CODICE DIETETICO - DALL’ORTO AL PIATTO: IL NUOVO MANIFESTO DELLA FOOD-POLITIK È “IL RISTORANTE “ETICO” - MENÙ CHE SI BASA SU QUANTO PRODOTTO DALLA COMUNITÀ LOCALE E UNA FILOSOFIA RACCHIUSA IN UNO SLOGAN: “ORGANICO È BUONO” (ED ECONOMICO)
Angela Frenda per il “Corriere della Sera”
Non tutti scelgono un locale chiedendosi: come si mangia? Alcuni, piuttosto, preferiscono domandarsi: da dove viene quello che mangerò? Lo chiamano «ristorante etico», ed è una tendenza divenuta realtà. Basta guardare la gettonatissima classifica della categoria che annualmente stila l’Observer . E dove si racconta che da Wahaca , a Londra, mangerete sì messicano, ma tutta la carne proviene da macellai inglesi. Mentre da Milgi Lounge , a Cardiff, l’intero menù si basa su quanto prodotto dalla comunità agricola locale. Sancendo così il principio che locale è il «nuovo organico». E colmando la richiesta crescente del pubblico.
Marion Nestle, docente di nutrizione della New York University , lo ha spiegato molto bene nei suoi due libri Food Politics (2002) e What to Eat (2006): «Quando le persone vanno in un supermercato o al ristorante sanno che è una delle poche volte in cui possono incidere sull’ecosistema. E così, comprando o mangiando, mandano un messaggio molto chiaro». È come se il ristorante o il super avessero sostituito l’urna elettorale. Perché, per il critico del Nyt Michael Pollan, «l’industria di cibo organico da 30 milioni di dollari è stata decisa proprio dai consumatori. Con i loro soldi».
Ma se un giorno vi troverete al termine della stradina di campagna carica di cespugli di mirto e gelsomini, e sbucherete ai Barley Wood Walled Garden , la food-politica per un attimo dovrete accantonarla. Qui, a pochi chilometri da Bristol, in quella campagna del North Somerset dove Jane Austen ha ambientato quasi tutti i suoi romanzi, vi troverete davanti a un giardino da sogno di epoca vittoriana restaurato da Henry Herbert Wills nel 1901.
Potreste perdervi nei labirinti di rose. Ma quello che vi colpirà di questo eden 2.0, sarà soprattutto il gran numero di piante da frutto e di ortaggi coltivate lì: meli, peschi, ciliegie... Carote, pomodori, carciofi... Tutto prodotto secondo rigide regole organiche dal Giardiniere, Mark Cox, che ha voluto la sua «creatura» come un luogo attivo, dove poter anche acquistare settimanalmente quanto prodotto.
Anche se la vera punta di diamante è il ristorante aperto nel 2010, il cui nome è quasi un manifesto politico: The Ethicurean Restaurant . L’orangerie di una cucina eduardiana, restaurata perché dai vetri il giardino «entrasse a comunicare pace e totale sintonia con la terra». Qui, per ogni singola carota potranno dirvi come è stata coltivata. Così per ogni uovo. E ogni rametto di dragoncello. Non solo: dietro le ricette c’è una grande ricerca e il tentativo di ricostruire piatti della storia gastronomica inglese.
Ma dimenticate Heston Blumenthal e le sue esibizioni muscolar-cerebrali. Gli chef e il gestore in questo caso hanno i volti di tre ragazzi che sembrano usciti da un film di Ken Loach: scanzonati, sorridenti, pop-english. L’anima e il braccio di Ethicurean sono infatti Jack Adair-Bevan (scrittore), Paûla Zarate (business planning) e Matthew & Iain Pennington (cuochi autodidatti).
Per conoscere meglio la loro cucina vale l’acquisto dell’omonimo libro, The Ethicurean Cookbook (Ebury Press) . Dove raccontano come ogni prodotto la mattina venga portato da Mark, il giardiniere. E perché il menù cambi in base a quel che c’è o che viene portato dai produttori locali al ristorante. La parola d’ordine è una sola: sostenibilità. I quattro amici ne hanno fatto, con sincerità, un mantra. Creando un sistema virtuoso nelle campagne intorno a loro, dove hanno attirato altri «visionari» pronti a scommettere sullo slogan «organico è buono».
Sfogliate comunque con calma il libro dei 4 ethicurei , e troverete, divisa per stagioni, la filosofia del cibo sostenibile e buono. La zuppa di pesce, le crostate fatte con uno dei 20 tipi di mele coltivate lì. O gli aceti di frutta da ricette medioevali. Il fagiano (non è un ristorante per soli vegetariani) o i funghi al timo. E, sorpresa, se mangerete lì, per ogni piatto non spenderete più di 8 sterline. Perché locale può significare (anche) economico.