinica, chiede alla sua segretaria di prelevare e consegnargli 17mila euro in contanti. Soldi, di cui l'uomo non aveva alcuna necessità. E che, come tutti gli altri, si sono persi nel nulla. Questa sì una magia.