IN GALERA VIA CHAT: BOSS E PICCIOTTI MANIACI DI FACEBOOK INTRAPPOLATI NELLA “RETE” - SUL SOCIAL PIU’ AFFOLLATO DEL MONDO SI VENDE DROGA E SI COMUNICA DALLA LATITANZA, SI RASSICURA LA COSCA E SI INTIMIDISCONO LE VITTIME DEL RACKET: “APPENA ESCO PENSO SUBITO A VOI...” - LA POLIZIA SEGUENDO LE “TRACCE TELEMATICHE” CATTURA MAFIOSI E CAMORRISTI - OGNI MESE 13 MILIONI E MEZZO DI PERSONE CERCANO LA PAROLA “MAFIA” SU GOOGLE (262 MILIONI DI PAGINE IN RETE)…

1- IN GALERA VIA CHAT: BOSS E PICCIOTTI MANIACI DI FACEBOOK INTRAPPOLATI NELLA "RETE"...
Lirio Abbate Per L'espresso


Anche le mafie hanno scoperto i vantaggi del social network più grande del mondo. Gli amici degli amici si sono messi in Rete, comunicando tra loro via Facebook: confusi tra i ventuno milioni di utenti italiani della piattaforma globale, ci sono anche criminali piccoli e grandi, giovani e persino vecchi. Reclute e padrini, spacciatori e killer si sono resi conto che in questo modo possono dialogare velocemente, limitando il rischio di intercettazioni.

Non solo. Grazie alla Rete possono proseguire i loro traffici in una nuova dimensione: vendere cocaina, pianificare business fuorilegge, addirittura minacciare commercianti per obbligarli a pagare il racket. Fino al paradosso degli uomini di 'ndrangheta che dagli arresti in ospedale usano Internet per mandare ordini alla cosca. È il popolo delle mafie "duepuntozero", che è approdato sul sito ideato da Mark Zuckerberg con la capacità che hanno i clan di intuire i vantaggi della modernità per aumentare il loro potere.

La comunità mafiosa virtuale è fatta di veri boss, spesso nascosti con nomi di fantasia o talvolta con l'identità reale, corredata da foto e commenti. Ma Internet le ha permesso di raccogliere un imprevisto serbatoio di consenso, testimoniato dai gruppi dedicati a pezzi da novanta come Totò Riina, Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Raffaele Cutolo, Francesco "Sandokan" Schiavone o il pistolero casalese Giuseppe Setola. Altri hanno titoli espliciti: "Malavita calabrese" o "Cosa nostra" e forniscono lezioni di mafiosità aperte a tutti, veri codici d'onore diffusi sulla Rete.

In passato diversi di questi profili sono stati oscurati dalla società creata da Zuckerberg, altri restano attivissimi. Solo chi è rimasto ancorato a un'immagine folkloristica delle cosche, fatta di coppole e lupare, si sorprende per questa evoluzione telematica. Le nuove leve, anche se hanno una preparazione scolastica minima, si muovono benissimo nell'on line. E i rampolli dei padrini, da Casal di Principe a Corleone, hanno il diploma e spesso pure la laurea: sanno apprezzare la tecnologia.

La caccia sullla Rete. Gli investigatori si sono resi conto dell'infiltrazione da tempo. E hanno raccolto la sfida: «Facebook non serve a individuare l'attività criminosa, ma fornisce il collegamento fra le persone. Grazie anche al materiale fotografico che vi si trova diventa un punto di partenza per le indagini. Per noi è un supporto importante», spiega il capo della squadra mobile di Milano, Alessandro Giuliano. E ricorda che proprio grazie al social network la polizia ha individuato una banda di giovani rapinatori pugliesi in trasferta che avevano assaltato una gioielleria a pochi metri da Sant'Ambrogio.

«La criminalità, come tutti i fenomeno umani, evolve insieme alla società in cui è inserita. Vent'anni fa i delinquenti utilizzavano i telefoni fissi, poi hanno cominciato a servirsi dei cellulari e le forze dell'ordine hanno dovuto conseguentemente specializzarsi in senso tecnico per intercettarli. Adesso ci si sposta sulla Rete». Secondo Giuliano «Facebook è una delle forme di comunicazione privilegiata non solo dai giovani, ma anche da criminali anziani, e tutto ciò permette di ricostruire collegamenti fra le persone e creare una rete delle loro conoscenze in modo da comprendere meglio come si muovono».

