LIBRI DA ‘PURGARE’ - GLI ARGOMENTI SCABROSI NEI MEDIA HANNO UN PREAVVISO CHIAMATO "TRIGGER WARNING" - IN CALIFORNIA UNA RAGAZZA SCONVOLTA DA CERTI TEMI HA SPINTO GLI STUDENTI A RICHIEDERE CHE SI USI LO STESSO SISTEMA A SCUOLA

Mattia Ferraresi per "il Foglio"

Per ridurre il rischio di urtare la sensibilità di qualcuno tutti i contenuti non perfettamente sterilizzati all'origine sono introdotti da una fitta serie di avvertimenti. La galleria d'immagini truculenta, la serie televisiva con parolacce, i doppi sensi sessisti, la discriminazione razziale, il sesso, la violenza, l'omofobia, i comportamenti antisociali, le sigarette, tutto può infastidire l'ipersensibile uditorio, e specialmente le minoranze che hanno alle spalle traumi generati dalla discriminazione o dalla persecuzione.

Per mettere le cose in chiaro in anticipo, il pensiero femminista ha partorito decenni fa i "trigger warning", il sistema di avvertimenti che allerta il pubblico prima che qualcuno rimanga traumatizzato - e magari denunci la casa di produzione. L'usanza dei "trigger warning" ha trionfato in America durante la guerra del politicamente corretto, negli anni Novanta, quando è stato tracciato il confine fra le esternazioni socialmente accettabili e quelle illegittime, da espellere senza appello dal discorso pubblico.

Il "trigger warning" dovrebbe tutelare la libertà artistica specificando che il tale contenuto potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno. Ora la consuetudine si sta trasferendo nelle facoltà umanistiche dell'accademia, dove professori e studenti si domandano perché mai il film dove si dice "fuck" ogni tre minuti contiene un apposito avvertimento iniziale mentre le torbide avventure della minorenne Lolita vengono liberamente discusse dai professori nelle aule universitarie, senza avvertimento alcuno.

Il "Grande Gatsby" contiene riferimenti misogeni, Virginia Woolf parla di suicidio, il "Mercante di Venezia" è venato di antisemitismo, le commedie di Aristofane sono ricettacoli di oscenità intollerabili. Queste opere non dovrebbero forse avere un'etichetta sulla copertina? All'Università di Santa Barbara, in California, i rappresentanti degli studenti hanno chiesto ufficialmente di attivare un sistema di "trigger warning" sui testi che i professori usano nei corsi.

L'iniziativa è arrivata dopo che una studentessa è rimasta traumatizzata da un filmato sulla violenza sessuale mostrato in aula da un professore; la studentessa era stata vittima di un abuso, e la visione di immagini che facevano riaffiorare quella tragica circostanza era per lei intollerabile, ma dal caso specifico e personale subito si è passati alla regola generale.

L'esplicita censura di libri e contenuti accademici sa di sistema totalitario - anche se le nuove edizioni delle avventure di Huckleberry Finn non contengono la parola "negro", abbondantemente impiegata da Mark Twain - mentre i "trigger warning" sembrano lo strumento perfetto per coniugare libertà individuale e accademica.

Simili richieste sono state formulate all'Università di Rutgers, del Michigan e alla George Washington University. All'Oberlin College, in Ohio, gli studenti osservano: "I trigger sono rilevanti non solo per quanto riguarda gli abusi sessuali, ma per tutto ciò che può causare un trauma.

Occorre fare attenzione al razzismo, al classismo, all'eterosessismo, al cisessismo e all'ableismo, e ad altre questioni che generano privilegio o oppressione". Cisessismo e ableismo sono rispettivamente la discriminazione dei transessuali e dei disabili: si può creare un - ismo da additare per qualunque categoria.

Questa tendenza del politicamente corretto è particolarmente rilevante nelle università liberal, che incidentalmente sono le stesse che in questo mese di chiusura dell'anno accademico si sono distinte per avere impedito a ospiti culturalmente non allineati di parlare ai laureati.

E sono ideologicamente affini a quelle in cui circola l'idea di abolire la libertà accademica e ammettere esplicitamente che il criterio con cui si invitano gli ospiti a partecipare al dibattito è quello del conformismo delle idee. Damon Linker, giornalista di The Week, parla di "moralismo pigro" delle università liberal, che "si stanno trasformando in istituzioni votate all'isolamento degli studenti dalla provocazione e dal libero pensiero, quando invece dovrebbero esporli".

"L'idea - ha spiegato al New York Times Lisa Hajjar, professoressa di sociologia a Santa Barbara - è che gli studenti non dovrebbero essere costretti ad affrontare argomenti che li mettono a disagio", un'idea "assurda e persino pericolosa".

Invece di perseguire la conoscenza di autori e contenuti oggettivamente importanti, e occasionalmente offensivi per la sensibilità di qualcuno, le università cercano il "comfort psicologico e intellettuale", come dice Greg Lukianoff, presidente della Fondazione per i diritti individuali nell'educazione, faccenda che ha a che fare con l'impronta educativa che gli studenti ricevono prima di approdare in quelli che, una volta, venivano presentati come i santuari del libero pensiero.

Sulla rivista New Atlantis Alan Jacobs scrive che "certe abitudini della mente sono connesse, in modo perverso, con il modo in cui vengono educati gli studenti di oggi. I giovani che non hanno avuto alcuna esperienza non strettamente controllata dai genitori potrebbero facilmente pensare che il ruolo principale degli adulti sia quello di proteggerli dai pericoli. Magari non capiscono i pericoli che vedono i genitori, ma il loro atteggiamento di fondo rimane influenzato dal loro".

In un sistema dove ogni oggetto, convinzione o idea non perfettamente sterilizzata rappresenta un rischio mortale da ridurre se non da eliminare, "Lolita" può essere alternativamente un capolavoro della letteratura o, come dice un anonimo professore di letteratura citato dal New Yorker, semplicemente "lo stupro sistematico di una ragazzina", passibile di "trigger warning".

 

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