LA VERSIONE DI MUGHINI – “PER NIENTE AFFATTO IL FASCISMO È STATO UNA OPZIONE CONTRO LA CULTURA, IL MERO TRIONFO DI UN’ACCOZZAGLIA DI DELINQUENTI CHE SEPPERO USARE A MERAVIGLIA MANGANELLO E OLIO DI RICINO. NON NE SAI NULLA DEGLI UOMINI E DELL’ARTE ITALIANA NEGLI ANNI VENTI SE AL CENTRO DI QUELLE VICENDE NON CI METTI IL SALOTTO MILANESE DOVE MARGHERITA SARFATTI, L’INTELLETTUALE EBREA MA ANCHE L’AMANTE DI BENITO MUSSOLINI, ACCOGLIEVA IL FIOR FIORE DEGLI ARTISTI ITALIANI DEL MOMENTO…”
Giampiero Mughini per Dagospia
giampiero mughini casa museo muggenheim
In campagna elettorale si sono fatti numerosi sui nostri giornali i riferimenti a quanto siano ridicoli coloro che a tutt’oggi si manifestano in Italia come neofascisti, gente che magari mette assieme quattro ciondoli a farne una sorta di museo dedicato al ventennio e al Duce, museo che loro portano bellamente in giro. Meglio ancora se qualcuna di queste macchiette fa parte della truppa di Giorgia Meloni.
Gli articoli di cui ho detto si ergono allora a far da monito contro la sua più che probabile vittoria politica, e serve a niente ricordare per la millesima volta che il fascismo italiano ha chiuso il suo destino il 2 maggio 1945 quando i mitra crepitarono contro gli uomini in piedi innanzi al muretto di Dongo, e fra quegli uomini c’era uno dei fondatori del Partito comunista d’Italia. Fine del fascismo. Morto e sepolto. 77 anni fa.
Laddove indicare al pubblico ludibrio odierni pagliacci e pagliacciate non ci aiuta certo a capirlo quel dannato ventennio, una tragedia drammaticamente seria che è rimasta come impressa sulla carne della nostra storia recente. Dobbiamo fare i conti con il fatto che il fascismo è stato purtroppo un’opzione politica tra quelle possibili nell’Europa martoriata dai quattro anni di massacri che era durata la Prima guerra mondiale. Per niente affatto il fascismo è stato una opzione contro la cultura, il mero trionfo di un’accozzaglia di delinquenti che seppero usare a meraviglia manganello e olio di ricino, e bensì una delle possibilità anche culturali offerte al terrificante garbuglio rappresentato dalla scena europea di quegli anni.
E tanto per dire di alcuni dei protagonisti dell’avventura vincente del fascismo, Giovanni Gentile, Filippo Tommaso Marinetti, Mario Sironi, Giuseppe Terragni, Margherita Sarfatti furono o non furono fra i protagonisti della cultura italiana del Novecento? Ecco, la Sarfatti (nata nel 1880, morta nel 1961), l’intellettuale ebrea ma anche l’amante di Benito Mussolini che ha un posto di rilievo nelle vicende artistiche italiane degli anni Venti e alla quale ha appena dedicato un libro (“Novecento”, Altaforte edizioni) Claudio Siniscalchi, uno che sa mettere assieme lo spessore della ricerca universitaria e il cipiglio scalpitante dell’intellettuale militante.
sarfatti ph ghitta carell coll gaetani 4
Non ne sai nulla degli uomini e delle vicende dell’arte italiana negli anni Venti se al centro di quelle vicende non ci metti il salotto milanese dove la Sarfatti accoglieva il fior fiore degli artisti italiani del momento. A Sasso di Asiago ho montato i gradini del cippo in memoria di Roberto Sarfatti, il figlio non ancora diciottenne di Margherita caduto da volontario della Prima guerra mondiale, il cippo che Giuseppe Terragni realizzò nel 1935 su commissione della madre.
Ebbene è lei, Margherita, che sollecitata da Giuseppe Prezzolini pubblica nel 1925 una biografia del Duce che ha per titolo “Dux”, dal titolo del volto in bronzo di Mussolini che Rodolfo Wildt aveva scolpito nel 1923 in occasione del primo anniversario della Marcia su Roma. In uno dei suoi libri Prezzolini racconta che aveva mandato a Mussolini le bozze del libro, sulle quali il Duce apportò minime correzioni. Una delle quali riguardava un riferimento velenosetto che la Sarfatti aveva fatto di Angelica Balabanoff, un’altra delle amanti del primo Mussolini, di cui la Sarfatti scriveva che aveva le ”gambe storte”. Un particolare che Mussolini cassò pur nel conservare il riferimento al suo rapporto con la Balabanoff.
margherita sarfatti derain wildt mart fondo sarfatti
Nel suo libro Prezzolini si maledice per non averle conservate quelle bozze e relative correzioni, da cui avrebbe ricavato fior di quattrini se le avesse messe all’asta. In Italia il libro della Sarfatti arrivò a vendere in Italia un milione e 500mila copie. Vendute a 5 dollari la copia, e cioè tre volte il costo dell’edizione italiana, in America di copie ne vendetta la bellezza di 500mila. E’ molto semplice. In quel torno ai anni a cavallo tra i due decenni, il Duce era uno dei leader politici più apprezzati al mondo, e non solo da Winston Churchill.
luigi siciliani tra benito mussolini e margherita sarfatti
Anche questa una cosa con cui fare i conti, a meno di non essere dei babbei che la storia se la immaginano come vorrebbero che fosse stata e non come è stata veramente. Tra parentesi il llibro della Sarfatti non lho mai letto. Appartengo a una generazione che la biografia di Mussolini l’ha studiata nei sette o sette tomoni che le ha dedicato Renzo De Felice e adesso nei due tomi di Antonio Scurati, di cui ho già prenotato il terzo che esce a giorni, quello dedicato ai due anni 1938-1940 in cui tutto della politica di Mussolini va a picco. Solo che anche lì non sono pagliacciate e bensì il punto di approdo di una tragedia.
antonio scurati m, gli ultimi giorni dell europa
Ps. Dimenticavo. Nel 1938, all’avvento delle leggi razziali, il libro dell’ebrea Sarfatti (che nel frattempo se n’era andata negli Usa) venne ritirato dalla circolazione.
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