LA CANNES DEI GIUSTI – NEL RIGOROSO “I DANNATI”, PRIMA OPERA DI (QUASI) FICTION DEL DOCUMENTARISTA ROBERTO MINERVINI, SEMBRA SEMPRE CHE NON ACCADA MOLTO, MA ALLA FINE CI SPIEGA MOLTO DELLA SOCIETÀ AMERICANA, RICOSTRUITA FINO IN FONDO CON MOLTO STILE – PRODOTTO IN ITALIA, MA GIRATO QUASI TUTTO IN AMERICA, È UNA SORTA DI RIFLESSIONE SU UNA SOCIETÀ BASATA SULLE ARMI E SU GUERRE CHE NESSUNO DAVVERO CAPISCE E VUOLE…
Marco Giusti per Dagospia
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Cannes terzo giorno. Smaltiti i bollori di “Furiosa” di George Miller, arrivano i film italiani. O meglio. Arriva un film italiano. Un western. E per l’occasione esce contemporaneamente oggi anche nelle sale italiane. Siamo nel 1862. La Guerra di Secessione, vista come una infinita attesa dell’attacco di un nemico quasi invisibile tra i monti di una zona intatta e inesplorata di una zona selvaggia dove l’eroismo non esiste e vincono sempre i lupi pronti a sbranare gli animali più deboli, sono il tema e l’ambientazione del rigoroso “I dannati”/”The Damned”, prima opera di (quasi) fiction del documentarista Roberto Minervini, che ben si è diviso coi suoi primi lavori tra Venezia (“Low Tide”) e Cannes (“Stop the Pounding Heart”), unico film di (co-)produzione italiana passato oggi a “Un certain regard”.
Prodotto in Italia, sì, ma girato quasi tutto in America, in Montana, anche se una parte, si legge sui titoli di coda, è girata anche in Piemonte. Tutto ambientato in esterni, con dovizia di particolari naturalistici sulla vita di un piccolo gruppo di soldati nordisti che hanno avuto l’ordine di tenere la posizione con l’idea dell’arrivo di rinforzi in grado di salvarli, è in realtà una sorta di riflessione, credo, su una società basata sulle armi e su guerre che nessuno davvero capisce e vuole.
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I soldati protagonisti sono in gran parte ragazzi che sanno sparare ai conigli, ma non hanno mai avuto il battesimo del fuoco. Sappiamo da subito che potrebbero essere carne da macello, non meno dei ragazzi neri protagonisti dell’ultimo film di Minervini, il bellissimo documentario “What You Gonna Do When the World’s On Fire?”.
Non è, però, né un western alla Raoul Walsh né alla John Ford, non fatevi troppe illiusioni, anche se nella prima parte, complici le letture dei romanzi del west di Larry McMurtry, ci si attende che qualcosa arrivi da un momento all’altro e la lezione fordiana non può certo essere scordata.
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Con una bella fotografia di Carlos Alfonso Corral, che mette a fuoco di volta in volta un soldato lasciando sfuocato tutto il resto, dimostra la maestria di Minervini nel costruire un cinema mai banale fatto di tensioni e dialoghi tra i personaggi, tutti interpretati da attori-non attori inediti, Jeremiah Knupp, Timothy e Noah Carlson, René W. Solomon, Cuyler Ballenger, quasi tutti attivi anche come registi nel cinema indipendente americano, che spiegano il perché si siano arruolati.
Non succede molto, anche perché quando l’azione arriva, Minervini non ci mostra scontri corpo a corpo, molto verrà visto in fuori campo, anche se c’è una bella battaglia, ma certo il film ha una sua eleganza formale e una precisa identità di regia. Prodotto da Paolo Benzi (“L’estate di Giacomo” di Alessandro Comodin) e da Denis Ping Lee, produttrice e sceneggiatrice dei precedenti film di Minervini, con Rai Cinema, distribuito da Les Films du Losange in Francia e da Lucky Red in Italia, è un’opera dove sembra sempre che non accada molto, ma che alla fine ci spiega molto della società americana, e che Minervini costruisce fino in fondo con molto stile Da oggi in sala.
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