ITALIA POVERA (DI IDEE) - IL DIVINO ARBASINO RITORNA IN LIBRERIA CON “PENSIERI SELVAGGI A BUENOS AIRES” E SABATO A FORTE DEI MARMI RICEVERA’ IL PREMIO PER LA SATIRA - “PERCHÉ SI DOVREBBE AVER VOGLIA D’ANDARE ALLA MOSTRA DI VENEZIA? MI DICONO CHE NEL FILM DI BELLOCCHIO LA SCENA PIÙ BELLA SIA QUELLA IN CUI DEPUTATI DEL PARLAMENTO FANNO IL BAGNO...”
Cinzia Romani per "il Giornale"
«Questo premio mi fa piacere: me l'avevano offerto già un anno fa, ma non potei ritirarlo per un impegno precedente», dice Alberto Arbasino, che sabato riceverà il Premio per la Satira a Forte dei Marmi. Ha quattro volte vent'anni, lo scrittore contemporaneo più snob, originale e nostalgico d'un mondo perduto e affollato di storie, personaggi e situazioni che lui rievoca con l'impressionante vividezza d'un presepe mai smontato. Ma nessun giovane turco tiene il suo passo, mentre si scapriccia sulle piste dei Pensieri selvaggi a Buenos Aires, il suo ultimo libro edito da Adelphi.
Dove l'Anonimo lombardo, con la scusa d'un viaggio nelle grandi capitali sudamericane - da Buenos Aires a Montevideo, da San Paolo a Rio de Janeiro - compiuto nel 2008 racconta molto di noi, degli italiani di ieri e di oggi, tra l'Argentina e l'Uruguay, ma anche tra Sciuscià e Paisà , con Caruso e la Callas che al Teatro Colón «univano al guadagno coloniale il riposo dell'ugola». E di suo cugino Tillo Gatti, «avventuroso esploratore incontentabile dell'Africa ».
In America Latina sulle tracce di Claude Lévi-Strauss e dei suoi Tristi Tropici e invece della Pensée Sauvage trova tracce del cugino Attilio, detto Tillo...
«All'epoca dei Tristi Tropici di Lévi-Strauss, un'autobiografia romantica che ho letto per molto tempo, era curiosa l'idea che ci fossero le tribù Bororo, molto meste e rinchiuse nella loro tristezza nel Mato Grosso. Ma sono rimasto perplesso quando, uscendo da un ristorante a Buenos Aires, ho scoperto casualmente due volumi di foto scattate da mio cugino, che scriveva per il National Geographic, con selvaggi africani simili a quelli delle tribù descritte da Lévi-Strauss. Nel caso di Tillo era mal d'Africa. In quello di Lévi-Strauss, mal di Bororo».
Eppure la tristezza andina degli Inti Illimani va ancora in giro, da noi...
«Gli Inti Illimani? Da una trentina d'anni non ne sento parlare: saranno come i papagaios!».
L'unica dimensione accettabile resta quella del viaggio culturale?
«Ma qui c'è una povertà di idee spaventosa! Prendiamo il cinema: perché si dovrebbe aver voglia d'andare alla Mostra di Venezia? Mi dicono che nel film di Bellocchio la scena più bella sia quella in cui deputati del Parlamento fanno il bagno... Sono stato deputato, nei primi anni Ottanta, e non ho mai fatto una sauna a Montecitorio».
Quella scena è pittorica, Bellocchio voleva rifare un quadro da Basso Impero di Alma Tadema.
«Alma Tadema o Almodóvar? Allora avrebbe ragione Borges: seguendo l'antica Roma, tutti i senatori vanno a Caracalla. Magari ora ci sono fior di saune a Montecitorio e a Palazzo Madama, non lo so... ma io faccio un discorso generale: non c'è più quel pensiero "ah, devo uscire di casa per vedere questo o quel film". Uscendo di casa ci si domanda: com'è che nessuno tiene più al proprio look?».
In che senso?
«Intorno a casa mia vedo studenti universitari molto sciatti e poco puliti. Addosso hanno non solo vecchie magliette, ma magliette sporche. Non capisco come ci possa essere attrazione nelle coppiette lui- lei: sono tutti così malmessi e in disordine. Che tipo di attrazione provano?».
Nelle capitali sudamericane «già fiorenti e ora misere» ha ritrovato l'eco della nostra crisi?
«Da quelle parti un certo vitalismo circolava ancora, prima della crisi argentina dei bonds, o di quella brasiliana. Un'immagine fisica della crisi si è cominciata a vedere con i cartelli "Affittasi"o "Vendesi" scoloriti dal tempo: segno che nessuno affittava o comprava. Immagini tangibili d'una crisi economica più impressionante, laggiù, dov'erano pieni di vita».
Pieni di vita gli italiani non sono più?
«Da noi si vede l'abbassamento qualitativo in ogni settore. Basti notare che l'editoria va unicamente verso il bestseller: tra la crisi economica e il livellamento commerciale dei bestseller c'è un nesso. Non è che una sarà conseguenza dell'altro?».
Nei Pensieri selvaggi a Buenos Aires fa dire a Borges che il suo libro preferito è la storia della letteratura italiana di Momigliano. Volume che si trova solo in Internet. Come vede il libro elettronico?
«Io il Momigliano ce l'ho nella mia libreria. L'apprendimento delle lettere richiederebbe leggere molto e imparare poesie a memoria. "S'ode a destra uno squillo di tromba",o "L'albero cui tendevi la pargoletta mano"...versi che, mandati a memoria, non rappresentano solo un esercizio, ma formano un patrimonio comune.
Nella terza età , ogni giorno mi tornano in mente certe canzonette dell'Eiar: "Illusion/ dolce chimera sei tu". Nell'era dello e-book che c'è da mandare a memoria? Così come non ci sono più ritornelli di cui poter ricordare le parole. Al più, quel tum-tum-tum analogo per tutti».
Dal punto di vista musicale, dove si ferma?
«A Mina e a Battisti. Poi, andando indietro di generazioni, c'erano Nilla Pizzi, Alberto Rabagliati: nomi dimenticatissimi. Nel film Teresa Venerdì ricordo un'Anna Magnani stupenda, che cantava: "Qui nel cuor/ qui nel cuor/ c'è un amor". Cose volontariamente stupidissime, ma che per un paio di generazioni funzionavano. Poi, dopo i complessini inglesi o americani, chi ha più presenti le parole delle canzoni? Non s'imparano più né i versi di Carducci - "I cipressi che a Bolgheri, alti e schietti" - , né si ricordano i versi cretini delle canzonette: la memoria si esercita poco».
C'è oggi un personaggio femminile alla Evita Perón, molto citata nel suo libro?
«No, nessuna ha l'allure della Presidenta, che d'altronde aveva fatto l'attricetta. Mi fermo alla Callas: voce non bella, ma drammaticissima e portamento scenico eccezionale».







