MOMENTI DI TRASCURABILE BANALITA’- FRANCESCO PICCOLO: "RACCONTO UN’ITALIA SENZA QUALITÀ? FORSE... - NON FACCIO MAI POLEMICHE? CON LANDINI L’HO FATTA. NÈ LUI, NÈ LA CAMUSSO TRASMETTONO UN’IDEA DI SINDACATO MODERNO - RENZI? L'HO VISTO UNA VOLTA"...
Francesco Merlo per “GQ” pubblicato da “il Foglio del lunedì”
Cosa stai preparando? «La serie tv tratta dalla saga della Ferrante». Le fiction della Rai sono terribili. «La scommessa è realizzarne una bella», dice Francesco Piccolo con un accenno di infelicità alla Woody Allen, la stessa, in metafora, di uno dei suoi Momenti di trascurabile infelicità (Einaudi): «Quando mi dicono: ti potevi vestire meglio. E io mi ero già vestito meglio» (pagina 9).
Dunque, sul muro dello studio, c’è la mappa dei personaggi della Ferrante, la scrittrice dell’anno: anche lei è alla moda come te. «Se dici “alla moda” e intendi fatuo, sciocco e superficiale, spero proprio di no». Strega, David, Nastri, Globi... nel Paese dei premi tu premi e sei premiato. Non ti imbarazza? «Niente affatto». Longanesi diceva: «In Italia non basta rifiutare i premi, bisogna anche non meritarli». «È passato il tempo di quella ironia. E comunque il rifiuto o il disprezzo, con l’aria di negarli, rafforzano e ribadiscono i premi».
Già nel 1963 tra I mostri... «Sì, lo so. Nel 1963, un anno prima che io nascessi, la Bellonci era uno dei mostri di Dino Risi». Interpretata da un Gassman con la gonna. «Divertente e amaro. Ma lo Strega non è solo quello, da lì è passata la grande letteratura.
E quest’anno, in giuria, mi sono battuto per i libri più belli». Vale a dire per la Ferrante, che sceneggi per la Rai. «Che altro avrei dovuto fare, se non cercare di premiare il migliore?». Forse in Italia ci vorrebbe una sospensione decennale di tutti i premi, come una moratoria nucleare. «I premi non vanno mitizzati, ma anche offendere il premio che ti danno è retorica e conformismo».
Quando assegnano un Oscar a un italiano sembra che arrivi un piano Marshall. «Siamo provinciali. Anche in questo c’è del bello. Del resto anche i premi che “non” ci danno vengono mitizzati. Se ce li danno, siamo alla moda. Se non ce li danno, non valiamo niente». Stai parlando dei film di Sorrentino, Garrone e Moretti a Cannes? «Sì. La verità è che ci sono film italiani premiati, non solo con l’Oscar, che sono dimenticati. E altri che sono indimenticabili». Nuovo cinema paradiso e La vita è bella, per esempio. «Per esempio».
Tu non fai mai polemiche? «Con Landini l’ho fatta». Spari sulla Croce Rossa? Oppure ti piace la Camusso? «Per carità. Non mi sembra che nessuno dei due trasmetta un’idea di sindacato moderno». Li conosci personalmente? «No». A GQ Landini ha detto che preferisce Benigni a Che Guevara e che il suo modello è Massimo Troisi. «Così ti ha detto, ma nella sua attività politica tutto questo non si vede».
Quali politici frequenti? «Nessuno». Renzi? «L’ho incontrato una sola volta». Veltroni? «Veltroni sì, lo conosco bene». Chi sono i tuoi modelli? «Non vorrei sembrare presuntuoso dicendo Ennio Flaiano. Anche lui scriveva per il cinema e per la letteratura». E anche lui somigliava fisicamente a un orso. «È vero. C’è qualcosa...».
È l’antropologia dello scrittore da trattoria romana, come questa dove siamo adesso, La Fraschetta, quartiere Testaccio. Ci vieni spesso? «Sì». Con Sorrentino? «E con Virzì. E qualche volta con Benigni. Nicoletta, forse per ironizzare sugli scrittori da trattoria, dice che non le piace la cucina».
E con Moretti? «Con lui di meno». Come lavori con Moretti? «In genere siamo in tre: parliamo e scriviamo». E chi sta alla tastiera? «Io. Ma solo per comodità». Insisto: di chi fu, ne Il caimano, l’idea della valigia piena di soldi? «Non lo so, di nessuno, di tutti», dice, e la reticenza mi ricorda un altro momento di trascurabile infelicità: «Quando ci si trova di fronte alle porte dove c’è scritto “staff only” e non si può entrare».
