A UN ANNO DALLA MORTE DI MATTIA TORRE, LA LETTERA DI VALERIO MASTANDREA: ''AMICO MIO, NEL RESTO DELLA MIA VITA IO E TE TROVEREMO IL MODO DI DIRCI LE MILIONI DI COSE CHE AVREMMO DA DIRE, NELL’UNICO MODO POSSIBILE…'' - LO SPECIALE DI SKY (ON DEMAND E SU NOWTV), I SUOI FILM E LE SUE OPERE - VIDEO: CATERINA GUZZANTI LEGGE UNO DEI SUOI SMS - VIDEO: GEPPI CUCCIARI E IL MONOLOGO SUL CICLO FEMMINILE, ''DICEVANO 'MA SEMBRA SCRITTO DA UNA DONNA', E IO MI SENTO COSÌ COINVOLTA CHE OGGI MI È VENUTO IL CICLO''
Geppi Cucciari ha ricordato il regista e sceneggiatore #MattiaTorre scomparso un anno fa, con cui ha collaborato per il monologo "Perfetta"
"Quel suo modo garbato di occuparsi del mio cuore, io non me lo dimenticherò mai" Leggete di più ? https://t.co/8jdEAtNoC9 pic.twitter.com/DKzF7x3tmV
— Sky tg24 (@SkyTG24) July 19, 2020
UNO SPECIALE SU SKY E NOWTV PER RICORDARE MATTIA TORRE
Gianmaria Tammaro per www.lastampa.it
Dice Valerio Mastandrea che Mattia Torre coincideva, letteralmente, con quello che faceva: «Non era uno che si sdoppiava, con due sguardi diversi, tra vita e lavoro. Era uno così: intero». E «Figli», l’ultimo film che ha scritto, l’ultimo film che avrebbe dovuto dirigere, è nato come una cosa di tutti, una cosa da proteggere e condividere. Un anno fa, Mattia c’era, era pronto, voleva girare. Poi, però, è morto. E oggi restano i racconti e i ricordi (su Sky Cinema Uno e su NowTv, uno speciale condotto da Francesco Castelnuovo e disponibile on demand); restano le cose che ha scritto e che ha immaginato; resta il suo sguardo – uno sguardo, come lo definisce Mastandrea, totale, vero, personale.
Mattia era e non era, contemporaneamente. Era scrittore e regista insieme. Metteva ordine alle parole, mentre riempiva il mondo di bianchi e di sospensioni, come in teatro, dando una profondità ulteriore non al racconto, ma alla coscienza dei suoi personaggi. In ogni storia che ha scritto, in ogni ruolo a cui ha dato forma insieme con i suoi attori, resiste un po’ di lui. La sua vita, le sue opere, la sua ironia sottile e ficcante, che a volte scavava lentamente, a volte più velocemente; e la sua malinconia, la sua ansia, la sua apprensione.
«Figli» era nato prima come un articolo per il Foglio, nella rubrica di Annalena Benini, e poi era diventato un monologo recitato da Mastandrea. Solo alla fine, come un bambino che muove i primi passi nel mondo, che comincia a sillabare mamma e papà, era diventato un film. Mattia aveva deciso di mettere insieme volti e voci, di dare uno spessore a quello che significa essere genitori.
Nei libri di Mattia, ci sono la sua anima e la sua coscienza. «In mezzo al mare» è travolgente, divertente, assurdo, pieno di quella comicità detonante che finisce per coincidere – anche se per poco, anche se confusamente – con tutto ciò che esiste, che è. Una battuta è un’esagerazione, certo: ma è pure un altro modo per dire la verità. E Mattia, la verità, la diceva spesso.
Ne «La linea verticale», serie e libro, pagine e immagini, ha raccontato la sua storia, la sua malattia, come si è sentito andando in ospedale, e come ha scoperto in un reparto un altro mondo, un’altra dimensione, qualcosa che non sospettava potesse esserci, qualcosa che, a suo modo, con le sue regole, i suoi equilibri, le sue storture, gli era apparso come un universo a sé, a parte, lontanissimo e allo stesso tempo vicinissimo. Materiale e immateriale. Un sogno ad occhi aperti. Un’eccezione.
E quando parlava delle sue storie, quando si finiva sempre a «Boris», alla scintilla della creatività, dell’intuizione, di come fare cosa, Mattia non aveva ricette; non si metteva ad elencare metodi e mezzi; partiva da quello che vedeva e da quello che sentiva, come un capitano di ventura alla scoperta del Nuovo Mondo. La commedia, diceva, non è solo una cosa serissima: «È una cosa sacra». E come tutte le cose sacre, anche la commedia ha bisogno dei suoi tempi, delle sue liturgie, delle sue sfumature.
Ne «La linea verticale» è più trattenuta, più sottile, colma di detti e non-detti; in «Boris» è oceanica e devastante, farcita di ombre, di esagerazioni, di sottolineature così lampanti, così estreme, da sembrare troppo, da suonare eccessiva. In «456», poi, diventa macabra: c’è l’oscuro, c’è la paura che si tramuta in risata a denti stretti, che va anche più in là di “Boris”, che non si limita più a giocare con le sfumature, ma che vuole scuotere ogni cosa: lo spettatore, la realtà, la scrittura stessa.
Mattia sperimentava come uno scienziato nel suo laboratorio o un pittore davanti a una tela bianca. Aveva le sue idee, i suoi punti fermi (sfondi bianchi, monologhi, pause), ma cambiava in continuazione, mutava, si adattava – o, al contrario, costringeva tutto il resto ad adeguarsi alla sua visione. In «456» si parla una lingua non-lingua, un insieme di dialetti, cadenze, parole. È un fiume in piena. Una valanga che non rallenta. «Buttafuori», scritta con Giacomo Ciarrapico e a Luca Vendruscolo, già co-autori di «Boris», è una delle serie a pillole più innovative che siano state fatte, in questi anni, per la televisione italiana. Non solo per la dimensione fisica del racconto – ogni sera fuori dallo stesso locale, stesso posto, stesse dinamiche – ma anche per quello che i due protagonisti, interpretati da Mastandrea e da Marco Giallini, dicono. La vita, l’amore, le cose tutte uguali, la banalità di un venerdì sera.
Con Mattia, hanno mosso i loro primi passi la Wilder di Lorenzo Mieli, poi diventata Wildside, e la comedy all’italiana (non commedia, attenzione); attorno a lui, si sono radunati talenti, attori e registi, e si è radunata un’intera generazione dello spettacolo italiano, e certe cose, certe serie, certi film, che hanno creato insieme oggi rimangono. Sono classici, sono simboli, sono testimonianze. Di un modo di fare, certamente.
VALERIO MASTANDREA LA LINEA VERTICALE ALTER EGO DI MATTIA TORRE
Ma anche, e forse soprattutto, di Mattia. Di quella sua visione totalizzante, integra, mai a metà, mai separata. «Era uno così: intero». E lo è ancora adesso, un anno dopo la sua scomparsa. Una penna che racchiude infinite storie e infiniti personaggi. Una voce che, per la sua pacatezza, per la sua passione, per la sua capacità di mettere a fuoco, racconta l’Italia e gli italiani, e li raccontava ieri, li racconta oggi e li racconterà, probabilmente, anche domani.