DUE APOLOGI DI QUIRINO CONTI PER DAGOSPIA – QUANDO LO STILE APPARE IN OSPEDALE, ORA AVVILITO NEGLI SDILINQUIMENTI DI DIOR (MA PURE DI QUALCHE ESULE FEMMINIELLO NEO-PARIGINO). – LA GUCCI (R)EVOLUTION DI ALESSANDRO MICHELE & C. – NELLA MODA NON SEMPRE L‘UNIONE FA LA FORZA GENERANDO PIÙ SPESSO CONFUSIONE E AMBIGUITÀ – DEL RESTO, È NOTO: “ARTISTA È SOLO CHI SA TRASFORMARE UNA SOLUZIONE IN ENIGMA” (KARL KRAUS)
Quirino Conti per Dagospia
Girato l'angolo, subito comparve un lunghissimo corridoio, vasto e grigio. Con una tediosa fila di sedili su un lato, mentre dall'altro solo porte, anch'esse grigie. Qua e là, come diradati per disaffezione e indifferenza, non più di una decina di astanti, in attesa: muti indagatori della parete di fronte. Null'altro.
Oltre, agli angoli estremi di quell'ambulacro d'attesa, due sbucciate immagini sacre di gesso, mal ridipinte e con le aureole sbilenche. Null'altro. Se non, quando ci si inoltrò in quel tunnel di sezione quadrata, verso la metà del percorso, un tocco insperato di rosso scuro, quello che tra esperti si dice “sangue di piccione”.
Su una striminzita e vecchiotta giacca lunga fino ai fianchi, indosso a una giovanile donna sui cinquanta. Sotto, qualcosa – forse una camicia – di grigio e nero; su una – questa davvero inspiegabile – vasta e gonfia gonna di tulle nero a più strati: come quelle delle bambole o quelle per la danza, o ancora quelle viste nelle antinomie portate in auge dai giapponesi più duri sulle pedane degli anni ’70 e ora avvilite negli sdilinquimenti di Dior (ma pure di Gucci e di qualche esule femminiello neo-parigino).
Clarence Coles Phillips for Life Magazine, 1927
Simile a una di quelle illustrazioni che Clarence Coles Phillips elaborava per “Life” intorno agli anni ’20 del secolo scorso, molto raccontava di sé con quel singolare collage di frammenti e di Stile. Compostamente seduta, l'ultimo strato del tulle le sfiorava virulenti stivaletti di velluto anch'essi sangue di piccione, con tacchi neri sottili e aguzzi come una proposta salace.
A completamento di quella inattesa composizione stilistica, una testina al contrario saggia, modesta, oculata; con una scriminatura particolarmente pia e rigorosa e due bande di capelli scuri semi-arricciolati al fondo, su guance pallidissime. Avresti detto il capo occhialuto di una noiosa e attempata novizia. In gelida attesa di chissà cosa.
L'insieme appariva non solo sorprendente per l'orario – le nove del mattino – ma anche totalmente improprio per il luogo, quel lungo corridoio d'attesa di un reparto chemioterapico.
Quasi che lo Stile avesse voluto cinicamente arrivare fin lì con la sua volgare e rumorosa improntitudine: in un ambiente aspro e difficile, indosso a una delatrice dal volto smorto e dall'aspetto inutilmente mendace. Per corrompere quel silenzio. Come se un inopportuno rapimento estetico avesse pervaso una folle; con un delirio clamoroso sotto una stupita e melanconica espressione desolata.
Demna Gvasalia alessandro michele
Ma chi avrebbe mai potuto immaginare che di lì a poco, con un ennesimo tunnel, il Tempo avrebbe scelto di segnare questa stagione inquieta non solo per lo Stile? E tale malessere si materializzò per Alessandro Michele e per la sua direzione artistica di Gucci in un ardimentoso passaggio, come attraverso un gran mare spartito, squarciato, separato – quasi un nuovo, metaforico Mar Rosso.
Con uno splendente percorso limitato ai lati da due imponenti pareti vibranti di flash e di schiocchi di luce. Come se la natura stessa di quel tecnologico mare rilucente fosse impastata con miriadi di strumenti fotografici autonomamente programmati.
E dentro quel virtuale corridoio autocelebrativo – memoria inconfondibile di innumerevoli tappeti rossi –, ecco marciare la nuova identità Gucci, quella del "Grande Terrore" collettivo, e dunque di un definitivo rappel à l'ordre dopo infinite scostumatezze e deliberate, orgiastiche contaminazioni formali.
Dunque, in pratica, con tracce placate e ravvedute di tutta quella primitiva e originaria avventurosità, e ora, per fare di necessità virtù, sottomessa a una bella neo-Restaurazione à la Carlo X, tutti pronti e ben rimpannucciati come per un risolutivo e risanante Viaggio a Reims di rossiniana memoria.
Della variegata compagnia – verso salutari e salvifiche terme stilistiche –, Demna Gvasalia (“Imposto invitato d'onore per salvarsi le terga o vendicativo convitato di pietra per fare piazza pulita?” ci si è chiesto), in un sospetto duo creativo come già fu per i diversi Van Noten & Lacroix e Prada & Simons. Così da avvalorare anche per la Moda che l'unione fa la forza, anche se purtroppo non è sempre così. Generando più spesso confusione e ambiguità.
Come al solito spalluto, crudele e aggressivo, Gvasalia si pavoneggiava di chissà quale Balenciaga borderline, mentre il nostro ospite e padrone di casa (pur sempre loquacissimo) appariva infurbito e regolarizzato da una nuova leggerezza e da una remissività commerciale persino eccessiva (decine di sagge “cosette” – orrore! – addirittura da indossare).
A marchi incestuosamente intrecciati, alcune durezze si mostravano di altalenante attribuzione, se dello stilista georgiano o del nostro creativo romano (persino scudisci, tra l'ippico di maniera e il sadico rabbonito ad arte).
Al termine di quella traversata, dopo un percorso di purificazione nelle citazioni di ogni genere di memorie, il “Grande Ritorno”. Il ritorno a un paradiso perduto che tanto olezzava di vecchie lavande e di bonari Caroselli. Con i redivivi cavalli bianchi anni ’60, i pavoni bianchi e i conigli anch’essi bianchi, e tutti gli interpreti di un 8½ stilistico a ricercarsi, per la marcetta finale. In una ripresa a ritmi rallentati, come in un tempo fuori dal tempo.
Giunti in un Eden, chissà, finalmente ritrovato: quello ben indicato e auspicato dalla proprietà; quello di un fatturato da redimere; quello che per un simile accoppiamento tra stilisti ci si augura – dopo tante perdite – finalmente in crescita.
Del resto, è noto: “Artista è solo chi sa trasformare una soluzione in enigma” (Karl Kraus).