TRA I “500 UOMINI” CHE SONO STATI A LETTO CON LA SCRITTRICE LARA CARDELLA CE N’È STATO UNO “IMPORTANTE”. MA LEI NON VUOLE RIVELARE IL NOME PERCHÉ “È FAMOSO”. CHI È? - “NON HO MAI VOLUTO ESSERE CASTA. MI PIACE SCEGLIERE” – “LOREDANA BERTÈ MI SALVÒ LA VITA, ERO IN CURA DA UNO PSICHIATRA, MI AVEVA DATO UN COCKTAIL DI FARMACI TROPPO FORTE. AL TELEFONO NON RISPONDEVO. COSÌ LEI CHIAMÒ LA RECEPTION DEL RESIDENCE IN CUI VIVEVO. ERO IN COMA…” – LA SUA NUOVA VITA A BERGAMO E...
Estratto dell’articolo di Maria Novella De Luca per “La Repubblica”
Trentaquattro anni dopo si fa chiamare Graziella, vive a Bergamo, fa la prof di Lettere e in Sicilia non torna da dieci anni. "Mi mancano il mare, le sarde a beccafico di mia madre e i templi di Agrigento. Ma l'estate resto quassù, accanto all'ospedale dove mi curano, se nessuno mi riconosce sono felice, Lara è storia di ieri, a diciannove anni due milioni e mezzo di copie possono travolgerti e sì, io ne sono stata travolta". Era il 1989.
Lara Cardella sconosciuta studentessa di Licata, scrive "Volevo i pantaloni" e - racconta - "il mondo crollò". Successo e ferocia. Poco più di 100 pagine, un titolo fulminante. "Mi chiamavano tv e giornali di tutta Europa, ma a Licata non potevo uscire di casa: venivo lapidata di parolacce. Ero la buttana che aveva infangato il paese".
Oggi la sua casa è al Nord. Però sembra un po' un esilio.
"Figuriamoci. A Bergamo sto benissimo. La felicità dell'anonimato. Delle cose che funzionano. Quando mi presento con il mio vero nome, Graziella Cardella, quasi nessuno si ricorda di Lara. Sono la prof Cardella. Un mestiere che adoro".
E' vero che tutto è iniziato con una brioche?
"Era la posta della scommessa con una mia amica sul concorso lanciato da "Cento cose" per scrittori esordienti. Se avessero respinto il mio manoscritto, come sostenevo, avrei pagato io".
Invece?
"Pagò lei. La Mondadori mi telefonò durante le vacanze di Natale. C'erano i telefoni fissi. "Cerchiamo la signora Lara Cardella". Credevano fossi una cinquantenne che si faceva passare per ragazzina".
"Volevo i pantaloni", storia di Annetta che negli anni Settanta si ribella al patriarcato, racconta uno stupro in famiglia e l'omertà di un paese, diventa un best seller tradotto in 15 lingue, due milioni e mezzo di copie vendute. Cosa è cambiato da allora?
"Niente".
Come niente? Sempre più donne laureate, politiche, mediche, avvocate, ministre.
"Sempre più ragazzine che vivono nel culto della bellezza per piacere ai maschi. Lo vedo nelle mie classi. Studiano di più, fanno lavori più importanti, ma nel fondo sono prigioniere del ruolo. Però se restano incinte non possono dirlo ai genitori. Come a Licata quando ero ragazzina".
Parla di una sua allieva?
"Mi chiese aiuto. Aveva 16 anni e voleva abortire. Diceva che i genitori l'avrebbero cacciata. L'ho indirizzata dal giudice tutelare, così vuole la legge, poi all'ospedale. E dallo psicologo". […]
Com'era il film "Volevo i pantaloni"?
"Una schifezza"
Perché i suoi concittadini la odiarono?
"Ero il fenomeno del momento. Giovanissima, siciliana, autrice di best seller. Mi invitò Maurizio Costanzo che fu straordinario, paterno. Dal palco del Parioli denunciai quello che tutti sapevano".
Il maschilismo della sua città?
"Non parlavo di Licata, mai citata, ma del tormento dell'essere guardate unicamente come oggetti sessuali. E di non poter mettere una minigonna".
Se ricordo bene l'esempio fu un gelato.
"Appunto. Tu mangi un gelato per strada, dunque lecchi il gelato? Sei puttana".
Possibile? Eravamo negli anni Novanta.
"Ma il libro è ambientato vent'anni prima. Non me l'hanno perdonata. Tutta la mia famiglia, i miei genitori, mia sorella, hanno pagato un prezzo alto. Insulti, minacce, emarginazione".
"Volevo i pantaloni" diventa uno slogan di emancipazione, lei però si ritrova a Gela a fare la mamma e la casalinga, accanto ad un uomo violento. Lara non era una ribelle?
"Marco è stato il grande amore della mia vita e non rinnego niente. Mi chiedo anch'io, ancora, come fossi finita in quella prigione. L'ho sposato per amore, ma era tossicodipendente e di una gelosia morbosa. Però con lui ho avuto mio figlio Junior, un grande dono. Quando Marco è finito a San Patrignano ho capito che dovevo andarmene". […]
Dopo Marco chi è arrivato?
"Un'infinità di altri uomini, uno soltanto importante".
Il nome?
"Lasciamo perdere, è famoso".
E' vera la statistica che le attribuisce, addirittura, 300 uomini?
"Falsa. Sono di più. Direi cinquecento. Mai voluto essere casta. Mi piace scegliere".
Una provocazione?
"Decida lei". […]
Ha detto che Loredana Bertè le ha salvato la vita. Voleva morire?
"Ero in cura da uno psichiatra. Un momento buio, però non volevo suicidarmi. Mi aveva dato un cocktail di farmaci troppo forte. Quella sera avrei dovuto incontrare Loredana. Al telefono non rispondevo. Così lei chiamò la reception del residence in cui vivevo. Ero in coma. Quindi sì, mi ha salvata". […]