LITTLE STEVEN MEMORIES: "ERO OSSESSIONATO DALLA POLITICA E COME UNO STUPIDO, LASCIAI IL BOSS. NON IMITATEMI: NEGLI ANNI IN CUI IN SUDAFRICA RISCHIAVO LA VITA, I MIEI COMPAGNI DELLA E-STREET BAND DIVENTAVANO RICCHI SFONDATI CON LA MUSICA CHE AVEVO SCRITTO IO… - IN ARRIVO IL SUO NUOVO ALBUM "SOULFIRE". IL 4 LUGLIO UNICA DATA ITALIANA A PISTOIA BLUES - VIDEO
Carlo Moretti per la Repubblica
A 18 anni dal suo ultimo disco torna Little Steven, fratello di sangue di Bruce Springsteen e suo sodale nella E Street Band.
Con Soulfire, disco di cover con due inediti atteso per il 19 maggio, Steve Van Zandt torna alle origini della carriera: «Questo album è quasi un' estensione del mio primo disco», spiega. In questi 18 anni difficile perderlo di vista: oltre al Boss ci sono stati i ruoli da mafioso nei panni di Silvio Dante nei Soprano' s, quello di Frank Tagliano in Lilyhammer, e poi l' attività di talent scout e discografico, di autore, la scrittura di cui Soulfire rende conto.
Perché un album proprio ora?
«Mi ero già rimesso al lavoro sui miei vecchi album solisti che riusciranno quest' anno. Poi è arrivata la richiesta per suonare al BluesFestival di Londra: è andata talmente bene che i brani di quella sera, tra pezzi vecchi, due cover da Etta James e James Brown e due inediti, sono diventati lo schema per Soulfire ».
Un disco ricco di fiati.
«Ho recuperato le radici soul. L' abbiamo registrato con una sezione fiati di cinque elementi e tre coriste, in tour siamo una big band di 15 elementi» (l' unica tappa italiana sarà il 4 luglio al Pistoia Blues, ndr).
Tra le canzoni c' è la sua prima "I don' t want to go home".
«Lavoravo da tempo alle canzoni ma non ero felice del risultato. La British Invasion aveva fatto fuori gli artisti solisti, ormai contavano solo le band. Una sera andai al Madison Square Garden a seguire un concerto di pionieri del rock' n'roll. Tornai a casa con l' idea di scrivere in stile Leiber & Stoller, gli autori dei Drifters e di Elvis: nacque così I don' t want to go home ».
A proposito di British Invasion, si dice che lei tenesse più per i Beatles che per i Rolling Stones. È vero?
«I Beatles hanno portato nel rock il concetto di band, che prima non esisteva. Una band legata da amicizia, come una famiglia, una comunità. Poi arrivarono i Rolling Stones e comunicarono un' idea di facilità, c' erano meno armonie e meno tecnica, e più strada. Uno si diceva: i Beatles sono difficili, ma se ce la fanno gli Stones ce la posso fare anch' io».
Canzoni come "I' m coming back" fanno pensare all' esistenza di un suono tipico del New Jersey che tiene insieme i suoi Southside Johnny e la E Street Band.
«Il Jersey Shore Sound esiste e sa una cosa? Il punto d' incontro sono io: io c' ero nei Southside Johnny, al fianco di Springsteen, ci sono nella E Street Band. Il Jersey Shore Sound è mettere assieme soul e rock chitarristico. Eravamo la terza generazione rock' n'roll e avevamo l' obbligo di essere almeno un po' creativi».
Nel 1982 lei uscì dal gruppo, quale fu la vera ragione per cui lasciò la E Street Band?
«La lasciai perché ero stupido e quella fu una cosa davvero stupida da fare. Avevo coprodotto la maggior parte di Born in the Usa e me ne andai dalla E Street Band ben prima che l' album uscisse per pubblicare i miei due primi album solisti. Ero ossessionato dalla politica, la gente dimostrava per le strade ma non c' era nessuno che scrivesse su quei temi. Così lo feci io».
Non rifarebbe quella scelta?
«Me lo chiedo spesso. Se non l' avessi fatto non avrei capito la politica e il mondo, non avrei scritto Sun City né sarei stato lì quando il governo sudafricano cadde in seguito alle nostre manifestazioni e questo portò al rilascio di Nelson Mandela. Se però penso che proprio negli anni in cui a Soweto io rischiavo la vita o la galera insieme a un gruppo di rivoluzionari, tutti i miei compagni della E Street Band diventavano ricchi sfondati con la musica che avevo scritto io, allora ecco che riaffiora lo "stupido". Nessuna casa discografica volle più farmi fare un disco, avevo ucciso la mia carriera discografica. Non consiglierei mai a nessuno di imitarmi, anche perché non ero ancora né ricco né famoso abbastanza da potermelo permettere».
La carriera di attore le offrì una seconda chance: progetti di un ritorno nei "Soprano' s"?
«Ho scritto un sequel che è piaciuto al produttore David Chase.
Del resto il mio personaggio di Silvio Dante è basato su una mia idea, e nell' ultimo episodio l' abbiamo lasciato in coma».
Definisca il suo rapporto con Bruce Springsteen.
«Siamo amici da 50 anni e abbiamo in comune il rock' n'roll che è stato la mia religione e lo è ancora. Credo nel rock come altri credono in un dio. Il rock ha salvato la mia vita e mi ha dato uno scopo. So che per Bruce è lo stesso, eravamo strani, emarginati, disadattati: dopo l' arrivo dei Beatles, in molti crearono una band, ma noi due eravamo gli unici in New Jersey che non avrebbero proprio potuto fare altro».
Lei lavorò come operaio.
«Facevamo parte della middle class ma io dovetti lavorare, lui cercò in tutti i modi di non fare altro che il musicista per tutta la vita, per questo Bruce è il mio eroe. D' altronde nel mio background ci sono soprattutto le radici calabresi, il suo sangue napoletano è più ambizioso. Io sono una celebrità proletaria, Bruce aveva l' intelligenza della strada».