La bacheca del racket. I pizzini di Bernardo Provenzano sembrano essere diventati a Palermo un vecchio ricordo. Nel capoluogo siciliano, dove i boss non smettono di ricattare commercianti e imprenditori, l'intimidazione adesso è anche digitale. Per costringere a pagare il titolare di un negozio di articoli da regalo e di una macelleria in uno dei quartieri più ricchi della città, la minaccia è stata recapitata via Facebook da Francesco e Tommaso Bonfardeci, padre e figlio di 47 e 23 anni. Il giovane ha spedito tre messaggi al profilo personale del figlio dell'esercente, che è suo coetaneo. Bonfardeci junior, che in quel periodo era agli arresti domiciliari, ha accompagnato l'intimidazione allegando anche la propria foto e il nome.

Un segno di sfida. Dalle frasi è emerso astio nei confronti del padre del destinatario, con la promessa di attendere con molta impazienza la fine del periodo di detenzione per "ringraziare" il commerciante. «Ti prometto una cosa, appena esco penso subito a voi... qualsiasi cosa potete subito venire da noi a Ballarò (un mercato di Palermo, ndr.)... se trovo un lavoro entro gennaio, non ci entro più in villeggiatura (in carcere, ndr.). I carcerati si aiutano, voi della vita non avete capito niente, e poi lo capirete... 'u carcerato si deve aiutare, spero che andate a ripararvi (chiedere protezione, ndr.) perché appena esco la gente sa chi siamo. Scrivo perché non me ne frega niente, se mi vengono a prendere per queste scritte, comunque aspettatevi belle cose... vi voglio bene...».

Una ragazzata? No, questo è solo uno dei messaggi inviati sul social network, denunciati alla polizia di Palermo. Per gli investigatori della Sezione criminalità organizzata le frasi hanno una «portata gravemente minacciosa». Dopo aver avviato indagini la procura ha chiesto e ottenuto l'arresto di padre e figlio con l'accusa di tentata estorsione aggravata dall'avere agevolato la mafia.

Nel segno di Scarface. I giovani camorristi sono cresciuti con il mito dei gangster hollywoodiani. Soprattutto "Scarface" di Brian de Palma è stato trasformato in un manuale di malavita: le frasi recitate da Al Pacino vengono imparate a memoria, si imita persino il modo di sparare. E non se ne fa mistero. A rivelarlo è la pagina Facebook di Nino Spagnuolo, 35 anni, di Castellammare di Stabia, fan di Scarface, come è riportato sul profilo. Spagnuolo è ritenuto dagli investigatori vicino al clan D'Alessandro.

L'uomo è stato ferito in un agguato alla vigilia di Ferragosto: i sicari volevano ucciderlo, ma è scappato cavandosela con una ferita alle gambe. In ospedale, poche ore dopo l'imboscata, Spagnuolo si è subito connesso al network, per comunicare con il suo popolo: ha fatto sapere che era vivo, che quelle pallottole lo avevano solo scalfito. Con un messaggio indirizzato a parenti e amici, ha scritto: «Vi raccomando di non stare in pena per me sto benissimo e mai sentito meglio. Ok ciao da Nino».

A questo post sono seguiti commenti e saluti da tutta la sua comunità, gran parte della quale affiliata ai clan che dominano il litorale stabiese e tutti con un profilo Facebook. La comunicazione fra i componenti delle famiglie è immediata, e altrettanto immediata è la solidarietà. Le pagine di Spagnuolo sono un manifesto, che lascia a bocca aperta.

Frequenti le immagini di armi. C'è persino la sua torta di compleanno, con il nome accanto a due pistole di cioccolata. Sotto la foto di un fucile mitragliatore, si legge il commento: «Bastasse un attimo, per togliermi alcune soddisfazioni». E dopo l'agguato si premura di avvertire: «Occhio per occhio, dente per dente. Mai avere pietà per chi ti ha fatto del male».

