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COM'È DOTTO STRONCARE - GIANCARLO DOTTO SU ''OPEN SPACE'', COSTOLA DELLE ''IENE'': ''NON SONO UNA MONACHELLA, MA PROVO VERGOGNA PER QUESTA TELEVISIONE. PER ME CHE LA GUARDO E PER LORO CHE LA FANNO. QUATTRO ORE TAPPEZZATE DI 'MERDA', 'CAGATE', 'TROMBARE', 'CAZZO', 'CAZZATE'''

Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia

giancarlo dotto intervistatogiancarlo dotto intervistato

 

Da qualche tempo mi capita che guardo la televisione e provo vergogna. Per me che la guardo e per loro che la fanno. E non sono una monachella. Ieri sera ho visto la prima puntata di “Open Space” su Italia Uno. Non mi capitava di vergognarmi così dai tempi in cui un seminarista erotomane mi chiese da giocare a marito e moglie sui prati di Valle Giulia. Avevo dieci anni. Lui era il marito.

 

Alla vergogna di oggi si accompagna, a differenza di quella di ieri, confusa e smarrita, un pensiero chirurgico e per nulla malinconico: se il mondo è questo, lasciarlo non è un cattivo affare. Chissà perché, mi viene in mente Lucio Magri. Quel giorno che prese la sua valigetta e partì in treno per Bellinzona a darsi il suicidio assistito. Non so se aveva visto la televisione, di certo quello che gli stava intorno, chiamiamola vita, gli era diventato intollerabile.

 

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“Open Space” è l’evoluzione talk, social e modaiola delle “Iene”. Discende dagli stessi lombi: il cinismo luciferino degli Antonio Ricci e dei Davide Parenti. I due sono gli Hannibal the Cannibal dei nostri schermi. Ma, senza museruola. Una televisione tanto più malvagia quanto più si trucca da crocerossina. Ingaggiano un manipolo di ragazzotti disposti a tutto, li addestrano come samurai e li spediscono ovunque c’è il marcio, a beccarsi distintivi e calci in culo.

 

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Di quel marcio, satanicamente scomposto e montato, ne fanno uno spettacolo ipnotico, inesorabile, dove la vittima di turno è il male o lo scemo assoluto. Tipo spiumare vivo il povero cristo che difende la legalità delle scommesse e vellicare languidi il presunto assassino venuto a presentare il suo libro, per la serie la televisione non resiste all’appeal criminale.

 

Di sicuro, “Open Space” è un punto di non ritorno. Azzera tutto quanto è accaduto in precedenza in fatto di talk. In quanto meglio del peggio, dunque il pessimo, non merita il flop assoluto della prima puntata (share fermo a un modesto 5.72). Merita qualcosa di più, almeno una stroncatura definitiva in mancanza di un conclamato successo.

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Cominciamo col dire che, al centro della scena, si agita una bionda sinuosa (perché i caschetti biondi, a cominciare dalla Caselli, sono sempre così determinati?) che s’insinua come un cobra nelle costole dei suoi ospiti. Si chiama Nadia Toffa. Da iena era scomoda, da santoressa sfiora tutt’al più l’impertinenza. Lo studio è molto bello, tutto il resto abbastanza repellente.

 

A partire dal linguaggio. Il disperato tentativo di mostrarsi anticonformisti. Il conformismo giovanile che i satrapi luciferini cavalcano freddamente dal freddo acuto del loro scheletro a prova di bomba. Vecchia storia. La storia che si ripete. Horror puro. Quattro, forse cinque ore tappezzate di “merda”, “cagate”, “trombare”, “cazzo”, “cazzate”.

 

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Arriva anche un “merdina” dalla voce di Francesco Totti, sicario di Ilary. Ogni “merda”, meglio se urlata, corrisponde a un’indulgenza acquisita per accedere al paradiso dei non conformisti, 72 apparizioni televisive garantite invece delle 72 vergini. Ogni “cazzo” sparato e sei nel cerchio magico di “quelli che possono”, nel club esclusivo di “quelli che se ne fottono”.

 

Si distingue tale Paolo Ruffini, presunto comico. Commentando l’inesorabile Miss Italia, il cui unico, esilarante spasmo, tipo il nastro interrotto del beckettiano Krapp, è ormai replicare che lei “non ha nulla contro la guerra”, la sua prima battuta è: “Me ne sono trombate di peggio”. Ovazione. Ruffini gongola. Lo sfintere più leggiadro che mai.

 

Seconda repellenza. La demagogia del web. E qui il cinismo autoriale tocca vette da capogiro. Mi gioco casa, madonnina ad altezza naturale inclusa, che il Davide Parenti di turno, intelligenza notevole per quanto bieca, fosse per lui darebbe fuoco al popolo e alla democrazia del web. Qui ne fa la classe regina. Risultato. Credete alle vostre orecchie.

open space luca e paolo nadia toffaopen space luca e paolo nadia toffa

 

Ospite applauditissimo uno che, lì per lì, scambio per Dolgopolov con il codino, il genio efebico pazzo del tennis, e invece è Raffaele Sollecito, proprio lui. Uguali. Domanda del web, che la Toffa fa leggere allo stesso Sollecito: “Da quando sei uscito di galera trombi di più?”. Altra. “Te li fai i selfie con la gente per strada?”. Mi vergogno. Spengo. Riaccendo. Non resisto.

 

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Il ragazzo, devo dire, non cede alla scurra, tiene uno stile (l’unica volta che dice “tromba” è la tromba delle scale), salvo indugiare un po’ tanto, troppo, sul refrain, “come ho scritto nel mio libro”. Sentenziato innocente, per carità, ingaggiato nella promozione, lo capisco. Ma, chissà perché, il pensiero mi slitta e scivola nella fessura di una tomba dove il teschio di una ragazza se ne sta assente, nell’eternità, a non chiedersi nemmeno perché.

 

I Luciferi montano la bagarre contro le scommesse legali e non si fanno scrupoli di promuovere un libro che nasce, all’origine di tutto, sul corpo macellato di una ragazza. Dove sta il bene, dove sta il male? Jack lo Squartatore sarebbe oggi una star televisiva. Il mostro acchiappa. Tira. Non serve esagerare alla Charles Manson, non devi ammazzare la nonna. Basta truccare una partita. Il calciatore che confessa telegenico d’essere un baro e d’avere dunque preso per il culo migliaia di poveracci che hanno scambiato la squadra del cuore per la mamma.

 

don mario bonfanti con nadia toffa open spacedon mario bonfanti con nadia toffa open space

Descrive con puntiglio mondano le sue malefatte in campo e, alla fine, se la cava alla grande, fonetizzando anche un po’ figato: “Perché vuoto il sacco? Uno, per liberarmi del peso. Due, per non finire in galera”. Buona la due. C’è anche un ex prete che somiglia ad Alfonso Signorini. “Ringrazio Dio di essere gay tutti i giorni”. Standing Ovation. Dio tace. E forse si vergogna.

 

 

 

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