MA CHE JAZZ VUOI? – ‘’IL JAZZ SOFFRE DI UNA SINDROME VAMPIRESCA. MUORE SPESSO E OGNI VOLTA RINASCE, SUCCHIANDO IL SANGUE ALTRUI. PERCHÉ È UN BRILLANTE FUOCO D’ARTIFICIO CONTRO L’ARTIFICIO’’

Alberto Riva per ‘Il Venerdì - La Repubblica'

Eric J. Hobsbawm, il più marxista tra i jazzofili incalliti, in un vecchio saggio scritto per recensire una biografia di Count Basie, annotava: «A un certo momento degli anni Cinquanta la musica popolare americana commise un parricidio. Il rock uccise il jazz». Come non essere d'accordo con lui. Il delitto avvenne, senza dubbio: ma fu mortale? Il jazz morì davvero quando i night club tutto fumo e sassofoni lasciarono il posto alle moltitudini di giovani in delirium tremens per Elvis Presley? È una domanda a cui si tenta di dare risposta da una cinquantina d'anni.

La verità pare si sia acquattata altrove, più ovvia: il jazz non è morto e non può morire. Arrigo Polillo, il grande critico, raccontava che Louis Armstrong una sera a Milano gli disse, categorico, riferendosi ai musicisti della generazione dopo la sua: «Il bebop? È nato dagli errori». Oggi sappiamo che quegli «errori» hanno partorito Charlie Parker, Thelonious Monk e Dizzy Gillespie. Eppure Armstrong era colui che Duke Ellington - il Duca - chiamava con una certa reverenza «Mister Jazz». Cioè: era uno che ne sapeva. Mettiamola così: il jazz soffre di una sindrome vampiresca. Muore spesso e ogni volta rinasce, succhiando il sangue altrui.

Eppure esiste un'immagine del jazz che è più jazzistica di tutte le altre. Il bianco e nero pastoso dei grandi fotografi che negli anni Quaranta e Cinquanta si dedicarono a riprendere da vicino quelle creature bizzarre che popolavano le notti sulle due coste americane. I due fronti di guerra: New York e Los Angeles. Come Bob Willoughby, che poi sarebbe diventato il celebre ritrattista delle star di Hollywood.

C'è una verità nascosta dietro le sue sfolgoranti fotografie (che ora escono raccolte anche in Italia nel bel libro pubblicato da Logos, Jazz - Body and Soul) e cioè i nomi dei luoghi sconosciuti dove si consumava il peccato: The Tiffany, il Bal Tabarin, il Rendezvous Ballroom oppure l'Olympic Auditorium, che era uno stadio di box dove finiti i pugni a mezzanotte saliva sul ring la band di Big Jay McNeely.

In altre parole il jazz, per vivere, non ha bisogno di luoghi sacri ma, come diceva pacatamente Dave Brubeck, «ha bisogno di improvvisazione». Il fotografo racconta che certi posti erano così piccoli «che ci entrava a malapena la sezione degli ottoni» e Max Gordon, il leggendario boss del Village Vanguard di New York, amava ricordare che i contratti con John Coltrane o Stan Getz o Miles Davis da lui si firmavano in cucina: il posto era talmente piccolo che non esisteva un vero ufficio, si concludeva tra i fornelli. Il jazz nasceva anche così. Come il fumo che sale da una pentola. Forse magica. E di quale magia si tratta?

In Europa il jazz arrivò negli anni Venti come il simbolo della modernità che si ergeva dalle ceneri della Grande Guerra. Le sue note strane, gridanti, libere, raschiavano via la tristezza. Non per altro, negli stessi anni, una ex-fabbrica di Harlem trasformata in sala da ballo, il mitico Savoy Ballroom, era soprannominato «la casa dei piedi felici». Il jazz era una nota euforica in opposizione alle freddezza del risveglio nella Grande Depressione. I quattro geni che accompagnavano Louis Armstrong erano gli «Hot Five» e quella musica, quando atterrò a Parigi come un disco volante, era semplicemente «l'Hot»: la cosa «bollente».

La prima associazione professionistica di amanti del jazz e musicisti, battezzata a Parigi nel 1932, non poteva dunque non chiamarsi Hot Club de France, come poi l'omonimo quintetto con Django Reinhard e Stephane Grappelli. Fu una febbre, una malattia. Lo chiamavano Swing, come il pamphlet che Gaston Criel, poeta tardo surrealista, segretario di André Gide e animatore di riviste, scrisse all'inizio degli anni Quaranta, imprigionato dai nazisti. Uscì nel 1948 e, a leggerlo ora, ripubblicato dall'editore Elliot (traduzione di Raphaël Branchesi, pp. 56, euro 7,50) ha l'aspetto di un assolo di Coltrane (o forse di Lester Young) però in forma di parole.

