CAPOSSELA NARRATORE? MEGLIO I RICCHI E POVERI! - D’ORRICO: TUTTO CIÒ CHE È RACCONTATO NEL ROMANZO DEL CANTAUTORE FU GIÀ DETTO IN 2 PAROLE: “PAESE MIO CHE STAI SULLA COLLINA/ DISTESO COME UN VECCHIO ADDORMENTATO''...
Antonio D’Orrico per “la Lettura - Corriere della Sera”
Gli scrittori italiani non hanno scritto molte canzoni. Lo fecero solo al principio degli anni Sessanta su sollecitazione (traduci pure rottura di scatole) di Laura Betti. A cimentarsi nel ruolo di parolieri furono chiamati romanzieri esimi (Moravia, Pasolini, Soldati, Calvino). Di quella stagione restano memorabili due versi di Alberto Arbasino («Ossigenarsi a Taranto/ è stato il primo errore»), effettivamente impagabili.
E merita una citazione anche una strofa di Flaiano (Flaiano merita sempre una citazione) che recita: «Ho letto in ritardo/ Lolita e il Gattopardo./ Così passai l’estate/ tra speranze infondate». I cantautori italiani scrivono invece molti romanzi. Per alcuni di loro è diventato un secondo lavoro. Le cose più interessanti sono venute da Ligabue (i racconti) e da Guccini (alcuni dei gialli scritti con Macchiavelli e i suoi personalissimi e solitari amarcord generazionali).
Però volendo indicare il più bel romanzo scritto da un cantautore italiano la scelta non potrebbe che ricadere sulla tetralogia (o è una pentalogia? ho perso il conto) del Mocambo del grande Paolo Conte. I veri romanzi di un musicista sono i suoi pezzi. Adesso a fare il narratore ci prova Vinicio Capossela molto riprendendo dai trattati di paesologia di Franco Arminio (etnologo dell’Appennino Sannita e dintorni) ma esagerando in retorica da neo-epica e sfoggiando un ricorso all’accusativo da codice penale: «L’uomo coi capelli grigi dietro al banco ascoltava una grossa mammana che gli parlava parole. Le voci rimbombavano il salone».
Ci voleva più swing, più leggerezza. Non ossigenarsi a Taranto è stato il primo errore di Capossela che ci avrebbe guadagnato a giovarsi dell’esempio dell’Arbasino chansonnier. Tutto ciò che è raccontato in questo ipertrofico romanzo poematico fu già detto in due parole dai Ricchi e Poveri nella più sanremese delle canzonette: «Paese mio che stai sulla collina/ disteso come un vecchio addormentato». Che sarà.
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