IL CINEMA DEI GIUSTI - SERRA, MALTESE, E PURE LUCA SOFRI: TUTTI COSTRETTI A VEDERE ZALONE PER PARLARNE MALE

1. LA CRITICA DI LUCA SOFRI SU ZALONE: "DEBOLUCCIO, MEGLIO IL TRAILER DEL CINE-PANETTONE"

http://www.wittgenstein.it/2013/12/02/checco-zalone/


2. POVERI SERRA, MALTESE, SOFRI: COSTRETTI A VEDERE ZALONE PER PARLARNE MALE
Marco Giusti per Dagospia

Ci siamo. Dopo Michele Serra ecco Curzio Maltese poi Luca Sofri e poi non so chi altro. Uniti, al di la' di cosa dicono e pensano, dalla stessa malattia. Cioe' il dover parlare di Checco Zalone, anche adesso che il suo film sta uscendo dalle sale e calando negli incassi, facendo vista che si sono degnati di vedere il film in sale vuote o semivuote per capire il fenomeno scendendo di categoria. Finendo nell'inferno del comico e delle sale popolari. Che orrore.

Quasi meglio Brunetta che in malissima fede ne coglie una inesistente lettura berlusconiana. E ne coglie comunque un aspetto, la positivita', che ne ha in parte decretato il grande successo. In questi casi non c'e' nemmeno una lettura, un'analisi del fenomeno. C'e' solo la messa in scena dello sforzo che l'intellettuale fa per andare al cinema.

Non per vedere il film da festival la domenica pomeriggio, ma per lavorare, cioe' esercitare il loro sapere su un oggetto cosi' basso. Che piaccia o meno il film, che si capisca perche' abbia incassato 50 milioni in quest'Italia devastata dai Brunetta e dai Maltese e' del tutto indifferente e poco interessante. Conta andare al cinema perche' gli altri lo fanno e avere un'opinione da scrivere.

Non conta certo aver studiato questo cinema, conoscerne i meccanismi narrativi e i problemi di collocazione all'interno di un genere, di una certa filmografia e di una certa produzione. Come se il cinema fosse un'arte o un'industria. Almeno Benedetta Tobagi su "Repubblica" fa un compitino da studiosa rivedendo i film, ma i Serra-Sofri-Maltese nenache quello.

Perche' dovrebbero divertirsi al cinema se non lo conoscono, se non capiscono i linguaggi youtubbistici adorati dai ragazzini. Zalone e Nunziante hanno fatto un gran lavoro al montaggio per costruire una macchina di cinema comico, una macchina costruita per far ridere un grande pubblico popolare. Puo' non piacere. Ma la macchina era perfetta al punto che il suo pubblico l'ha capita.

L'intellettuale medio no. Quello che mi stupisce a 60 anni e' che esattamente come per il western di Sergio Leone o per gli Ercole di Pietro Francisci i critici e gli intellettuali non hanno nessun interesse a capire e a vedere quello che non conoscono, quello che hanno gia' bollato come inutile. E finiscono quindi con il leggerlo come non-cinema, come -massimo orrore - televisione. Come se la televisione fosse qualcosa di facile da analizzare e da fare.

Staccandosi razzisticamente dall'oggetto di studio, non e' cinema, credono di poter superare il problema. Ma sono loro a essere non critici e non studiosi, non il film di Checco, che arriva dove voleva arrivare, a non essere cinema. Fossi un direttore di giornale mi preoccuperei rispetto a giornalisti che non solo non capiscono i fenomeni, ma fingono di azzerarli, mentre i fenomeni riflettono sempre mondi e linguaggi complessi che sono cresciuti sotto il nostro naso.

Solo che non se ne siamo accorti, attratti dalle grandi bellezze dei film da festival, dai tormenti dei registi impegnati che puoi degnarti di frequentare. Al giornalista di cronaca chiedi per prima cosa i fatti, non cosa pensa di una cosa che si rifiuta di conoscere. Un regista come Dino Risi sapeva perfettamente quanto valeva lui e quanto valevano i suoi critici che non avevano capito ne' "I mostri" ne' "Il sorpasso".

Quando la storia rimise a posto le cose si vendico'. Il grande Carlo Monni quando entro' in sala a Firenze a vedere "Per un pugno di dollari" resto' cosi' colpito dal film che ci rimase tutto il giorno per impararne a mente le battute come si faceva allora. "Il mio mulo non gradisce che si rida di lui". Ma nessuno in Italia tratto' Leone come meritava fino agli anni 70.

Oggi ne' Serra ne' Sofri ne' Maltese sono stati rapiti dalle battute di Zalone, hanno riso cinque o sei volte al massimo. Non e' Leone non e' Francisci, ma un film cosi' popolare avra' una sua dignita' e un tessuto da analizzare. Inoltre e' indubbio che qualcosa con questo film e' cambiato per sempre. Anche al di la' del valore del film.

Che la tv o l'essere internazionali, soprattutto rispetto a giornalisti che a stento parlano una parola d'inglese non c'entra niente e c'entra invece un'attenta analisi della commedia degli ultimi anni e dei modelli di vita degli italiani. Per questo e' un film politico. E anche per questo non lo hanno capito.

 

 

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