PARADOSSI ITALIANI: GLI ITALIANI EVADONO 130 MLD € L’ANNO DI TASSE E POI IL GOVERNO VUOLE FARLE PAGARE AI GIGANTI DEL WEB, CHE GUADAGNANO MOLTO E PAGANO NIENTE

1 - LA RETE E LA TASSA CHE ISOLA L'ITALIA
Edoardo Segantini per "Il Corriere della Sera"

Il primo dubbio, sulla Web Tax, è che si risolva in un fiasco come la Tobin Tax. La tassa sulle transazioni finanziarie, quantificata in 1 miliardo, ha fruttato neanche 200 milioni, e ora, per rimediare, si pensa di ridurne l'aliquota dallo 0,2% allo 0,01. La Google tax, che impone alle aziende straniere di Internet la partita Iva italiana, rischia di finire nelle stesse curve.

Il problema di certo esiste ed è macroscopico. I giganti del web come Google, Facebook, Apple e Amazon, pagano tasse ridicole rispetto a quanto guadagnano. Nel 2012, ad esempio, Facebook ha versato al fisco d'Irlanda 1,9 milioni di euro di tasse su 1,75 miliardi di profitti lordi, poco più dell'1 per mille. E lo ha fatto usando i metodi consentiti sull'isola verde, uno dei paradisi europei dell'elusione. Non l'unico: nella vicina Inghilterra, tra il 2006 e il 2011, Google ha generato ricavi per oltre 12 miliardi di sterline e pagato 10,6 milioni di imposte societarie.

Il provvedimento introdotto l'altro giorno nella legge di Stabilità lascia tuttavia alquanto perplessi. In primo luogo per i tempi e le coincidenze. Non è contraddittorio che, mentre da un lato si varano misure fiscali e di semplificazione per attrarre gli investimenti esteri verso la «Destinazione Italia», dall'altro si vada nella direzione opposta introducendo nuove tasse? Non a caso la web tax è stata immediatamente bollata dall'American Chamber of Commerce in Italy come «danno di immagine all'Italia».

Il che non vuol dire però che la lobby degli interessi americani abbia ragione anche quando lamenta «il tentativo di assoggettare le aziende digitali estere alle normative fiscali italiane». Perché dovrebbero essere esentate?

In secondo luogo, la scandalosa elusione degli Over The Top non può essere affrontata solo a livello nazionale: e tanto meno da un Paese che in materia di efficacia e trasparenza fiscale non è propriamente il primo della classe. Poiché corre su binari internazionali, non può che essere gestita allo stesso livello. Cercando soluzioni europee, o, almeno, di quella parte d'Europa che non sostiene i paradisi fiscali.

La strada deve partire dall'ascolto, dal dialogo, dal negoziato. Sapendo che gli Over The Top oggi sono sensibilissimi a due argomenti, che condizionano fortemente il business e la reputazione presso il pubblico. Il primo è quello fiscale: ai tartassati non piace sapere che «lassù qualcuno non paga».

Il secondo, altrettanto delicato, è la privacy, dove la reputazione dei colossi web è sottoposta a una doppia minaccia: da una parte la crescente consapevolezza che l'azienda lucra sui dati personali degli utenti, dall'altra i sospetti sul suo coinvolgimento nel Datagate americano.

Una soluzione in ogni caso va trovata: sia all'elusione fiscale sia al commercio «segreto» dei dati personali. Sono semplicemente inaccettabili le obiezioni di chi vede in ogni applicazione della legalità una minaccia allo sviluppo della società digitale.

2 - LA GOOGLE TAX SPACCA PD E FI - FRENO AGLI AGGREGATORI DI NOTIZIE
Luisa Grion e Alessandro Longo per "La Repubblica"

A Matteo Renzi, nuovo leader del Pd, la web tax non piace, o meglio non piace il fatto che l'Italia sia il primo Paese europeo a preoccuparsi di far pagare le tasse in loco alle multinazionali della rete. Il futuro del testo che impone ai giganti del digitale di aprire in Italia una partita Iva (approvato come emendamento alla legge di Stabilità dalla Commissione Bilancio), si fa quindi più arduo. Ma restando nel mondo del web, sempre dentro la legge di Stabilità, trova spazio anche una norma che chiede di far pagare, a Google e alle altre piattaforme, un compenso per il rilancio dei prodotti giornalistici.

Nel suo discorso d'insediamento Renzi è stato "tranchant": «Il tema della web tax va posto nella sede giusta che è quella europea e non in violazione delle normative comunitarie ». «Dalla nuvola digitale siamo passati alla nuvola nera di Fantozzi: non dobbiamo dare l'impressione di un Paese che rifiuta l'innovazione » ha detto raccogliendo le polemiche che già agitavano le acque di una parte del Pd e di Scelta Civica. E sulla web tax si spacca anche Forza Italia (Carfagna contraria, Gasparri favorevole).

In realtà un riferimento al testo varato dalla Commissione è contenuto anche nella relazione tecnica ad un emendamento del governo che (riferendosi però non alla introduzione di una partita Iva obbligatoria, ma al pagamento tracciato tramite bonifici bancari o postali) parla di possibili entrate da web tax per 173,9 milioni nel 2014, 92 nel 2015 e 101 milioni nel 2016.

Quanto alla tassa sulle «news», una norma contenuta nel disegno di legge correlato alla Stabilità prevede che qualunque sito o soggetto utilizzi, in qualsiasi modo, prodotti dell'attività giornalista debba pagare un compenso agli aventi diritto. La novità ha il valore di un terremoto per l'economia del web, soprattutto nei confronti delle grandi piattaforme come Google.

L'articolo (il quinto, «Misure per lo sviluppo del comparto editoriale») ha infatti termini molto ampi. È sufficiente che il prodotto sia giornalistico e abbia la dicitura «diritti riservati» perché ogni suo utilizzo debba passare da un accordo tra l'utilizzatore e gli aventi diritto. «In mancanza di accordo sulle condizioni economiche dell'utilizzazione, dette condizioni sono definite dall'Autorità per le garanzie di comunicazioni, su istanza della parte interessata».

Si parla di utilizzo, anche parziale, «in ogni modo e forma»: quindi la citazione di alcune frasi di un articolo, la sua indicizzazione (ossia possibilità di ricercarlo) in un motore di ricerca, la sua aggregazione (come per esempio avviene in Google News) o la pubblicazione di un video su Youtube. Sono attività che finora sono state gratuite (in qualsiasi Paese); i diritti dell'editore si limitavano alla possibilità di chiedere la rimozione del contenuto. In quanto disegno di legge, la norma non è immediatamente esecutiva e dovrà passare dal Parlamento.

 

 

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