Per Antonello Ardituro, pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che da anni si occupa di indagini sulla criminalità, «la camorra ha costante necessità di acquisire consenso e lo fa utilizzando i sistemi che più immediatamente arrivano alle gente, e in particolare ai più giovani. Così per esempio con la musica e il diffondersi del fenomeno dei neomelodici, alcuni dei quali dichiaratamente apologeti di boss e latitanti; o attraverso il calcio, con la gestione delle piccole squadre di periferia e del calcio dilettantistico».

Ardituro sottolinea la pericolosità dell'evoluzione digitale della mafia campana: «Oggi Facebook consente di diffondere messaggi in maniera semplice e diretta: i giovani coinvolti e destinatari di tali messaggi spesso non hanno la capacità critica per distinguerne la qualità per cui è facile che restino coinvolti da discorsi solo apparentemente frivoli e che nascondono invece una sorta di inconscia adesione a modelli e valori economici e sociali che sono quelli della camorra: il potere, i soldi, la prevaricazione».


La Rete non è solo uno strumento di comunicazione o il tramite per nuovi traffici, ma si sta trasformando nel mezzo della propaganda criminale, destinato a aumentare il consenso dei clan. Una sfida che non riguarda solo le forze dell'ordine. Conclude Ardituro: «È difficile ipotizzare strumenti di contrasto. Occorre puntare sulla scuola e in generale su modelli culturali ispirati alla legalità».

Latitanti on line. Anche i ricercati spesso si gettano in Rete per tenere vivo il rapporto con familiari e sodali. Usano profili riservati "agli amici", ma non rinunciano a muoversi freneticamente su Internet. E spesso così cadono nella rete degli investigatori. Come nel caso del mafioso palermitano Antonino Lauricella, latitante, che non si staccava mai dal suo falso profilo sul social network. E da qui comunicava con il figlio Mauro, un aspirante calciatore che sulla sua pagina ama inserire le foto che lo riprendono in pose da "finto modello" o in compagnia di Fabrizio Miccoli, il capitano del Palermo calcio, di cui si vanta essere grande amico: in copertina poche settimane fa ha messo uno scatto che lo ritrae mentre parla confidenzialmente con l'asso rosanero.

Il calabrese Pasquale Manfredi invece durante la sua fuga entrava su Facebook facendosi chiamare proprio Scarface. Per gli inquirenti Manfredi è un sicario «freddo e crudele» della cosca Nicosia-Manfredi. Lo hanno catturato a Isola Capo Rizzuto seguendo le sue orme telematiche, lasciate dalla chiavetta con cui si collegava a Internet: il segnale è stato intercettato e ha smascherato il suo rifugio.

La vanità del padrino. La pubblicazione di due foto sul social network della fidanzata ha portato in manette un altro pezzo da novanta, Salvatore D'Avino, 39 anni, camorrista inserito fra i 100 più importanti ricercati d'Italia. È stato bloccato a Marbella sulla Costa del Sol. Agli investigatori è bastato tenere sotto controllo il profilo della compagna: le immagini hanno rivelato il luogo dove si nascondeva e fatto scattare l'operazione. Roberto Di Girolamo, 41 anni, esponente della feroce Stidda di Gela, ha continuato a usare il profilo creato a suo nome nonostante gli ordini di cattura.

Ha pubblicato le immagini che lo mostravano assieme alla famiglia: sembrava un turista, non un latitante. Ma il suo album ha evidenziato che le foto erano tutte scattate in Svizzera: la polizia lo ha scovato in pochi giorni. Più ingenuo Donato Fratto, calabrese, ricercato per fatti di 'ndrangheta. È stato tradito dalla passione per le moto: ha scritto su Fb che avrebbe partecipato a un raduno di centauri in Sardegna, dove i carabinieri lo hanno subito ammanettato.

