"IL DIRETTORE PEGGIORE CHE HO AVUTO? CARLO ROSSELLA. ERA POCO SERIO" – ALDO CAZZULLO SPARA CONTRO "CARLITOS": "PER LUI DIRIGERE UN GIORNALE SIGNIFICAVA GESTIRE EQUILIBRI, FAVORI. UN’IDEA DI GIORNALISMO LONTANISSIMA DALLA MIA" – "ANDAI A INTERVISTARE LUCIO DALLA POCO PRIMA CHE COMPISSE 60 ANNI CON L’IDEA DI FARGLI CONFESSARE LA SUA OMOSESSUALITÀ. QUANDO ARRIVAI A CASA SUA, LUCIO MI FA: GUARDI…" - E POI LA LITE CON MARINE LE PEN ALLA VIGILIA DEL BALLOTTAGGIO DEL 2017, LA JUVENTUS E MOGGI: "A DIFFERENZA DI MUGHINI HO UN GIUDIZIO NEGATIVO SU LUCIANONE…"
Estratto dell’intervista di Francesco Melchionda a Aldo Cazzullo pubblicata su https://perfideinterviste.it/
I direttori peggiori che ha avuto finora?
Con Carlo Rossella, sì, devo ammetterlo, non c’è stata molta affinità. Era un personaggio simpatico, anche affascinante, ma poco serio.
Che scherzo le fatto il buon Carlo?
Io avevo il sogno di andare a fare il corrispondente a Parigi, città cui sono legato in modo particolare. Ogni anno, in sostituzione del corrispondente che andava in vacanza, seguivo, per un mese, le vicende francesi. Sembrava sempre che non succedesse nulla, poi, all’improvviso, mi trovavo sempre a dover raccontare vicende intense, drammatiche: penso alla morte di Lady Diana, le bombe algerine, o il referendum per il trattato di Maastricht…
Insomma, quando Rossella mi incrociava nei corridoi della redazione, mi prometteva sempre una sede estera, di solito Parigi. Ma il culmine fu quando si liberò la sede di Bruxelles: propose, l’uno all’insaputa dell’altro, a me, Zatterin e Manacorda, di tenersi pronti. Poi mi disse: Aldo, dovresti imparare un po’ di tedesco, preparati per Bonn. Poi, quando portarono la capitale a Berlino, Berlino. Insomma, tante chiacchiere… Osservandolo da vicino, ho capito che per Rossella dirigere un giornale significava gestire equilibri, favori… Un’idea di giornalismo lontanissima dalla mia.
E’ rancoroso?
No, sono permaloso.
Quanti amici ha nella sua vita?
Avendo girato molto quand’ero bambino, direi pochi. Il mio più caro amico si chiama Lorenzo, e non fa il giornalista. Con lui condivido la passione per la storia e lo sci. Nel giornalismo, invece, Fabrizio Roncone, con cui ho scritto anche un libro. Ma non posso dimenticare, allo stesso tempo, Filippo Ceccarelli, Pigi Battista, persone che mi hanno insegnato molto. E tra i direttori, invece, Marcello Sorgi e Stefano Folli. Con Mauro, invece, è un po’ più difficile essere amico perché è un uomo asciutto, distanziante.
Come nasce la sua amicizia con Giampiero Mughini? Perché sentì la necessità di conoscerlo?
fiorenza sarzanini aldo cazzullo foto di bacco
Giampiero Mughini è una delle prime persone che andai a trovare, quando mi trasferii a Roma per lavoro, oltre ventidue anni fa. Aveva scritto un libro sugli anni Settanta che mi era piaciuto molto, «Il grande disordine»; siccome ne stavo scrivendo uno su Lotta Continua, avevo voglia e curiosità di incontrarlo.
In lui, come nei suoi libri, ho sempre trovato una profonda compassione per le sofferenze degli uomini, e un senso di ammirazione per la grandezza e la nobiltà d’animo che è una delle attitudini che mi ha trasmesso mio padre. Il massimo per me è Albert Sabin che rinuncia a brevettare il vaccino contro la polio perché “non appartiene a me ma all’umanità, è il mio regalo ai bambini di tutto il mondo”. Mi commuovo ogni volta che ci penso.
C’è qualcosa che non condivide di Mughini?
Tifiamo la stessa squadra, la Juventus, ma io a differenza di Giampiero ho un giudizio assolutamente negativo su Moggi.
Scrive, a volte, libri mainstream, risponde tutti i giorni ai lettori del Corriere, viaggia, verga editoriali, ricordi.
Non mi riconosco come scrittore di libri mainstream. Alcuni sono libri di successo, è vero. Ma spesso vanno controcorrente. Tanto per fare degli esempi: nel 2010 ho pubblicato “Viva l’Italia!” sulla difesa del Risorgimento, che è quanto di più fuori moda rispetto alla vulgata politica corrente; “Possa il mio sangue servire” sulla Resistenza, oggi molto denigrata; “Basta piangere”, contro il piagnisteo che è un po’ il tono medio del nostro tempo.
E’ drogato di lavoro? E’ compulsivo?
