NAZISTA A CHI? - GLI EREDI DEL FONDATORE DELLA CASA AUTOMOBILISTA RENAULT DIFENDONO IN TRIBUNALE LA MEMORIA DEL NONNO: “DE GAULLE NAZIONALIZZÒ LA COMPAGNIA CON L’ACCUSA NON PROVATA DI COLLABORAZIONISMO COI NAZISTI. ORA VOGLIAMO GIUSTIZIA E UN INDENNIZZO” - CON LA SCUSA DI HITLER, AI RENAULT FURONO TOLTI IL 96,8% DELLA SOCIETÀ, TERRENI IN SAVOIA, DUE PALAZZI SUGLI CHAMPS-ELYSÉES, UNA FABBRICA IN BELGIO E ALTRO ANCORA…
Alberto Mattioli per "La Stampa"
Ieri in Tribunale a Parigi si è dibattuto un fatto che risale al 16 gennaio 1945. Ma stavolta non c'entrano i ritardi della giustizia, che comunque in Francia non è così lenta come in Italia. Sotto processo c'è, in pratica, la storia francese, anzi il suo momento più tragico, quello dell'occupazione dei nazisti e del collaborazionismo degli occupati. I sette nipoti di Louis Renault hanno infatti fatto causa allo Stato francese contestando l'ordinanza del Governo provvisorio della République che, quel giorno, nazionalizzò le fabbriche di automobili Renault.
Senza indennizzo: Louis, che le aveva fondate nel 1898, era accusato di aver collaborato con i tedeschi. Lui non poté opporsi. Era morto nella prigione di Fresnes tre mesi prima, senza essere stato ancora processato.
I figli del suo unico figlio, Jean-Louis, scomparso nell'82, non ci stanno. In particolare una, Hélène: «Al liceo - racconta - apprendevo di essere la nipote di un "collabo". Questo mi è sempre stato insopportabile, ma non avevo le prove del contrario». Gliele ha fornite uno storico, Laurent Dingli, che l'ha sposata e nel 2000 ha pubblicato la biografia di riferimento del nonno.
Per i nipoti, la Renault ha sì lavorato per il Terzo Reich, ma né più né meno che tutta l'industria francese. Così il loro avvocato, Thierry Lévy, ha presentato in Tribunale una «questione prioritaria di costituzionalità », sostenendo che l'ordinanza firmata 66 anni fa dal generale de Gaulle violava il diritto di proprietà , garantito dalla Costituzione. Il tribunale deciderà l'11 gennaio se trasmetterla alla Corte di Cassazione, che dovrà poi decidere se investire del caso il Consiglio costituzionale.
Gli eredi chiedono un indennizzo per i beni di cui fu spogliato Louis: il 96,8% della Renault, terreni in Savoia, due palazzi sugli Champs-Elysées, una fabbrica in Belgio e altro ancora. A maître Lévy si oppongono gli avvocati dello Stato e quelli di una federazione di ex deportati e del sindacato rosso dei metallurgici.
Ma è chiaro che la vera questione è storica e tocca un nervo ancora molto sensibile della coscienza nazionale. La Renault fu l'unica grande azienda nazionalizzata per punirne il proprietario e non per ragioni economiche. Per lo storico Henry Rousso, «aveva un valore fortemente simbolico, anche perché alla Renault erano stati repressi i grandi scioperi del â38».
Ma il suo collega Jean-Louis Loubet ricorda che anche la Peugeot lavorò per la Wehrmacht. Però i Peugeot appoggiarono in segreto la Resistenza, Renault no: «Infatti furono gli stessi esponenti della Resistenza a provare che la famiglia Peugeot non aveva collaborato».
I Renault, però, hanno un precedente dalla loro. Nel 2010, hanno vinto un'altra causa obbligando il museo di Oradour-sur-Glane, la Marzabotto francese, a rimuovere dall'esposizione una celebre foto che ritrae Louis Renault in compagnia di Hitler al Salone dell'automobile di Berlino del â39, diventata il simbolo delle ambiguità dei «patrons».
Per la Corte d'appello di Limoges, infatti, quella foto «non può mancare di creare un legame storicamente infondato fra il ruolo di Renault durante l'Occupazione e le crudeltà di cui furono vittime gli abitanti di Oradour».
Insomma, per il momento la famiglia conduce uno a zero. Ma questa storia pone una domanda a tutti: sono davvero i tribunali il posto giusto per discutere della Storia?


