LA CANNES DEI GIUSTI – CANNES, VELENO PER IL BOTTEGHINO: PREMIA IL TRIONFO DELLA DIVERSITÀ, DEI MISERABILI, DEI MIGRANTI, DELLA LOTTA DI CLASSE, DEI REGISTI NERI, DELLE REGISTE FEMMINE, E MEGLIO SE AFRICANE - PALMA D’ORO AL FILM PIÙ POLITICO, IL COREANO PARASITE DI BON JOON-HO - PEDRO ALMODOVAR SI DEVE ACCONTENTARE DEL PREMIO AL MIGLIOR ATTORE MASCHILE, CIOÈ IL SUO ATTORE FETICCIO ANTONIO BANDERAS – OCCHIO NERO PER “IL TRADITORE” DI BELLOCCHIO
Marco Giusti per Dagospia
Siete avvisati. A un giorno dalle elezione europee, con il pericolo di governi poco democratici in tutto il mondo, da Cannes arriva un messaggio preciso di appoggio e solidarietà verso gli ultimi e verso i temi importanti. "In questi giorni in cui la democrazia è persa, posso dirvi che siamo stati molto democratici e abbiamo preso questa decisione all'unanimità”, detto Alejandro Inarritu dando la Palma d’oro quindi al film più politico, il coreano Parasite di Bon Joon-ho, capolavoro di commedia nera sul popolo dei miserabili che succhia non solo wifi dai più ricchi.
Ma in generale questa Cannes segna il trionfo della diversità, dei miserabili, dei migranti, della lotta di classe, dei brasiliani in lotta col regime di Bolsonaro, dei registi neri, delle registe femmine, e meglio se africane. cinema dei vecchi maestri, bravi e meno bravi, in forma o meno in forma, è del tutto pensionato dalle scelte di Inarritu e della sua giuria, che va premia i film più duri e difficili che affrontano temi importanti.
Non solo la Palma d’Oro a Parasite, ma anche il Gran premio a Atlantique della senegalese Mati Diop, strepitosa opera prima al femminile su temi importanti come i migranti, la globalizzazione, l’identità africana. Un film meraviglioso e un premio giustissimo.
Premio della giuria ex-aequo al francese Les miserables del regista nero francese Ladj Ly, opera prima molto amato dalla critica, e al brasiliano Bacarau di Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles, duro film di genere ma molto politico su come si vive sotto la dittatura di Bolsonaro. Ladj Ly ha dedicato il film a tutti “i miserabili di Francia”. Bravo.
Miglior regia al discusso Le jeune Ahmed dei fratelli Dardenne, cupo film su un ragazzo francese musulmano di seconda generazione che si getta nella guerra di religione. Un film e un premio che faranno discutere. Non è un film facile per nessuno, ma molto serio e molto rosselliniano.
Pedro Almodovar si deve accontentare per il suo Dolor y Gloria, dolente ritratto autobiografico sul suo degrado fisico e sull’amore per la mamma, del premio al miglior attore maschile, cioè il suo attore feticcio Antonio Banderas. Potevamo anche tifare per il nostro Pierfrancesco Favino per Il traditore, ma Dolor y Gloria è un film che ha molto colpito un po’ tutti e il premio a Banderas è anche e soprattutto un premio al film. "C'è molto dolore dietro il lavoro dell'attore”, ha detto Banderas, “non tutto è un tappeto rosso. Per fortuna ci sono anche notti di gloria, oggi è una di queste”.
Migliore attrice è la rossa inglese Emily Beecham per Little Joe di Jessica Hausner, sorta di fiaba nera fantascientifica dove lei interpreta una scienziata genetica che ha progettato un fiore in grado di dare felicità alla gente. Ma non è proprio così.
antonio banderas e pedro almodovar 1
Premio per la migliore sceneggiatura a Portrait de la jeune fille en feu di Celine Sciamma, che ha vinto pure il premio Queer di Cannes, storia d’amore lesbo ma soprattutto storia della liberazione di una creatività femminile dalle regole patriarcali maschile dell’arte. Si pensava che il film potesse vincere qualcosa di più, ma forse c’erano troppi maschi in giuria.
Manzione speciale a It Must Be Heaven del palestinese Elia Suleiman, passato l‘ultimo giorno.
La Camera d’Or, il premio per la migliore opera prima, e quest’anno ce ne erano moltissime, va al belga Nuestras madres diretto dal guatemalteco César Diaz passato alla Semaine dela Critique. Il regista ha voluto dedicare il premio alle 250 mila vittime del genocidio guatemalteco.
CHIARA MASTROIANNI FOTO LAPRESSE
A Un Certain Regard. Strabordante quest’anno di opere prime, vincono una serie di film innovativi e fuori dalle regole. A cominciare dal melodramma anni ’50 brasiliano A vida invisivel de Life of Euridice Gusmao di Karim Aïnouz, un film sontuoso che può vantare perfino la presenza della vecchia Fernanda Montenegro.
pierfrancesco favino nei panni di tommaso buscetta il traditore 2
Premio della Giuria a O que arde dello spagnolo Oliver Laxe. Premio per la regia al russo Beanpole, opera seconda di Kanterim Balagov, ritenuto dai più opera straordinaria con due giovani ragazze nella Leningrado del dopoguerra. Premio per la migliore interpretazione a Chiara Mastroianni per Chambre 212 di Christophe Honorè, molto amato dai critici francesi.
Premio speciale della giuria al discusso Liberté dello spagnolo Albert Serra, pieno di scene forte di erotismo sadiano. Premio Coup de coeur du jury va, ex-aequo, a La femme de mon frère di Monia Chakri e The Climb di Michael Angelo Covino. A Bruno Dumont e al suo Jeanne, melo musicarello sulla Pulzella d’Orlèans, va solo una menzione speciale. Meglio che niente.