il trovatore - opera di roma

COM’E’ VECCHIO ‘STO VERDI MODERNO DI ÀLEX OLLÉ DEL COLLETTIVO CATALANO LA FURA DELS BAUS - MATTIOLI: IL SUO “TROVATORE” SI RISOLVE IN IMMAGINI E SOLO IN IMMAGINI – MA NON BASTANO SCENE E COSTUMI “MODERNI” PER FARE UNA REGIA “MODERNA”

Alberto Mattioli per La Stampa.it

 

Il trovatore - Opera di Roma Il trovatore - Opera di Roma

«Il trovatore» dell’Opera di Roma serve, più che a Verdi, a mettere qualche puntino sulle «i» nel continuo, inestinguibile, inesorabile e abbastanza sgangherato dibattito sulle regie d’opera, una querelle des anciens et des modernes che ha ampiamente stufato anche perché è impostata e sviluppata su premesse sbagliate.

 

Il trovatore - Opera di Roma Il trovatore - Opera di Roma

Citiamone due per tutte. La prima è l’idea che una regia d’opera si giudichi soltanto da scene e costumi (sicché nei casi limite c’è perfino chi sentenzia sulla base delle fotografie, evitando la noia di andare a teatro); la seconda, che scene e costumi «moderni», e in generale ogni trasposizione temporale del libretto, costituiscano di per sé una regia «moderna». Niente di più sbagliato.

IL TROVATOREIL TROVATORE

 

Scene e costumi sono una parte della regia, non la regia. E ci possono essere produzioni con i cantanti nei soliti cappotti e con il mitra in mano che nascono vecchie, e altre con i mantelli e gli spadoni regolamentari che sono modernissime. 

 

Passiamo dalla teoria alla pratica. In coproduzione con Parigi e Amsterdam, dunque teatri di osservanza risolutamente «moderna», l’Opera di Roma, che è una delle poche fondazioni italiane dove si abbia qualche contezza di quel che succede nel resto del mondo, affida il suo nuovo «Trovatore» ad Àlex Ollé del collettivo catalano La Fura dels Baus.

IL TROVATORE 3IL TROVATORE 3

 

Una ventina di anni fa, quando la Fura irruppe sulla scena lirica internazionale, si fece apprezzare per la freschezza del suo approccio e per la capacità di creare immagini forti, contemporanee, talvolta ironiche ma sempre pertinenti. Il capolavoro fu probabilmente una stupefacente «Damnation de Faust» a Salisburgo, nel ’99.

 

IL TROVATORE 1IL TROVATORE 1

Già allora, però, e il «Ring» seguente trasformò il sospetto in certezza, si notava come tutto il teatro della Fura si risolvesse, appunto, in immagini e solo in immagini. Passati gli anni, i moduli espressivi sempre quelli rimangono, i furanti sono meno furenti, l’istituzionalizzazione forse non ha loro giovato, e insomma Ollé & soci sembrano ormai diventati i Pizzi del nuovo millennio, la regia come tableau vivant, ideali per teatri che vogliono lo spettacolo «moderno» ma senza rischiare troppo, «riletture» facili facili, «provocazioni» prêt-à-porter invece che à penser . 

IL TROVATOREIL TROVATORE

 

Qui sistemano «Il trovatore» in un suggestivo nulla, con una parete riflettente in fondo che fa sempre chic e non impegna, un po’ di nude colonne che fanno su e giù, perfette per tutto, dal convento alla trincea, qualche croce che fa cimitero, divise da Grande Guerra sia per i cattivi che per i buoni (ma con i cattivi in uniformi più scure, che le sciure non si sbaglino) e tutti con in testa lo stahlhelm tedesco che fa nazi (però anche per i buoni). 

 

Poi per il resto si vede il solito «Trovatore», con i cantanti sostanzialmente abbandonati a loro stessi che fanno quel che fanno tutti i cantanti, camminate senza senso per il palcoscenico, braccia spalancate in prossimità dell’acuto, e coro bello fermo a guardare il direttore.

