MAI DIRE RAI! - TOCCATEMI TUTTO, MA NON LO STIPENDIO: UNA PROTESTA COSÌ DEI SINDACATI RAI, CON SCIOPERO E MANIFESTAZIONE IN PIAZZA, NON SI RICORDA NEANCHE PER L’EDITTO BULGARO DI BERLUSCONI - E VIALE MAZZINI DIVENTA L'ULTIMA TRINCEA ANTI-RENZIANA
1. LA RAI SCIOPERA CONTRO I TAGLI. È L'ULTIMA TRINCEA ANTIRENZIANA
Laura Cesaretti per “il Giornale”
Dopo avergli dato una mano a stravincere le elezioni (lo scontro sui tagli a Ballarò con un Floris che sembrava la Camusso di Viale Mazzini ha fruttato al premier un bel po' di consensi), i dipendenti Rai si accingono a far lievitare ancora la popolarità di Matteo Renzi.
Scendendo in piazza contro la spending review che «tocca anche a voi», come disse quella volta Renzi. Certo, non si era mai visto (neanche ai tempi d'oro di Berlusconi e degli «editti di Sofia») una serrata della Rai contro Palazzo Chigi, ma evidentemente essere toccati nel portafoglio è stato troppo: i più indignati e pronti alla pugna, raccontano, sono direttori e dirigenti apicali che si vedranno decurtati gli stipendi. Ieri il viceministro dell'Economia Enrico Morando non ha fatto alcuna concessione alla potente lobby Rai, spiegando che il governo vuol tenere duro: «Il taglio di 150 milioni alla Rai, previsto dall'articolo 21 del decreto Irpef, resta».
MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN
Apriti cielo: i sindacati dei dipendenti Rai, giornalisti inclusi, scendono in piazza contro il governo. E annunciano per l'11 giugno (mentre Renzi sarà in viaggio di Stato tra Vietnam e Cina, perdendosi lo spettacolo) una grande mobilitazione con annesso sciopero anti-governo: «Indicare in Raiway e nelle sedi regionali - affermano i sindacati - i luoghi verso cui operare vendite o riduzioni significa far morire la Rai e compromettere il rinnovo della concessione per il servizio pubblico».
Replicano con durezza i parlamentari Pd Michele Anzaldi e Andrea Marcucci: «La Rai, che conta oltre dieci direzioni giornalistiche, 13mila dipendenti e 600 dirigenti, di cui 58 che guadagnano più di 200mila euro annui, è stata chiamata a contribuire al taglio delle tasse come tutte le altre strutture dello Stato. La mobilitazione del sindacato, dopo il silenzio su assunzioni selvagge di manager esterni e inchieste su sprechi milionari, è decisamente singolare».
Il premier non sembra granché preoccupato dalle mobilitazioni Rai. Di scarso impatto, di fronte alla fittissima agenda che il governo sta mettendo a punto, e sulla quale Renzi ha fatto un giro di orizzonte con i ministri convocati a Palazzo Chigi: Orlando, Franceschini, Madia, Padoan, Lupi (che potrebbe presto lasciare il dicastero), Guidi. E anche presidente e ad della Cassa depositi e prestiti, Bassanini e Tempini, interlocutori essenziali (spiegano da Palazzo Chigi) per quel «rinascimento industriale» di cui il governo vorrebbe farsi promotore, a partire non solo dal pagamento dei debiti con le imprese, ma anche da casi limite, e spesso citati da Renzi, come l'Ilva di Taranto o il Sulcis.
E non è un caso che Renzi, dopo aver disertato la kermesse romana di Confindustria, si prepari ad andare il 18 giugno all'assemblea degli industriali di Vicenza e Verona, nel cuore di quel Nordest che gli ha tributato un imprevisto successo elettorale. Ma l'impeto riformista del premier deve fare i conti con l'ostruzionismo del Parlamento: la riforma del Senato ha subito un nuovo stop, a causa del ricatto della Lega, che si batte per il mantenimento dello status dei senatori e che minaccia un'ondata di emendamenti.
Mentre il decreto Irpef è bloccato in commissione da Ncd. In compenso, ieri è passato un emendamento Pd che ha quasi raddoppiato (da 40 a 73 euro) la tassa di concessione del passaporto. Da sinistra però arriva l'apertura di Sel: «Siamo pronti a incoraggiare Renzi se vuole usare il grande consenso ottenuto per scardinare il nuovo muro di Berlino, il muro dell'austerità», annuncia Nichi Vendola.
2. UNA RIVOLTA COSÌ NON S’ERA MAI VISTA
Stefano Menichini per “Europa Quotidiano”
matteo renzi a ballaro da floris
Una rivolta così non s’era mai vista. Neanche contro l’editto bulgaro di Berlusconi. Tanto meno contro il Grillo urlante di Sanremo. Perché, diciamocelo: la libertà d’informazione è importante. Ma gli stipendi dei dirigenti e dei conduttori Rai, la proliferazione delle redazioni locali e la tutela del consenso dei sindacati interni sono ben più preziosi. Sicché anche solo la remota minaccia che la spending review possa occuparsi di Saxa Rubra e viale Mazzini giustifica il gesto clamoroso: sciopero generale, con annessa manifestazione, di tutti i lavoratori Rai.
Contro il governo e contro la richiesta all’azienda di partecipare per 150 milioni (il 5 per cento del bilancio) ai piani di riduzione della spesa pubblica, magari vendendo una quota (minoritaria) della società degli impianti di trasmissione e senza alcuna riduzione del personale.
L’11 giugno sarà il primo sciopero nazionale unitario convocato in Italia contro Renzi. Nelle piazze dove non hanno ritenuto di mobilitarsi metalmeccanici, pensionati o disoccupati, ecco presentarsi agguerriti giornalisti, impiegati, tecnici e dirigenti di Mamma Rai.
È una notizia che a palazzo Chigi hanno salutato con silenziosa soddisfazione. La reazione dei sindacati Rai arriva infatti a confermare e rafforzare il messaggio di Renzi verso un’opinione pubblica insofferente verso chi difende l’indifendibile in termine di sprechi, inefficienze e anche veri privilegi.
La sfortuna di Usigrai e soci è che nessuno cade più nell’equivoco (riproposto nella loro piattaforma) di assimilare la difesa della Rai così com’è alla difesa della democrazia dai conflitti d’interesse e dalle tentazioni autoritarie di Berlusconi. Questo è il passato. Col disarmo di Forza Italia vanno in archivio anche il partito Rai, il partito delle procure, i giornali partito, la rete di interessi e di poteri che s’è avvinta alla sinistra e alla quale la sinistra s’è avvinta per vent’anni.
Nessuno è più disposto a pagare il prezzo del conflitto tra berlusconismo e antiberlusconismo col quale s’è giustificato e silenziato di tutto. Sicché ora rimangono nude (alla Rai come a Mediaset, si badi bene) questioni meramente industriali: calo della pubblicità, recupero e uso del canone, obsolescenza dei prodotti, elefantiasi aziendale, dirigenze strapagate, costosi accordi commerciali sui quali indaga anche la magistratura.
Libero il sindacato di scioperare, ci mancherebbe. Temo però che stavolta audience e gradimento saranno molto bassi.