LA CANNES DEI GIUSTI - SÌ. E’ VERO. DURA 3 ORE E 20 E SARÀ UNA PALLA TERRIFICANTE, MA L’ANTONIONI TURCO, NURI BILGE CEYLAN, NON VA SALTATO. SOPRATTUTTO PER CHI ASPIRA ALLA DEPRESSIONE

Marco Giusti per Dagospia

Sì. E' vero. Dura 3 ore e 20 e sarà una palla terrificante, ma non si può saltare. Vero pure che i film precedenti mi sembravano insopportabili, una noia infinita, ma l'Antonioni turco, Nuri Bilge Ceylan, premiatissimo regista di "C'era una volta in Anatolia", non va saltato. Comunque.

Affronto il caldo e una massa sterminata di critici adoranti che riempiono il Grand Théatre Lumière e cero di trovarmi un posto in piccionaia. Un giovane critico messaggia con la moglie e la figlioletta prima dell'inizio dell'opera. "Winter Sleep" di Nuri Bilgen Ceylan. Evento epocale. Non ci sono scappatoie. O ti piace, come piace a Mereghetti, o non ti piace. Ecco, a me non piace.

Tre ore di dialoghi infiniti molto teatrali in quel dell'Anatolia, in un villaggio costruito tra le rocce, dove è stato girato già un film con Omar Sharif, "Monsieur Ibrahim", nell'Hotel Othello di proprietà di Aydin, cioè Haluk Bilginer, il Toni Servillo turco, ex attore, anzi ex commediante come lui preferisce, che ora fa anche il giornalista e lo scrittore.

Vive lì da tempo con la giovane moglie Nihal, Melisa Sozen, e con la sorella divorziata Necla, Demet Akbag. Visto che è inverno, fa freddo, e il gruppetto si annoia mortalmente, figurarsi noi, attaccano una serie di dialoghi sulla qualsiasi, da quanto scrive male Aydin, certo era un attore, ai rapporti di classe in Anatolia, visto che un bambino povero ha gettato un sasso contro la sua macchina e gli ha spaccato un vetro e lo zio lo porta a chiedere perdono alla star del posto con tanto di baciamano.

Il bambino sviene piuttosto di baciargli la mano. Anche noi siamo boccheggianti in mezzo ai critici parte addormentati parte adoranti. Per fortuna il tutto si ravviva un po' quando arriva un gruppo di cavalli nella pianura. Ma dura poco e tornano i dialoghi serrati. Aiuto! Non so. Magari un premio lo vincerà, ma mi sembra un film di belle immagini alla Kiarostami, ma di dialoghi infiniti che non vanno da nessuna parte di un regista di non grande interesse. Per certo piacerà a quelli che hanno amato i suoi film precedenti. E la finiamo lì.

Notevolissimo invece il documentario della israeliana Hilla Medalia "The Go Go Boys - The Inside Story of Cannon Films/Golan-Globus", cioè la storia di come i cugini israeliani Menahem Golan e Yoram Globus conquistarono il mercato del cinema israeliano nei primi anni '60 e poi volarono in Europa e in America dando vita all'incredibile Cannon Films, una casa di produzione che alternò action movie di successo con Charles Bronson, Chuck Norris, Sylvester Stallone, Jean-Claude Van Damme a grandi film d'autore come "King Lear" di Jean-Luc Godard, "Love Streams" di John Cassavetes, "Runaway Train" di Andrej Konchalowski, ma anche folli melo trash come "Bolero Exstasy" con Bo Derek, "Mata Hari" con Sylvia Kristel, spaghetti western con Lee Van Cleef.

Ci fu anche una Cannon Film Italia che produsse un "Hercules" con Lou Ferrigno di Luigi Cozzi, "I sette magnifici gladiatori", "The Barbarians" di Ruggero Deodato, "interno Berlinese" di Liliana Cavani. Un delirio, insomma. Centinaia di film completamente diversi che si divisero soprattutto fra quelli che fecero un successo mondiale, come "Breakdance", "Delta Force" o "Raid on Entebbe" e altri che furono flop mostruosi, come "Superman IV" con Christopher Reeve.

A differenza dei produttori di oggi, Golan e Globus adoravano in egual modo la serie B e Z e la serie A con la stessa passione. Per questo riuscirono a combinare Godard e i film sui Ninja. Golan fu anche regista di geniali spaghetti western girati nei deserto israeliano, Globus finì in compagnia di Giancarlo Parretti nella folle scalata alla Metro Goldwyn Mayer di cui divenne presidente prima che Parretti finisse in carcere.

Tutti e due oggi si vantano di aver dato vita alla prima multisala italiana, l'Odeon di Milano, di essere stati amici di Berlusconi, prima che entrasse in politica e quando pensava solo a comprare delle sale. Ovvio che i due arzilli vecchietti, che oggi sono tornati a vivere in Israele, ne sanno parecchie e raccontano solo quello che fa loro gioco, ma la loro è davvero una delle storie più interessanti del cinema degli anni 70 e 80.

 

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