Il Testaccio è la vostra via Veneto? «Non ci avevo mai pensato. È qui che sono venuto, quando arrivai a Roma da Caserta». Come tanti campani, sei un napoletano non di nascita. «Roberto Saviano, napoletano, è un casertano non di nascita. Con Sorrentino, napoletano di nascita, ci legano tante cose: è anche mio vicino di casa all’Esquilino. In provincia di Napoli è nato Starnone che pubblicò i miei primi racconti». Come vivevi a Caserta? «Bene. Avevamo un ristorante».
Qual era il tuo bar, il tuo Mocambo? «C’eravamo noi del Bar Boys e quelli della Veneziana». Come vi distinguevate? «Il modo di vestire, le moto, un po’ meno le discussioni». Quando torni ritrovi i vecchi amici? «Sì».
Vengono anche quando ti premiano? «Mai». Ti vedono come una minaccia? «È come se non me ne fossi andato. Mi sento come il Giovanni Percolla di Brancati che ritrovava la sua cameretta»... «E tutto il corpo gli si intiepidiva sino ai calcagni». «Appunto, perciò preferisco che non vengano, è rassicurante».
Di Flaiano ti manca il veleno. «Io sono contento, lui era disperato». Lui scriveva poco, tu sei incontinente: non è facile immaginare un Sanremo di Flaiano. «E chi può dirlo? Io sono stato felice di farlo. Sanremo per un italiano è la memoria. Anche io sono cresciuto con quelle canzoni». Quali ? «Nada, il Celentano di Chi non lavora non fa l’amore, la Zanicchi, Nicola di Bari...». Ti piaceva già il cinema? «Certo, c’era il primo De Niro». Dunque Nada e Taxi Driver? «E ti dico che mi piacerebbe pure scrivere canzoni».
C’è anche un’Italia, bella e importante, che abolirebbe Sanremo, lo considera il festival della cialtroneria. «Lo so. Ma io ho scritto dei libri contro l’idea della purezza della mia generazione, contro la presunta superiorità morale della sinistra». Ci sono impurità che danno più brividi di Sanremo. E da ragazzi ci si può sporcare con altri materiali: Rimbaud per dire, o Jim Morrison. «Sicuro, ma io non ricordo tanti ragazzi che mi dicevano “a Sanremo preferisco Rimbaud”. E voglio anche dire che a Sanremo ho lavorato in un gruppo che mi piace molto e forse lo abbiamo anche cambiato, il festival».
Ammetterai che quella di Fazio è l’Italia sussiegosa, un po’ finta e verniciata di politicamente corretto che spesso parla di libri che non ha letto. Lì c’è il cretino di sinistra che non ha bisogno di leggere Gramsci perché, tanto, vede Fazio. «Sì, ma quella sinistra non è fatta solo di cretini e Fazio è bravissimo nel suo mestiere».
Hai mitizzato la piazza dei funerali di Berlinguer. «C’eravamo tutti. È difficile negarlo».
C’erano gli stessi che sono poi andati a salutare Sordi e Gassman e l’avvocato Agnelli, e Lucio Dalla: è la retorica italiana del caro estinto. Polemizzare con Francesco Piccolo è un garbato divertimento. Se io gli dico per esempio che ha composto nei suoi libri la poetica della banalità italiana, della vita senza qualità, lui ammette, ma corregge: «Ho raccontato la vita quotidiana, le piccole cose individuali che incontrano le grandi cose collettive. È un’Italia senza qualità? Forse, ma qualcuno doveva pur raccontarla».
Facciamo un elenco: Jovanotti nella canzone, Cattelan nell’arte, Carlo Conti a Sanremo, i conduttori dei talk show; di letteratura e cinema abbiamo detto; in politica si va da Toti in Liguria a Marino a Roma, sino al grigio-eccellenza di Mattarella... «Davvero era meglio prima? Io sono un progressista, credo che oggi sia meglio di ieri e che il meglio deve ancora venire».
Dunque il tuo libro migliore non l’hai ancora scritto? «Tutti gli scrittori lo pensano». E parliamo di Sciascia che, coccolato dalla società letteraria, divenne un bastian contrario, come racconta nel suo Candido (1977), quando «tornando una sera da quelle riunioni disse: “E se fossero soltanto degli imbecilli?”, e fu il principio della liberazione, della guarigione». E il tuo futuro? «Non lo so, non lo escludo». Se è così, il tuo bel talento, che è forte ed evidente, non ha ancora prodotto il grande libro o il grande film, quello che sul retro non ha data di scadenza. «La prendo bene, come un augurio»
nanni moretti da fabio fazioPICCOLO FAZIO MORETTIFABIO FAZIO FA JOGGING