Criel tentava l'impossibile: dare un significato alla parola swing, esordendo in modo lapidario: «Il jazz hot sta alla musica come la tendenza surrealista sta alla poesia. Stesso postulato, stesso irradiamento diretto (swing) dell'espressione». Per fortuna poi spiega: «Vedo qui apparire Django Reinhardt, che non li ha nemmeno lacerati, i solfeggi, ma li ignora e basta. Con la sua chitarra va direttamente là, nel luogo dove i battelli sono ebbri, correndo con le sue suole di Rimbaud nel paese di cui è figlio» e via così per una trentina di pagine lisergiche. Dicendoci però una cosa: «Ciascuno può mettere nell'hot la sua parte di sogno, non solo gli interpreti, ma anche gli spettatori». Musica democratica per eccellenza? Forse. E forse per questo disposta a piantare radici ovunque.

Jean Cocteau, di cui Criel fu assistente alla regia, apre il libro con una lettera in cui vergava: «È una forma musicale duratura e in continua evoluzione ». E aggiunge: «Nonostante la sua apparente giovinezza il jazz segue la curva degli altri dogmi. Capita anche che si allontani dalla sua misteriosa solitudine, per avvicinarsi alla musica sinfonica e assumere così un aspetto bastardo».

Ed eccoci tornati sul luogo del delitto. Charlie Parker il bastardo ha ucciso Armstrong? E Miles Davis ha forse assassinato Roy Eldridge? E Billie Holiday? Alle già tante accuse che la società le mosse, vogliamo aggiungere quella di aver ucciso Bessie Smith? Rispondete voi. E i luoghi? I teatri hanno ucciso i club?

I mega festival hanno ridotto a ruderi le vecchie sale da ballo? Per non parlare di You- Tube: museo sonoro che ognuno di noi apre nel cuore della notte alla ricerca della sua parte di sogno. Bob Willoughby, il fotografo, la spiegava così, la rivelazione del jazz: «Era come se conoscessi la copia di un famoso dipinto e poi mi ritrovassi di fronte all'originale». Gaston Criel avrebbe sintetizzato: «Jazz Hot, brillante fuoco d'artificio contro l'artificio».

 

STAN GETZ LOUIS ARMSTRONG JAZZ BODY AND SOUL JAZZ BODY AND SOUL FRANK SINATRA A LAS VEGAS BIG JAY McNEELY

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni donald trump emmanuel macron

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI NON AVEVA ALCUNA VOGLIA DI VOLARE A PARIGI AL VERTICE ORGANIZZATO DA MACRON PER L’UCRAINA (E SI VEDEVA), MA HA DOVUTO ABBOZZARE – IL TOYBOY DELL’ELISEO HA APPARECCHIATO UN TAVOLO CON TUTTI I PRINCIPALI LEADER EUROPEI (PIÙ IL BRITANNICO STARMER, PRIMO CONTRIBUTORE DI KIEV, DOPO GLI USA) E LA DUCETTA NON POTEVA DISERTARE – A CONVINCERLA È STATO ANCHE IL PRESSING DELLA "FIAMMA MAGICA", CHE LE HA FATTO NOTARE CHE NON PRESENZIARE L’AVREBBE ISOLATA COMPLETAMENTE. MEGLIO PARTECIPARE, E MARCARE LA PROPRIA DISTANZA AGENDO COME “DISTURBATRICE” TRUMPIANA. E COSÌ È STATO – IL PIANO DI TRUMP: RIAVVICINARE PUTIN ALL’ORBITA EURO-ATLANTICA PER LASCIARE SOLO XI JINPING...

jd vance giorgia meloni

L'ANGOLO DEL BUONUMORE – OGGI IL "CORRIERE" VERGA UN ARTICOLO SURREALE, IN CUI SCOPRIAMO CHE “IL MANTRA DELLA MELONI” È "LA DEMOCRAZIA BASATA SUL FREE SPEECH” (DITELO AI GIORNALISTI NON APPECORONATI QUERELATI DAL GOVERNO) – NON SOLO: GIORGIA MELONI “CONDIVIDE IN TOTO” IL DISCORSO DI JD VANCE, GIUDICATO DA TUTTI I LEADER EUROPEI (A RAGIONE) INQUIETANTE –  IL GRAFFIO FINALE: “SE IL NUMERO DUE DELLA CASA BIANCA NON HA CONVINTO LA NOSTRA PREMIER È NEI TONI E NEL REGISTRO DI AGGRESSIVITÀ”. PROPRIO LEI, CHE SBROCCA UN GIORNO SÌ E L’ALTRO PURE...

forza italia marina pier silvio berlusconi antonio tajani martusciello barelli gianni letta gasparri

