noi e la giulia

IL CINEMA DEI GIUSTI - “NOI E LA GIULIA”, OVVERO QUANDO IL SUD NON È UN MONDO IRREALE COME NELLE ALTRE COMMEDIE ITALIANE, MA È TERRA DI CAMORRA - C’È QUALCHE BANALITÀ, MA È IL MIGLIOR FILM DI EDOARDO LEO

Marco Giusti per Dagospia

 

Noi e la Giulia di Edoardo Leo

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Cosa fare quando tu, bravo ragazzo di città, ti ritrovi non nel ridente sud dell’Apulia Film Commission, o dei paesini favolistici che vanno di moda adesso tra barbieri, panettieri e baristi, ma di fronte a una richiesta di pizzo da parte della camorra? Cosa fai, insomma, paghi e collabori o fai gruppo e ti difendi? Aiuto! Questo Noi e la Giulia diretto e interpretato da Edoardo Leo e tratto dal bel romanzo d’esordio di Fabio Bartolomei, “Giulia 1300 e altri miracoli”, edizioni E/O, si distingue dalla gran massa di commedie italiane di questo periodo per due motivi particolari.

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La prima è che cerca di mediare tra la commedia con il piccolo gruppo di amici un po’ falliti al sud e la commedia più giovanile e di ricerca, anche stilistica, alla Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, dove Leo era protagonista assieme a Stefano Fresi, che ritroviamo puntualmente qui. La seconda è che cerca, appunto, di dare una risposta vera alla domanda del cosa fare di fronte alla camorra e alla richiesta di pizzo. Non illudendoci, cioè, nel mostrare un sud irreale dove tutto è come negli anni ’50. Lo fa, ovviamente, all’interno di un linguaggio da commedia.

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E questo è importante, perché permette a un pubblico più vasto, soprattutto meridionale, ma non solo, di porsi lo stesso problema. Arrivato al suo terzo film da regista, dopo il buon esordio con Diciotto anni dopo nel 2010, e Buongiorno, papà con Raoul Bova e Marco Giallini, Leo riesce a sfruttare a dovere gran parte delle sue esperienze precedenti come attore e come regista. Riprende il Claudio Amendola protagonista e regista di La mossa del pinguino, e gli affida il ruolo importante del vecchio compagno che non molla, “Ho occupato 32 appartamenti coi compagni del collettivo”.

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Riprende il geniale Stefano Fresi di Smetto quando voglio, sorta di fratellone vigliaccone che sviene di fronte alla minima idea di pericolo, ormai incarnazione del precariato italiano, anche se gli taglia i capelli per renderlo diverso. Riprende come sceneggiatore Marco Bonini, amico e attore, con cui aveva scritto già il suo film d’esordio. E mischia, nel suo adattamento, un po’ di temi del film di Amendola, che lui stesso aveva scritto, e di quello di Sibilia, facendone una storia corale di trenta-quarentenni da sempre in cerca di un piano B per schivare la realtà e vivere un mondo parallello.

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Dalla commedia più tradizionale riprende Luca Argentero come protagonista, o quasi, nel ruolo di Diego, un impiegato grigissimo che si ritrova orfano e in cerca di una identità oltre che di un lavoro. E la bravissima Anna Foglietta, nel ruolo di Elisa, unica donna del gruppo, incinta e scombinata, anche lei in cerca di una identità e di una famiglia. Per sé si lascia il ruolo più debole, un cialtrone fascistello romano che vive di espedienti nelle tv private che non la smette mai di inventarsi cazzate.

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Questo gruppetto, che si trova casualmente unito nella costruzione di un agriturismo nel profondo sud per uscire da crisi personali e generazionali, dovrà presto affrontare, come si diceva, la richiesta di pizzo, da parte di un camorrista sfigato e demotivato più o meno come loro. E questa è una trovata. Si tratta di Vito, interpretato con grande energia e divertimento da un Carlo Buccirosso in forma smagliante. Invece di pagare il pizzo, il gruppetto fa prigioniero Vito. E seppellisce la sua Giulia 1300 d’epoca nel buco per la piscina della masseria. Solo che il mangianastri dell’auto ha un difetto e ogni tanto, a sorpresa, lancia musica classica da sotto la terra.

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Miracolo! Tutto andrebbe bene se la camorra non inviasse altri suoi uomini per cercare di capire che fine ha fatto Vito. Prima due balordi in motorino, che verranno rinchiusi in cantina come prigionieri, poi i terribili Ernesto Mahieux e Antonio Pennarella. Vito, in realtà, si è da subito legato al gruppo e da camorrista sfigato trova con loro il suo piano B. Ma, alla fine i conti con la realtà andranno fatti. Noi e la Giulia è un po’ un film cerniera tra la commedia italiana più classica di questi ultimi anni e quella più originale di Pif e di Sibilia.

 

edoardo leoedoardo leo

E Leo ben si inserisce in questo linea, grazie alla bella fotografia di Alessandro Pesci, e a una attenta direzione di gruppo di attori di grande simpatia e di notevole presenza. Amendola, Buccirosso, Foglietta e Fresi dominano la scena, mentre Argentero e Leo rimangono più defilati, forse perché meno definiti già in sceneggiatura. Ma il film è ben costruito nella distribuzione dei personaggi, e gli arrivi alla masseria di Amendola prima, di Buccirosso e Foglietta poi, sono tutte belle trovate che smuovono la storia, anche se soffre di qualche banalità e di qualche lunghezza che forse si poteva eliminare al montaggio.

 

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Resta comunque il migliore dei tre film da regista di Leo e si può segnalare come qualcosa di fresco all’interno della nostra commedia più tradizionale. Ottime anche le apparizioni di grandi caratteristi napoletani di oggi, da Salvatore Misticone come maresciallo corrotto a Francesco Procopio come venditore di case ai cattivi Mahieux e Pennarella. In sala dal 19 febbraio. Se la vedrà con la seconda settimana di 50 sfumature di grigio, ovviamente… peggio di qualsiasi camorra.   

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