 

Il trovatore - Opera di Roma Il trovatore - Opera di Roma

Se ci sono delle idee, sono accuratamente nascoste. La confezione è accurata, per carità, ma il regalo più prevedibile di quelli di Natale. E intanto si aspetta ancora che qualche regista si decida a fare il vero «Trovatore» di Verdi, che non è affatto l’opera sanguigna e istintiva e ipermelodrammatica che ci ha spacciato tutta una certa critica da Barilli in giù, ma il suo titolo più intellettuale, anzi intellettualistico, un vero esercizio drammaturgico perfino spiazzante nella sua radicalità e nelle sue avveniristiche soluzioni narrative.

Il trovatore - Opera di Roma Il trovatore - Opera di Roma

 

Pazienza. Intanto però qualche giornalista sprovveduto e qualche loggionista isterico hanno abboccato, sicché ci sono stati articoli preventivi sui giornali prima della prima e buuu! prevenuti appena finita, reazioni davvero sproporzionate per quello che alla fine è un «Trovatore» dei più ordinari, e nemmeno dei migliori. 

 

Il trovatore - Opera di Roma Il trovatore - Opera di Roma

Chi invece ha le idee chiare, su Verdi in generale e sul «Trovatore» in particolare, è il giovin direttore Jader Bignamini, che lo vuole giustamente morbido, lirico e notturno. E fin qui è il meno. Il più è che Bignamini questo «Trovatore» riesce anche a realizzarlo, con accompagnamenti sempre elastici, sfumati, all’occorrenza nervosi, benché i tempi siano tendenzialmente rapidi e il rilievo accordato ai fiati insolito.

 

È una direzione tutta in crescita, da un primo atto un po’ timido (e con qualche scollatura fra buca e palcoscenico) a un quarto perfetto, comprensivo di un «Ai nostri monti» fra i più belli ascoltati da anni. In tutto questo lirismo l’unico momento in cui si vorrebbe un po’ più di mordente è forse la cabaletta del baritono. Orchestra e coro apprezzabilissimi. 

 

Il trovatore - Opera di Roma Il trovatore - Opera di Roma

L’unico cantante all’altezza della direzione è Simone Piazzola, che non solo canta con un’eleganza meravigliosa ma è anche uno dei pochi baritoni ad aver capito che il Conte di Luna non è solo un cattivone da melodramma, ma anche e anzi soprattutto un uomo innamorato.

 

Nell’ultimo «Don Carlo» della Scala, Piazzola era sembrato sempre raffinato ma un po’ affievolito, forse a seguito di un dimagrimento impressionante: la lieta novella che arriva da Roma è che sta recuperando il volume. Anche Ekaterina Semenchuk, Azucena, canta assai bene, morbida e senza sbracare: a me non trasmette alcun tipo di emozione, come se cantasse l’elenco telefonico, ma probabilmente è colpa mia.

 

ALBERTO MATTIOLI  400ALBERTO MATTIOLI 400

Stefano Secco, Manrico, è quel che si definisce un serio professionista. Fascinoso, per canto e scena, direi però di no, e i suoi acuti acuti sono faticosi e privi di squillo: nella puntura finale della «Pira», in tono, Secco c’è anche, come si suol dire, «rimasto in mezzo». 

 

Resta il caso di Tatiana Serjan, che è la dimostrazione che non esistono cattivi cantanti, ma cantanti che sbagliano le parti. Serjan è affascinante, intensa, a tratti perfino magnetica. Pero, a questo stadio della sua carriera, non dovrebbe affrontare Leonora. Perché le agilità sono pasticciate, e vabbé, capita a tre Leonore su quattro, ma soprattutto perché gli acuti a voce piena sono laboriosi e forzati, tanto da ripercuotersi perfino sull’intonazione. Così, interpreta benissimo tutta l’opera, ma canta davvero bene soltanto «D’amor sull’ali rosee», perché piani e pianissimo funzionano.  

 

Alla fine, applausi abbastanza indiscriminati e indiscriminate contestazioni al team registico. Si replica fino al 10 marzo. 

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