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DANIEL BARENBOIM È MALATO: SI DIMETTE DA DIRETTORE DELL’OPERA DI BERLINO - IL MAESTRO, 80 ANNI, SOFFRE DI UN DISTURBO NEUROLOGICO GRAVE: “SFORTUNATAMENTE IL MIO STATO DI SALUTE SI È GRAVEMENTE DETERIORATO NEL CORSO DELL’ULTIMO ANNO. NON POSSO QUINDI PIÙ FORNIRE LE PRESTAZIONI CHE GIUSTAMENTE SI RICHIEDONO A UN DIRETTORE MUSICALE” – MATTIOLI: “SE È DIFFICILE IMMAGINARE IL MONDO MUSICALE SENZA DANIEL BARENBOIM, È QUASI IMPOSSIBILE FIGURARSELO MALATO…”

Alberto Mattioli per la Stampa

 

 

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«Sfortunatamente, il mio stato di salute si è gravemente deteriorato nel corso dell’ultimo anno. Non posso quindi più fornire le prestazioni che giustamente si richiedono a un direttore musicale». Con questo comunicato. Daniel Barenboim ha annunciato le dimissioni dalla carica di direttore musicale della Staatsoper di Berlino e della sua orchestra, la Staatskapelle, che guidava da trent’anni.

 

Che Barenboim, 80 anni, stesse male lo si sapeva da tempo. Nel febbraio scorso, aveva annullato tutti gli impegni per un intervento chirurgico. Lui stesso, all’inizio di ottobre, aveva annunciato via Twitter di essere affetto da «una malattia neurologica grave». E infatti aveva dovuto rinunciare per la nuova, attesissima produzione dell’Anello del Nibelungo di Wagner della Staatsoper con la regia di Dmitri Cerniakov. Ma un momento di speranza si era avuto a Capodanno.

 

 

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Il 31 e l’1, il maestro aveva diretto la sua orchestra nella tradizionale Nona di Beethoven. Chi l’ha visto racconta che era arrivato sul palco in ritardo, si era issato a fatica sul podio e, in generale, era apparso molto stanco e invecchiato. Il pubblico, che gremiva la sala, l’aveva acclamato per più di un quarto d’ora. Adesso invece arriva una notizia che forse non lascia sorpresi, ma commossi, sì. Barenboim, il cui contratto come Generalmusikdirektor sarebbe dovuto scadere nel 2027, ha stilato un comunicato che sembra davvero un addio: «Questi anni ci hanno fatto volare, sia dal punto di vista musicale che umano. Siamo diventati una famiglia e lo resteremo. Va da sé che, finché vivrò, resterò strettamente legato alla musica e che sono pronto a continuare a dirigere, anche e soprattutto la Staatskapelle di Berlino». «Non si può che immaginare quanto questa decisione sia stata difficile per lui», commenta l’intendente del teatro, Matthias Schulz.

 

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Se è difficile immaginare il mondo musicale senza Daniel Barenboim, è quasi impossibile figurarselo malato. Come pianista e direttore, è sempre stato un bulimico della musica, iperattivo, infaticabile, inarrestabile. Nato a Buenos Aires nel 1942 da genitori ebrei emigrati in Argentina, a dieci anni era già concertista e a undici Wilhelm Furtwängler disse di lui che era «un fenomeno», definizione, con il senno di poi, azzeccatissima. Con gli anni, venne la direzione d’orchestra, nella sua roccaforte di Berlino ma anche come free lance in giro per il mondo, compreso un memorabile periodo alla Scala gestione Lissner di cui però non volle mai diventare direttore musicale, limitandosi al titolo vago di «maestro scaligero».

 

Fondamentale il suo rapporto con le opere di Wagner, che gli procurò molte polemiche in Israele, e la sua presenza di lungo corso sul podio di Bayreuth, dov’è tuttora uno dei maestri ad aver diretto di più. Ma negli ultimi tre decenni la sua casa è stata la Staatsoper, uno dei tre teatri d’opera di Berlino e quello più antico, situato sull’Unter der Linden (a est prima della riunificazione) e voluto da Federico il grande. Infatti sul frontone neoclassico c’è tuttora l’iscrizione meravigliosa «Federicus Rex Apollini et Musis», Re Federico ad Apollo e alle Muse.

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Intellettuale cosmopolita, saggista, di sentimenti e cultura progressisti, impegnato per la pace, specie quella in Medioriente, e i giovani, fondatore con lo scrittore Edward Said della West-Eastern Divan Orchestra dove strumentisti israeliani suonano insieme con palestinesi e arabi, Barenboim è un cittadino del mondo impegnato da sempre nel tentativo di renderlo migliore. Cosmopolita, lo ricordiamo sventolare davanti a un allibito funzionario turco che non l’aveva riconosciuto, alla dogana di Istanbul, i suoi quattro passaporti: argentino, spagnolo, israeliano e palestinese. Ma l’aveva sempre detto, che la musica non ha confini.

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