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IL MAESTRO DELL'HORROR - JOHN CARPENTER: "IL CINEMA HORROR ESISTEVA GIÀ AI TEMPI DEL MUTO. E NON SE NE ANDRÀ MAI, PERCHÉ TUTTI ABBIAMO PAURA. PERCHÉ OGNI GENERAZIONE LO REINVENTA, METTENDOCI LE PROPRIE PAURE. PERCHÉ OGGI LA REALTÀ È DIVENTATA UN FILM DELL'ORRORE, SPECIALMENTE PER TUTTA LA GENTE CHE È MORTA CON LA PANDEMIA E QUELLA CHE ANCORA NE MORIRÀ" - IL TOUR PER PROMUOVERE IL SUO ALBUM DI MUSICA ELETTRONICA, LA PASSIONE PER I VIDEOGAME, GOBLIN E DARIO ARGENTO...
Alba Solaro per “il Venerdì di Repubblica”
Il paradosso per un maestro ("il" maestro?) dell' horror come John Carpenter è che poche cose gli fanno paura, ma una di queste era salire su un palco e suonare dal vivo. Al telefono dalla villa sulle colline di Hollywood dove mangia il tempo giocando a videogame sparatutto come Destiny e Borderlands, ricorda allegro: «Ho sempre sofferto di panico da palcoscenico, sin da ragazzo. Non mi sembrava una buona idea andare in tournée ma mio figlio Cody ha insistito e siamo partiti. Appena abbiamo cominciato con i primi concerti, incredibile, ho scoperto che adoro stare sul palco! Ed è molto, ma molto più divertente che fare il regista!».
Roba da matti. Quattro anni fa, quando si è esibito al Primavera Sound di Barcellona, il festival forse più cool in Europa in quel momento, il regista di La cosa ha rubato la scena a musicisti con almeno quarant' anni meno di lui - che ne ha da poco compiuti 73.
Era il tour per promuovere Lost Themes, il suo primo album di musiche originali, che è stato poi doppiato da Lost Themes II, e oggi è in uscita Lost Themes III: Alive After Death. «Prima ero un regista cult, ora sono un musicista cult» chiosa soddisfatto, l' accento pesantemente yankee.
La seconda vita di Carpenter come star della musica elettronica è un affare di famiglia. In pratica, sono lui, il figlio 36enne Cody («musicista di professione, ma fa cose molto diverse dalle mie, anche sotto il nome Ludrium»), e il tastierista Daniel Davies, a cui Carpenter ha fatto da padrino: «Suo papà, mio grande amico, lui sì che è una rockstar». Infatti è Dave Davies, chitarrista dei leggendari Kinks.
I tre hanno iniziato quasi per caso, improvvisando in casa un po' di blues, qualche cover rock, una pausa ai videogiochi, poi di nuovo ai synth, al basso, per buttare giù «temi musicali che sono tutti possibili colonne sonore di film che sono nella mia testa. Improvvisiamo, componiamo, ci divertiamo, tutto estremamente semplice. E se mi chiede che tipo di film c'è dietro a Wheeping Ghost o Carpathian Darkness la risposta è: quando ascolta i pezzi lei cosa vede? Perché di questo si tratta, non di me ma della sua immaginazione».
In un mondo dove l'egocentrismo regna sovrano, Carpenter sorprende per la scarsità di protagonismo. Se gli chiedi come sarà Halloween Kills (ennesimo reboot del suo classico Halloween. La notte delle streghe, atteso in autunno) risponde placido «è lo splatter definitivo, ma il resto lo deve chiedere al regista, io ho solo composto le musiche».