Sì, vero, lavoro tanto. Ma ho la fortuna di fare una cosa che mi piace, e, quindi, non sento il peso o la fatica di lavorare tanto, nonostante non sia più così giovane. La cosa bella de giornalismo è che un lavoro che coincide con la vita: cosa pretendere di più?
La sua presenza, così strabordante, non potrebbe essere ancor più apprezzata, con uno po’ di assenza?
Ci penserò, e terrò conto del suo consiglio. Ma tenga presente che in tv non vado quasi mai, se non a parlare dei miei libri. Quelle poche volte che mi invitano, vedo sempre con sollievo la fine della trasmissione.
Sovente, nella girandola delle poltrone, il suo nome è spesso associato a qualche poltrona di direttore. Chi è che, al momento opportuno poi, la cassa dalla lista? Se l’è mai chiesto?
Be’, qualche no l’ho detto. E forse è stato una fortuna.
Per lei o per i lettori?
Chi può dirlo? Certo per me.
In quale giornale, finita l’esperienza al Corriere, vorrebbe andare a lavorare?
Ho un ricordo bellissimo dei miei quindici anni alla Stampa, ma, in tutta onestà, vorrei chiudere al Corriere, che un po’ è anche casa. Renzo Piano dice che si deve morire nel cantiere. Per un giornalista, vuol dire morire scrivendo o andando in giro per il giornale…
Andrebbe mai a dirigere La Verità, Libero o il Giornale? Perché no?
Il problema non si pone perché non me lo chiederebbero…
E se, invece, glielo chiedessero?
Ma no, stia tranquillo, non lo faranno…
E’ più ambizioso o arrivista? Sembra molto feroce…
Arrivista per niente. Ambizioso sicuramente, e non ci vedo nulla di male.
Si è mai sentito qualche volta, al mattino, guardandosi un po’ allo specchio, una sorta di Bel Ami del giornalismo italiano?
Assolutamente no! Nessuno mi ha regalato nulla. Quello che mi sono conquistato non è piovuto dal cielo in cambio di qualcosa. I lettori te li conquisti con il lavoro e la fatica, e scrivendo cose interessanti.
Quante volte le è capitato di adulare un potente?
Mai, assolutamente mai! Non ho mai chiesto nulla a nessuno. Al massimo, ho potuto provare stima. Né farò mai politica.
Chi sono, oggi, secondo lei, i più grandi leccapiedi tra i giornalisti?
E’ vero che non godiamo di ottima fama in questo periodo, ma non penso ci siano oggi grandi leccapiedi in Italia; sicuramente ci sono giornalisti che, lavorando a stretto contatto con la politica e con il potere economico, a volte hanno la tendenza di mettersi al servizio di qualcuno.
Nei suoi articoli, raramente si scorge un vero graffio, una scorticatura profonda. Come mai la sua penna è sempre così equilibrata? E’ pavido? Vigliacco?
Nessuno, dinanzi ad una domanda del genere, le dirà mai, Francesco, sì, sono pavido o vigliacco! Ho scritto tantissimi articoli critici, per ricordare solo una vicenda ho litigato con Marine Le Pen alla vigilia del ballottaggio del 2017, stando sempre attento, però, a non offendere nessuno. Non mi riconosco nel ritratto che mi sta facendo…
Quale è stata la più grossa topica da che fa il giornalista? Se la ricorda una lavata di capo da parte di uno dei suoi direttori?
Avevo 23 anni e avevo fatto un articolo su una nuova cura promettente contro il cancro. Mi chiamò Gaetano Scardocchia, all’epoca direttore della Stampa, e mi fece una cazziatone terribile, dicendomi che non bisognava mai dare false speranze ai parenti dei malati. Fu una lezione molto utile, vale a dire avere il massimo rispetto dei lettori.
aldo cazzullo enrico letta foto di bacco
Si piace come uomo?
Non amo rivedermi, soprattutto quando vado in tivù.
E’ più fedele agli amici o alle donne?
Di donne preferisco non parlare. Anzi, le dico una citazione abusata: parlo con le donne, non delle donne.
Le fa più gola il danaro o una bella donna?
Nulla può essere più prezioso di una donna. Ho sempre sognato di avere una figlia femmina, ed è un sogno realizzato; anche se amo allo stesso modo, cioè moltissimo, il mio figlio maschio, che si chiama Francesco, come lei.
Come nacque la sua amicizia con Dalla?
Andai a intervistarlo poco prima che compisse 60 anni. E andai con l’idea di fargli confessare la sua omosessualità. Ero giovane, portare notizie, creare dibattito, discussione, fare casino. Quando arrivai a casa sua, Lucio mi fa: guardi, non ho nessuna confessione da farle. Poi, nel tempo, diventammo amici, e cominciammo a frequentarci. A distanza di anni – eravamo alle Tremiti – ritornando sul tema dell’omosessualità, Lucio mi disse che rifiutava etichette perché, nel tempo, aveva amato sia gli uomini che le donne.
Anche lei, come il suo amico Lucio Dalla, è un po’ bugiardo?
Lucio Dalla non mentiva, colorava: rendeva più bella e attraente la realtà. Tendo a essere una persona sincera, anche perché, oggi, con la rete, verrei subito sbugiardato. Alzi la mano chi non ha mai detto una bugia…
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