Per il mafioso palermitano Salvino Bonomolo invece Facebook era uno strumento di lavoro: usava un nome falso, con un profilo scarno e quattro amici fittizi, per scambiare messaggi privati con complici in Italia e in America Latina, con cui voleva organizzare un traffico di droga. La pista informatica lo ha fatto arrestare un mese fa in Venezuela. Persino una figura di peso nel gotha di Cosa nostra, quel Vito Roberto Palazzolo al centro da decenni di indagini per riciclaggio è stato pedinato sul social network dai detective dell'Interpol.

La cittadinanza sudafricana, dove controlla un impero industriale, e anche politico, lo ha protetto dall'estradizione ed è stato seguito su Internet aspettando che facesse un passo falso: quando è arrivato in Thailandia lo hanno bloccato e ora si spera di poterlo trasferire in Italia.

La new economy camorrista. Anche nell'inferno di Scampia le nuove tecnologie hanno cambiato i business criminali. Le bancarelle dello spaccio si sono trasferite nelle bacheche di Facebook: con un codice, i clienti possono ordinare cocaina e farsela consegnare a domicilio. Hanno persino inventato pagine divise a seconda della zona, per garantire acquisti rapidi e sicuri, evitando i presidi delle forze dell'ordine.

Anche i posti di blocco o la presenza di agenti in borghese venivano subito segnalati, in modo da vanificare gli appostamenti degli investigatori. Ma a Napoli come a Palermo si usa il pc pure per gestire la contabilità mafiosa: fogli di excel hanno rimpiazzato i vecchi libri mastri che riportano le entrate del pizzo e della droga, con la possibilità di venire scaricati o aggiornati dai vari cassieri, senza più bisogno di summit.

In Rete dagli arresti. La situazione più paradossale è avvenuta in Calabria. Grazie alla complicità di medici collusi, un paio di capi della 'ndrangheta hanno lasciato il carcere duro del 41 bis. Gli sono state certificate malattie inesistenti e hanno ottenuto gli arresti in una clinica privata del Cosentino. Lì Francesco Scugli e Andrea Mantella, boss di una cosca di Vibo Valentia, con un pc portatile hanno ripreso il comando del clan: trasmettevano gli ordini su Facebook.

L'indagine del Ros di Catanzaro ha svelato che Montella si faceva chiamare con il nickname di "Kikino 69". Mentre Scrugli, più spavaldo, aveva due pagine: una con lo pseudonimo di "Brigante". Anche on line, non rinunciava alle figure popolari della malavita: ma la forza delle mafie è proprio questa, aprirsi alle innovazioni restando radicate alla propria tradizione.

2- OGNI MESE 13 MILIONI E MEZZO DI PERSONE CERCANO LA PAROLA "MAFIA" SU GOOGLE (262 MILIONI DI PAGINE IN RETE)...


Il fascino della parola "mafia" non conosce confini: in tutto il mondo ogni mese 13 milioni e mezzo di persone la cercano su Google. E finiscono a navigare su 262 milioni di pagine che richiamano le cosche siciliane. Ma nella sfida tra boss sulla Rete Totò Riina continua a battere Bernardo Provenzano con uno schiacciante punteggio di 74 mila ricerche al mese contro 18 mila. L'importanza mediatica della criminalità organizzata emerge subito dall'analisi del motore di ricerca più diffuso. Che permette anche di tracciare una mappa geografica dell'interesse per la materia.

Nel nostro paese la parola "mafia" - cliccata in Italia da 673 mila utenti ogni trenta giorni - viene digitata soprattutto da utenti che risiedono nelle città del Sud: le prime tre sono Palermo, Cosenza e Catania seguite da Perugia e Bari. Invece la camorra ha una popolarità anche più a Nord: dopo i capoluoghi campani, nella classifica ci sono Venezia e quindi Roma. Invece per la 'ndrangheta si notano Perugia al quarto posto, seguita da Parma.

Tra i nomi delle organizzazioni criminali regionali, il marchio vincente sembra essere quello della camorra, che in proporzione supera Cosa Nostra per ben 6 a uno. I siciliani però hanno il primato su YouTube, con più di 30 mila video dedicati al tema. Informazione, documentazione, ma anche l'ultima frontiera della propaganda dei clan.

 

 

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