
TELECOMANDO DOTTO: “PER CONVINCERMI CHE IL CANONE NON E’ UN FURTO E’ SERVITO UNA PUNTATA DI ‘FUORI BINARIO’, UN FORMAT DI RAITRE PRODOTTO DA RAI ITALIA, VIAGGI IN TRENI IMPROBABILI FUORI DALLE ROTTE CANONICHE, TRAIETTORIE OBLIQUE, STAZIONCINE SOSPESE, FIGURE MITOLOGICHE” (VIDEO)
Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Bisogna tastarlo ogni tanto a caso il telecomando, nelle ore più improbabili, con la vena del rabdomante. Mi succede domenica mattina alle dieci, scanso un paio di boiate, la solita colata immonda di sughi sberciata dalla solita, confondibile e intercambiabile gola profonda e mi lascio sequestrare da una voce angelica. Non ci credo. Non è lui, non può essere lui. Matteo Salvatore, l’usignolo di Apricena, cantore sublime di ballate della povera gente. E’ lui. Mi fermo.
Da qui, da questa voce, mi può schiodare solo se bussa Elvis Presley alla mia porta. E’ un documentario sul Gargano. Puntata di “Fuori binario”, un format di Raitre prodotto da Rai Italia, viaggi in treni improbabili fuori dalle rotte canoniche, traiettorie oblique, stazioncine sospese, figure mitologiche, nelle pieghe mai viste di una provincia che ha storie ed energie da spendere e da raccontare, ben oltre l’assordante circo cazzaro degli intrattenimenti di massa. In questo caso il racconto è di Giuseppe Sansonna, autore Rai, di cui ricordo il bellissimo film sul ritorno di Tomas Milian a Cuba.
La voce di Salvatore va su un’altra voce antica, la mamma quasi novantenne di Andrea Pazienza, nella sua casa di San Severo. Quest’anno, tra pochi giorni, avrebbe compiuto sessant’anni Andrea, non fosse morto di overdose in un giugno qualunque come questo di ventotto anni fa. Quanto resta di lui se ne sta nel cimitero della San Severo in cui è cresciuto, sotto una gigantesca pietra garganica.
“Amore sacro di donna velata. Dolce mammella della mia amata. Strano paese vestito a lutto. Strana la gente, strano che tutto sia così strano. Ma questa è l’anima del mio Gargano”. Lo raccontava così, Andrea Pazienza, da innamorato, il suo promontorio. D’inverno, a Bologna, respirava e disegnava gli umori tossici di un mondo in violenta mutazione. D’estate ritrovava, nell’asprezza delle sue pinete a picco sul mare, una tregua temporanea da se stesso.
Terra di eretici visionari, il Gargano, detto da sempre la “Montagna sacra”. Come il Salento contaminato dai turchi di Carmelo Bene. Matteo Salvatore aveva la faccia di un diavolo di campagna, ma cantava come un angelo, sibilando in falsetto tagliente le vicende di braccianti con la schiena curva, frustati dal soprastante.
Incantevole anche l’inserto su Jules Dassin, re del noir americano, che da queste parti, quasi sessant’anni fa, trascinò Mastroianni e Yves Montand, per vederli giocare da rivali con la carnalità di una Gina Lollobrigida mai così sensuale. Il film si chiamava “La legge”, il nome un gioco di carte locale, carico di feroci simbolismi e bagnato di vino forte, tuttora in voga tra i carpinesi.
Passano Mastroianni e Montand ed ecco, a Peschici, Alfredo Bortoluzzi, pittore e ballerino, scuola Bauhaus, allievo e intimo di Klee e Kandinskij, recluso ad Auschwitz e miracolosamente scappato. Finito qui, a Peschici, vagando estasiato per il sud Italia. Guarda quella distesa bianca di case a cupola e gli sembra di essere sbarcato in Palestina. Ci rimane per quasi mezzo secolo, fino alla morte. Portava la birra ai pescatori locali e si stordiva con loro. Li ritraeva come discepoli a tinte lisergiche sulle pareti della chiesa locale. Un’ora così e quasi mi convinco che il canone non è un furto.