DAGOREPORT - SE IN FORZA ITALIA IL MALCONTENTO SI TAGLIA A FETTE, L’IRRITAZIONE DI MARINA E PIER SILVIO È ARRIVATA ALLE STELLE: IL PARTITO È DIVENTATO ORMAI UN FEUDO DOMINATO DAL QUARTETTO  DA TAJANI-BARELLI-MARTUSCIELLO-GASPARRI - DOPO AVER SPADRONEGGIATO IN LUNGO E IN LARGO, NELLA SCELTA DEL GIUDICE COSTITUZIONALE ALLA CONSULTA È ARRIVATA UNA PESANTE SCONFITTA PER TAJANI - È DA TEMPO CHE LA FAMIGLIA BERLUSCONI NON SA DOVE SBATTERE LA TESTA PER RIUSCIRE A SCOVARE UN SOSTITUTO AL 70ENNE CIOCIARO, RIDOTTO IN UN BURATTINO NELLE MANI DI GIORGIA MELONI, CHE È RIUSCITA AD ANESTETIZZARLO CON LA PROMESSA DI FARE DI LUI IL CANDIDATO NEL 2029 ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA (CIAO CORE!) - OLTRE AL PARTITO E ALLA FAMIGLIA BERLUSCONI, CHE CON IMPERDONABILE RITARDO COGNITIVO HA COMPRESO CHE IL GOVERNO NON È UN’ALLEANZA MA UN MONOCOLORE DELLA STATISTA DELLA GARBATELLA, OCCORRE AGGIUNGERE UN ALTRO ‘’NEMICO’’ DI TAJANI: L‘89ENNE GIANNI LETTA. NELLA SUA AFFANNOSA (E FALLITA) BATTAGLIA PER PORTARE ALLA PRESIDENZA DELLA RAI LA SUA PROTETTA SIMONA AGNES, TAJANI E I SUOI COMPARI NON SI SONO SPESI, SE NON A PAROLE...

donald trump giorgia meloni almasri husam el gomati osama njeem almasri giovanni caravelli

DAGOREPORT - SERVIZI E SERVIZIETTI: IL CASO ALMASRI E' UN “ATTACCO POLITICO” ALLA TRUMPIANA MELONI? - COME È POSSIBILE CHE UN DISSIDENTE LIBICO, HUSAM EL-GOMATI, PUBBLICHI SU TELEGRAM DOCUMENTI E NOTIZIE DEI RAPPORTI SEGRETI TRA LA MILIZIA LIBICA DI ALMASRI E L'INTELLIGENCE ITALIANA, SQUADERNANDO IL PASSAPORTO DEL CAPO DELL’AISE, CARAVELLI? - CHI VUOLE SPUTTANARE L'AISE E DESTABILIZZARE IL GOVERNO MELONI POSTANDO SUI SOCIAL LA FOTO DEL TRIONFALE RITORNO A TRIPOLI DI ALMASRI CON ALLE SPALLE L'AEREO DELL'AISE CON BANDIERA ITALIANA ? - CHE COINCIDENZA! IL TUTTO AVVIENE DOPO CHE TRUMP HA DECAPITATO L'INTELLIGENCE DI CIA E FBI. UNA VOLTA GETTATI NEL CESSO GLI SPIONI DELL'ERA OBAMA-BIDEN, E' INIZIATO UN REGOLAMENTO DI CONTI CON I PAESI GUIDATI DA LEADER CHE TIFANO TRUMP? - VIDEO

guerra ucraina vladimir putin donald trump ali khamenei xi jinping volodymyr zelensky

DAGOREPORT – IN UN MESE, TRUMP HA MACIULLATO L’ORDINE MONDIALE: RIABILITATO PUTIN, ISOLATA LA CINA - CINQUE PREVISIONI CHE NON SI SONO AVVERATE SULL’UCRAINA CON L'ARRIVO DEL NUOVO INQUILINO DELLA CASA BIANCA: 1) MARK RUTTE, SEGRETARIO GENERALE DELLA NATO: “KIEV ENTRERÀ NELLA NATO, È UN PROCESSO IRREVERSIBILE”. ORA ANCHE ZELENSKY PARLA DI PIANO B – 2) NON SI FA LA PACE SENZA LA CINA. FALSO: TRUMP ALZA LA CORNETTA E PUTIN LO ASPETTA – 3) XI JINPING: “L’AMICIZIA CON LA RUSSIA È SENZA LIMITI” (MANCO PER IL GAS) – 4) L’IRAN S’ATTACCA AL DRONE: LA RUSSIA L'HA MOLLATA – 5) L’EUROPA, SOLITO SPETTATORE PAGANTE CHE NON CONTA UN CAZZO