DAGOREPORT – ANGELA MERKEL NON CE LA RACCONTA TUTTA QUANDO DICE DI NON AVER AVUTO UN RUOLO NELLA CADUTA DEL GOVERNO BERLUSCONI NEL 2011 - NON È STATA LEI A CALARE LA MANNAIA (CI PENSÒ IL DUO FRANCESE SARKOZY-TRICHET CON LA FAMOSA LETTERINA DELLA BCE, CONDITA DI DIKTAT AL GOVERNO ITALIANO), MA NON MOSSE UN DITO PER IMPEDIRLO. ANZI, LE SUE RISATINE DI DILEGGIO AL CAV, CONDIVISE CON SARKO’ A MARGINE DI UN CONSIGLIO EUROPEO, FURONO IL COLPO DI GRAZIA…
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La vecchiaia, si sa, appanna anche le menti più lucide, e i ricordi tendono a confondersi fino a mutare forma. È capitato anche alla 70enne Angela Merkel, che ha dato alle stampe la sua autobiografia, intitolata “Libertà”, a cui ha lavorato alacremente negli ultimi due anni.
In uno dei passaggi del libro, l’ex cancelliera tedesca torna sui fatti del 2011 che travolsero l’allora governo Berlusconi e alla nascita del Governo Monti.
Frau Angela smentisce di aver messo lo zampone sulla politica italiana, e ha ribadito, in un’intervista al “Corriere della Sera”: “Non ho chiesto io la sua testa. Con Silvio Berlusconi ho lavorato più amichevolmente di quanto molti pensavano”.
Parole, queste, che descrivono una mezza verità. Perché se la Merkel non calò la ghigliottina direttamente sul capoccione del Cav, non mosse un dito per impedirne la decapitazione.
Per capire il contesto, bisogna fare un piccolo salto nel tempo.
Correva l’anno 2011, Berlusconi era impegnatissimo a sollazzarsi tra cene eleganti e bunga bunga, dormiva poco di notte e si assopiva spesso di giorno, durante i vertici importanti. Sonnecchiava durante il Consiglio dei ministri, che ormai non controllava più, e crollava durante i vertici internazionale, stremato dalle performance notturne.
I conti pubblici italiani, già provati dagli scossoni della crisi dei mutui sub-prime del 2008, erano in grande affanno e al Mef siedeva Giulio Tremonti, contrario ai tagli delle tasse e alle misure di finanza allegra sognate dal premier.
L’intransigenza del tributarista di Sondrio destò più di un malumore fino a diventare una spina nel fianco per i Berluscones: al punto da essere poi descritta, da Renato Brunetta, nel saggio “Berlusconi deve cadere. Cronaca di un complotto”, come una smisurata ambizione di prendere il posto di Berlusconi a Palazzo Chigi, con la complicità dell’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
A questa tormentata fase domestica, si aggiungeva il complesso scenario internazionale di cui Berlusconi era una pedina chiave: da un lato, per i suoi speciali rapporti con Gheddafi, a cui Francia e Stati Uniti mossero guerra proprio a marzo del 2011 (intervento militare a cui il Cav tentò in tutti i modi di opporsi), dall’altro per la sua personale amicizia con Vladimir Putin, da sempre vista con sospetto a Washington.
Anche la stessa Merkel aveva ottimi rapporti con lo zar del Cremlino, ma si trattava di intese politico-industriali, che portò a risultati come il gasdotto Nord Stream, non di rapporti privati e “familiari” come quelli coltivati da "Sua Emittenza".
In questo contesto, a calare la scure sul Governo Berlusconi fu il tandem francese Sarkozy-Trichet. L’antipatia dell'ex inquilino dell'Eliseo era nota, essendo lui e Silvio ontologicamente agli opposti, e esacerbata dal sarcasmo con cui Berlusconi parlava di Sarkò, liquidandolo con l’espressione “è stato il mio avvocato”, con riferimento agli anni ’80, quando il francese assunse il ruolo di legale della Fininvest nella causa contro “La Cinq”.
E se Sarkozy aveva lanciato la sua fatwa, l‘esecutore materiale del “Silvicidio” fu l’allora Governatore della BCE, Jean-Claude Trichet. Fu lui, con il sostegno dell’intero board della Banca Centrale europea, tra cui figurava anche Mario Draghi, a vergare la famosa letterina del 5 agosto 2011, in cui si chiedevano al Governo italiano misure draconiane di risanamento economico, pena lo stop al sostegno europeo all’Italia.
Lo spread schizzò alle stelle (il differenziale tra i Btp e il Bund tedesco arrivò a 574 punti), gli speculatori si lanciarono famelici in una corsa a vendere i titoli italiani, e Berlusconi non poté più resistere: il 9 novembre 2011 il presidente del Consiglio salì al Colle a rassegnare le dimissioni.
angela merkel e nicolas sarkozy ridono di silvio belrusconi
Che fece Angela Merkel per impedire che gli eventi degenerassero, fino a scuotere fin nelle fondamenta il Sistema-Italia? Niente, a parte quella celebre e indecorosa conferenza stampa, a margine del Consiglio europeo del 21 ottobre 2011, in cui la Cancelliera e il Presidente francese sghignazzarono davanti ai giornalisti quando fu chiesto loro se avessero avuto ancora fiducia nell'Italia e in Berlusconi. Non sarà stata un’ingerenza, ma fu un chiodo sulla bara del Governo italiano...
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ANGELA MERKEL: “NON CHIESI IO LA TESTA DI BERLUSCONI”
Estratto dell’articolo di Mara Gergolet e Paolo Valentino per il “Corriere della Sera”
[…] Il «Wall Street Journal» scrisse che lei ha avuto una parte nella caduta di Silvio Berlusconi, il quale si rifiutava di fare le riforme per fermare la speculazione sull’euro e ridurre gli spread. In particolare, lei avrebbe sollecitato un cambio di governo a Roma durante una telefonata con Giorgio Napolitano. Frau Merkel, lei ha chiesto la testa di Silvio Berlusconi?
«No, smentisco categoricamente. Non mi sono mai immischiata negli affari interni di un Paese amico. E di questa variante non avevo mai sentito parlare. È stato anche detto che una conferenza stampa di Nicolas Sarkozy e mia (Consiglio europeo di Bruxelles 2011 n.d.r.) avrebbe contribuito alla caduta di Berlusconi.
Non lo credo. Non è assolutamente possibile che un capo di governo straniero causi la caduta di un altro. Questo ha sempre a che fare con i fatti interni di un Paese».
In sedici anni, lei ha conosciuto otto capi di governo italiani: Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi. Ci può descrivere brevemente i rapporti con loro?
SARKOZY E MERKEL RIDONO DI BERLUSCONI
«Prodi è stato il primo, per breve tempo. Lo avevo conosciuto quando era presidente della Commissione europea. Mi aveva colpito che spingesse con entusiasmo per l’ampliamento a Est dell’Unione. Citava volentieri Helmut Kohl: “La Storia è la Storia”. Così motivava la posizione che tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale entrassero allo stesso momento.
Con Silvio Berlusconi ho lavorato più amichevolmente di quanto molti pensavano. Si adoperava sempre per raggiungere comuni compromessi europei. Questo l’ho apprezzato. Durante la crisi dell’euro la cooperazione con lui si è fatta più difficile. Mario Monti lo conoscevo e lo stimavo da quando era commissario Ue alla concorrenza. Era da un lato affascinato dalla Germania, dall’altro sempre in guardia, e a ragione, perché a causa della sua forte economia non avesse un ruolo speciale. È stata la sua idea fissa da capo del governo durante la crisi monetaria».
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