DAI DUETTI CON BOMBOLO ALLA CERTOSA DI PARMA: ANDREA OCCHIPINTI COMPIE 60 ANNI, E LA SUA LUCKY RED NE HA GIÀ 30: ‘DA GIOVANE VIVEVO CIRCONDATO DA GENTE IMPROBABILE, AVVENTURE PERICOLOSE E PROPOSTE INDECENTI’ - FOLLIE SUL SET: ‘KLAUS KINSKI ERA STRAFATTO, PROVAVA SOLLIEVO SOLO GUARDANDO PORNO SU UNO SCHERMO MASTODONTICO - BO DEREK NUDA A CAVALLO' - 'ECCO COME SI SALVA IL CINEMA’
Malcom Pagani per ‘Il Messaggero’
julianne moore andrea occhipinti
Il destino di un mestiere fuso con le inclinazioni personali, con il carattere, con le eredità: «I miei genitori si erano separati e a vent'anni vivevo già da tempo da solo. Mio padre praticamente non esisteva e io avevo la ferma volontà di non pesare economicamente su mia madre e di essere indipendente ad ogni costo. Era un'ossessione». Andrea Occhipinti c'è riuscito con il cinema d'autore.
Prima facendo l'attore: «In realtà frequentavo l'alto e il basso. Passavo da La Certosa di Parma e la Famiglia di Scola a La settimana al mare di Mariano Laurenti. Il b movie era un'operazione alimentare, una questione di sopravvivenza. Le battute erano terribili, però duettare con Bombolo e assecondare sul set Lucio Fulci, cinico e intelligente, un artigiano di genio della grande scuola dei tecnici che abbiamo perso per strada, rappresentarono esperienze fondamentali per i decenni a venire».
Poi distribuendo capolavori in serie con Lucky Red. Occhipinti si è fatto conoscere come il latore di film dall'estrazione esterofila, con immagini indimenticabili e storie universali: Kitano e Haneke, Kechiche e Wong Kar-Wai. 400 film, 30 produzioni che da qui all'inizio del 2018, in apparente contraddizione con il momento cupo del sistema, aumenteranno.
andrea occhipinti sophia loren
La vicenda di Stefano Cucchi e il libro di Teresa Ciabatti, i nuovi progetti di Archibugi e Mainetti e quello di uno degli sceneggiatori più apprezzati d'Italia, Nicola Guaglianone: «Due anni fa con la Indigo di Nicola Giuliano e Francesca Cima abbiamo fondato una società di vendite estere che si chiama True colors. Perché lo abbiamo fatto? Perché rilanciare, in questo frangente, ci sembra l'unica risposta credibile.
andrea occhipinti edwige fenech
Abbiamo esportato titoli del valore di Perfetti sconosciuti, Fortunata, Le confessioni, Indivisibili. Crediamo nella forza del cinema, piangerci addosso ci annoia». Lucky Red, la società che all'azzardo di Occhipinti ha restituito Leoni, Palme d'oro e Oscar avrebbe dovuto chiamarsi Lucky Strike. Il tempo, sigaretta dopo sigaretta è volato, ma Occhipinti, 60 anni a settembre, è ancora qui: «Da giovane facevo la pubblicità di una marca di gelati e vivevo di poco, circondato da gente improbabile, avventure pericolose e proposte indecenti. Mi salvai perché avevo profondi ancoraggi sentimentali».
La sua creatura compie trent'anni. Impressioni?
«Tendo sempre a guardare avanti, poi arrivano gli anniversari e bisogna ricordare ciò che siamo stati. Ho sempre sentito un'identificazione anche impropria con certi titoli. Noi di Lucky Red, la mia banda, siamo stati quei film lì. Potevano rimanere belli e invisibili, invece li abbiamo portati fuori dalla nebbia e abbiamo aiutato a farli ricordare».
L'idea le venne nel 1987.
«Con il mio socio di allora, Kermith Smith, un americano di genio, sperperatore almeno quanto io ero parsimonioso covavamo l'idea di gettarci nel commercio. Kim aveva interpretato decine di professioni. Era stato manager di una finta compagnia di Flamenco, poi si era buttato nella compravendita di pelli italiane e infine produceva in Italia, con un suo marchio, capi di moda che poi rivendeva negli States. Fu proprio in America, vedendo un film di Almodóvar che pensammo Perché nessuno da noi distribuisce film così?».
Ve ne incaricaste voi.
«Iniziammo senza un soldo, con molti nubi sulla testa e qualche dubbio amletico: E l'affitto come lo paghiamo? Finiremo in mezzo alla strada?. Per lanciare la società usai senza vergogna la mia popolarità di attore».
Nell'87 comprò Cobra Verde.
«Ma poi non lo distribuii. Andai a Cartagena sul set. Bruciati dal sole, con un caldo feroce, Herzog e Kinski litigavano in continuazione. Klaus era strafatto, beveva whisky senza ghiaccio e imprecava rischiando quotidianamente l'infarto. Provava sollievo solo al riparo della sua stanza, con le tendine tirate sul sole, guardando film porno su uno schermo mastodontico».
I primi passi nel bel cinema?
«A Roma, nei tanti cineforum in cui ci recavamo ogni giorno. Avevamo capelli lunghi, vestiti usati e pantaloni a zampa d'elefante. Recitavamo una parte, pur senza esserne consapevoli».
Prima di lanciarsi nella distribuzione, incontrò Bo Derek in Bolero Extasy.
«Un film estenuante, faticoso, lunare. John e Bo Derek erano una coppia imperscrutabile. Lui le aveva dipinto il racconto addosso, lei rilasciava interviste entusiaste in cui confessava che prima di incontrare il marito, non sapeva se mettere ketchup o senape sull'hamburger. Bo aveva un ranch a Santa Barbara, andava a cavallo, spesso nuda, per la gioia dei cowboy e forse dei fotografi che la osservavano»
Come si salva il cinema?
«Sento dire che è morto da 40 anni. Si salva solo se si diversifica, se osa, se supera la gabbia asfittica della ripetizione».
In cosa è stata abile Lucky Red?
«Nel dimostrare che la radicalità di un'impresa culturale può determinare la crescita di un'impresa. Non era scontato».
Quando ha capito di avercela fatta?
«Nel 93. Distribuimmo Caro Diario di Moretti, Banchetto di nozze di Ang Lee, Belle Epoque che vinse l'Oscar e lancio una giovanissima Penelope Cruz e Molto rumore per nulla di Kenneth Branagh».
Trent'anni dopo continuate con la qualità.
«Non ho mai pensato che il pubblico andasse alimentato con la stupidità».
Non sogna mai di lasciare? Lucky Red potrebbe continuare anche senza di lei?
«Lavoro per quello. Le cose belle finiscono, ma la loro meraviglia sopravvive se c'è qualcuno che può tramandarle al tuo posto».