AMORE FILIALE - CI VUOLE UNA LEGGE IN CINA PER ONORARE IL PADRE E LA MADRE
Guido Santevecchi per il "Corriere della Sera"
Si può imporre la «pietà filiale» per legge? Se si crede agli articoli della normativa cinese entrata in vigore ieri sì. Il titolo è «Protezione dei diritti e degli interessi degli anziani», che nella Repubblica popolare ora sono 185 milioni, il 13,7 per cento della popolazione.
Il nuovo pacchetto di norme introduce l'obbligo per i figli grandi di visitare il padre e la madre «più spesso» e addirittura concede ai lavoratori 20 giorni di permesso per andare a trovare i vecchi genitori che vivono molto lontani. Segue una serie di divieti, dall'abbandono agli insulti, fino agli atti di violenza domestica. Ma questo dovrebbe essere scontato e già previsto nel codice penale.
La presentazione della legge sui giornali ha aperto anche una discussione nell'immenso popolo della Rete (si calcola che Sina Weibo, il Twitter locale, abbia mezzo miliardo di utenti). «L'intenzione sembra buona, ma il metodo è sbagliato. Non si può regolare una questione morale per legge». Chiedersi fino a dove si può spingere lo Stato in questioni di famiglia sembra un dibattito da socialdemocrazia europea e già questo non è male.
Ma altri (molti altri) hanno fatto notare come negli articoli della legge manchino le sanzioni in caso di non rispetto degli obblighi da parte di figli e datori di lavoro. Che succede se il capoufficio boccia la richiesta di andare a casa per venti giorni a trovare i genitori ultrasessantenni? E poi che vuol dire «visitare più spesso»?
Uno degli estensori della legge per la protezione degli anziani genitori, il professor Xiao Jinming della Shandong University, si giustifica: «à soprattutto un modo per sottolineare il diritto dei nostri anziani a chiedere sostegno emotivo, noi vogliamo enfatizzare questa esigenza».
Un blogger riassume così i suoi dubbi: «La pietà filiale dovrebbe essere naturale. Questa legge svela la tragedia della nostra generazione». Noi siamo abituati a pensare alla Cina come a una «società confuciana», nella quale il rispetto degli anziani fa parte della cultura popolare, da secoli.
Com'è possibile che ci sia invece un disagio tale da spingere i legislatori ad intervenire? La crisi è un altro prodotto dell'industrializzazione accelerata: trent'anni di crescita e di «aperture al mercato» hanno minato la famiglia cinese. Si cambia città per lavorare in fabbriche e uffici, lasciandosi i «vecchi» indietro. Molti giovani, guardando a tutto quello che è stato costruito sotto i loro occhi nelle megalopoli non riconoscono più meriti a nonni e genitori. E poi, nella seconda economia del mondo, non esiste un sistema di welfare come in Occidente.
Questo problema di mancata assistenza sarà enorme in pochi decenni: gli ultrasessantenni, oggi 185 milioni, diventeranno 487 milioni nel 2053, il 35% della popolazione, secondo le proiezioni della Commissione governativa sull'invecchiamento.
Con saggezza, Wang Yi, 57 anni, che fa la donna delle pulizie in città e ha due figli a centinaia di chilometri, dice: «Questa legge? Meglio che niente. I ragazzi io li vedo una volta l'anno, due sarebbe meglio... noi cinesi alleviamo i figli perché si prendano cura di noi quando diventiamo vecchi».
Non c'è solo la nuova legge che cerca di arginare il disagio. L'Associazione nazionale per gli anziani, che dipende dal ministero Affari civili, ha diffuso 24 «consigli» tra i quali: portare anche moglie e figli a trovare suoceri e nonni; ricordarsi dei loro compleanni e festeggiarli; telefonare. Cose normalissime.
Ma nell'elenco ci sono anche suggerimenti che fanno riflettere, come: ascoltare con attenzione i racconti dei genitori, insegnare loro l'uso di Internet, andare insieme al cinema. E ancora, appoggiarli se restano vedovi e decidono di risposarsi, parlare di cose profonde. In mezzo ai 24 punti ce n'è uno per niente scontato (anche nella nostra società del welfare state): «Ricordatevi di dire loro che li amate».
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