Il suo ultimo film, Il reparto, è ormai del 2010, e chissà se tornerà mai dietro la macchina da presa («potrebbe succedere», butta lì quasi casualmente). Peraltro ha molto spesso scritto in proprio le colonne sonore (tra le rare eccezioni, Ennio Morricone per La cosa) ma ovviamente si affretta a ripetere:
«Uno studente di cinematografia agli esordi e senza un dollaro non può permettersi un compositore o dei musicisti professionisti, così ho fatto tutto da me. Col synth perché almeno suonava come se avessi un'orchestra. Non capirò mai quelli che lo usano per tirarne fuori il minimo». Non per questo si è mai sentito un autore influente, in passato gli piaceva dire che gli altri compositori ascoltandolo pensavano "se lui può fare colonne sonore, io posso essere Stravinskij".
Ma come ha imparato a comporre?
«Sono cresciuto con la musica, mi viene naturale. Da ragazzino, nel Kentucky, passavo un sacco di tempo nei cinema, andavo a vedere i film grazie ai biglietti che trovavo nelle scatole dei cereali. E immagino di aver assorbito lì così tante idee musicali, infatti quando improvviso controllo sempre di non aver involontariamente copiato qualcuno.
In casa si ascoltava quasi solo classica, i dischi di mio padre che era un insegnante di musica. Poi finalmente sono riuscito a farmi regalare una radiolina a transistor. Ho cominciato ad ascoltare il rock' n'roll. E mi sono innamorato».
Però nella sua musica, che ha sempre un retrogusto anni Settanta, di rock quasi non ce n'è. C'è piuttosto l'amore per band come i Goblin.
«Beh, però qualche anno fa ho chiamato gli Anthrax a fare le musiche di Fantasmi da Marte. Comunque sì, amo i Goblin e Dario Argento, da Inferno ho imparato la libertà dalle costrizioni narrative, la potenza di concepire un film come un brutto sogno».
In questo album sembrano esserci persino tracce del Giorgio Moroder anni Ottanta, è mai possibile?
«Lo è. Guardi che ero il Re della Disco! In quegli anni a Los Angeles andavo spesso in discoteca più che altro per rimorchiare. È la prima a cui lo racconto (ridacchia, ndr). Mi piaceva la disco, e mi piaceva il rock, erano due mondi diversi ma coesistevano, non dia retta a chi le dice che non si potevano amare entrambi. E in un certo senso la disco era come il cinema horror».
Qualcuno potrebbe essere d' accordo con lei per le ragioni sbagliate.
«Horror e disco sono sempre stati considerati nient' altro che dei "generi". Destinati al puro intrattenimento. Ma se guardiamo alla storia, la disco music racconta cos' era il mondo giovanile bianco, povero, pensi a Travolta nella Febbre del sabato sera. E quando ho girato Essi vivono, erano gli anni di Reagan e il film parlava esattamente di questo: una società che mette i soldi e il profitto davanti a tutto, il controllo assoluto del potere. Non a caso il cinema horror esisteva già ai tempi del muto, con la Grande Depressione. E non se ne andrà mai, perché nasce da qualcosa che tutti proviamo. Tutti abbiamo paura».
Di cosa?
«Della morte. Di perdere le persone care. Per questo l' horror non tramonta. Perché ogni generazione lo reinventa, mettendoci le proprie paure».
E che cosa fa di un horror un grande horror?
«La storia».
Il che ci porta a riflettere su come persino La cosa, il suo capolavoro del 1982 all' inizio bocciato, sia tornato d' attualità.
il villaggio dei dannati by john carpenter 1
«Perché oggi la realtà è diventata un film dell' orrore, specialmente per tutta la gente che è morta con la pandemia e quella che ancora ne morirà».
Ma allora chi sono oggi i mostri?
Carpenter tentenna, non vuole dare una risposta facile: «Uno dei peggiori è come si chiama? Il presidente della Siria».
Bashar al-Assad.
«Ecco, è la dimostrazione di come non sono i film a fare paura, è la realtà che è un inferno».
E nel personale inferno di John Carpenter che musica suonano?
John Carpenter - 1997 fuga da new york
«Oh Gesù un' orchestra di fisarmoniche, ma non mi chieda perché».
JOHN CARPENTER - GROSSO GUAIO A CHINATOWN
JOHN CARPENTER
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JOHN CARPENTER 2
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