TIRA UNA BRUTTA SATIRA - FULVIO ABBATE PRENDE A SBERLE LA FLACCIDA SATIRA ITALIANA: “HA MOSTRATO IL CORAGGIO DI UN VELTRONI. UNICHE ECCEZIONI VAURO E VINCINO. CERTE VIGNETTE DI ELLEKAPPA SEMBRANO SUGGERITE DAI PROBIVIRI PD”
Fulvio Abbate per “il Garantista”
Certa satira italiana, anche dopo l’assassinio degli amici di “Charlie Hebdo”, sembra che voglia piacere soprattutto a chi possiede la statura mentale, la verve e il coraggio di un Veltroni, del comico Siani. Satira a “vocazione maggioritaria”, insomma.
E’ triste, ma è così. Un giornale “irresponsabile”, felicemente, liberamente, laicamente, eroticamente tale come “Charlie”, qui da noi è davvero impensabile. Che orrore, la miseria del cinismo ruffiano romano, dove si è tutti amici. Amici, un cazzo! Esatto, satira davvero del cazzo, satira raccomandata sempre dagli stessi. Satira organica, come certe vignette di ElleKappa, che sembrano suggerite dai probiviri PD.
Un po’ di memoria, dai. Un po’ di memoria personale. Io negli anni Settanta, i primi: “Mamma, già che vai a Parigi, mi compri ‘Charlie Hebdo’?”, così - sarà stato il 1974, e ancora nell’80, quando quelli lanciarono la candidatura di Coluche all’Eliseo con lo slogan “Un presidente blu bianco e merda - proprio così le dicevo, affinché Gemma, mia madre, prof di francese, donna libera, agnostica, mi rendesse contento e soddisfatto.
Come no, al ritorno sulla copertina di “Charlie Hebdo” c’era un cazzo disegnato proprio da Wolinski e la scritta “Franco Assassin”, scritto pure sui coglioni. Il perché è semplice: “Charlie Hebdo”, con l’immenso Wolinski e tutte le altre sue firme, dava appunto soddisfazione al principio laico e repubblicano che la satira, se così vogliamo riduttivamente chiamarla, è libertà assoluta, ha, anzi, il felice dovere di sputare in faccia a dio, patria e famiglia, e perfino cognati ottusi e fascisti, e magari di andare anche oltre: indimenticabili, le copertine dove si ironizzava anche sui vecchi, gli handicappati, le donne, i nazisti, dove si planava ridendo sui prati dell’ottuso senso della realtà. Un riso assoluto, coltivato in nome di un socialismo libertario e ancora, come nel caso di Wolinski, un comunismo erotico.
FULVIO ABBATE VISTO DA WOLINSKI
Torniamo adesso alle miserie di casa nostra. Già, le parole pronunciate nei giorni scorsi da Claudio Sabelli Fioretti, già direttore (affossatore, secondo alcuni) di “Cuore”, ci fanno sprofondare invece nel più responsabile e paraculo ghigno della simpatia, tale perché spalmato di un insopportabile senso doroteo contrabbandato per acume politico, proprio nostrano.
Un senso della simpatia che dà di gomito ai De Bortoli, ai Mieli, ai Mauro, ai burocrati del giornalismo e dell’informazione tutta, e sembra dimenticare invece, se non la tragica fine, comunque il giacimento di ironia felice che i poveri morti di “Charlie Hebdo” ci hanno donato nei decenni. Davvero un cinismo del cazzo, quello di Sabelli Fioretti. Anzi: un cinismo da corridoio di redazione romana della Rai.
VIGNETTA ELLEKAPPA DA REPUBBLICA SALUTO ROMANO ALEMANNO
Intendiamoci, non credo che CSF sia solo in questa sua convinzione, ma eccole le sue parole responsabili, eccole qui: “Se Piazza Duomo è minata e tu per protesta la attraversi, sei un cretino. Bisogna fermarsi prima”.
D’altronde, qui in Italia è impossibile perfino far capire cosa voglia dire Repubblica (tutti pensano appunto al giornale di Scalfari e di Concita De Gregorio con i suoi pensieri degni di una trousse, lo stesso che anni fa censurò il disegnatore Riccardo Mannelli, reo di avere toccato chissà quale una dama dei salotti in una vignetta) non certo ai principi della libertà e della laicità.
E che tristezza, sempre restando in tema, ricordare che l’Italia, forse, repubblica pienamente non lo è mai stata, se è vero che continua a vivere sul collo di povera ragazza indifesa il fiato del Vaticano; davvero magra consolazione che, diversamente da quegli altri, quelli con le barbe, dalla Segreteria di Stato non abbiano mai mandato i loro preti, pedofili e non, a sterminare la redazione del “Male” di Vincino e dei suoi compagni negli anni Settanta e nei primi Ottanta.
Il “Male” è stato forse l’unico momento pienamente liberatorio per la satira italiana, dove appunto, accanto alle prese per il culo all’indirizzo di Giovanni Leone e Ugo Tognazzi “capo delle BR”, c’era pure modo di vedere sfanculare dio patria e famiglia e pure Berlinguer.
E ancora che pena, l’altra sera, Zoro con il suo “Gazebo” a raccontare l’eccidio di “Charlie Hebdo”, il suo sembrava un documentario turistico da Parigi, schiuma a favore del conformismo dal volto umano democratico, risate dolenti ancora una volta destinate a creare consenso perbenista, da vecchia scampagnata figiciotta e, in prospettiva renziana, nulla che desse l’idea di sollevarsi dalla linea di terra della solita mediocrità veltroniana, d’altronde.
Lo ripetiamo, la satira italiana, forse perfino in assenza di un suo giornale, nella sua diaspora, fatto salvo rare eccezioni come Vincino, il Leonardo Sciascia della satira italiana e un Vauro fin troppo “totus politicus”, vive nell’esilio imposto da un paese che, nel suo tanfo di sagrestia e di commissariato, non sembra più aver voglia di ridere in libertà.
Un paese che merita il volto dolente, da Ecce Homo modello base di Michele Serra come massima forma di umorismo con ovvia sordina per non dispiacere i soliti, i referenti, quelli che ti consentono infine di fare perfino il festival Sanremo. Dimenticavo: onore al “Fatto Quotidiano”, altrove nemico della fantasia, che ha comunque scelto di pubblicare il numero “Charlie Hebdo” che segue i giorni della strage. Mi dicono però che la decisione è venuta fuori dopo un’assemblea infuocata, evidentemente anche lì il virus veltroniano deve essere riuscito in parte a spandersi.
Diciamola tutta: l’unica buona notizia sul fronte nostrano della satira è forse l’arrivo in edicola di “La Croce” dell’amico Mario Adinolfi. E questa che sembra quasi una metafora dello stato delle cose, è invece il residence nel quale saremo ancora costretti a soggiornare. Una croce con angolo-cottura e, si spera, anche angolo-bagno.
In solitudine, solleviamo il pugno chiuso della Francia felice e in vacanza del Fronte popolare, lo stesso che permise a molti di vedere per la prima volta il mare, in memoria di Wolinski e degli altri nostri compagni caduti sul fronte dell’ironia. Perché la satira è il nostro mare, mentre quegli altri sono semmai anticamera. No pasaran!