SAPORE DI MARINELLI - “SUL PALCO DEI DAVID DI DONATELLO NON RIUSCIVO A ESSERE COMPLETAMENTE CONTENTO. MI È SPIACIUTO PER “NON ESSERE CATTIVO”. I PREMI HANNO UNA CERTA SPIETATEZZA. MA CLAUDIO CALIGARI HA FATTO UN GRAN FILM E NON DOVEVA ESSERE DIMENTICATO...”
Giovanni Audiffredi per “GQ”
LUCA MARINELLI - COPERTINA DI GQ
Riavvolgiamo il nastro. Roma, 5 febbraio. Quattro mesi fa, primo servizio del nuovo GQ, dedicato alla magia del cinema italiano. Luca Marinelli è in fibrillazione. E’ il giovane attore su cui sono puntati i riflettori, protagonista di “Non essere cattivo”, il film che ha rappresentato l'Italia per Ie nomination agli Osca ed è stato molto applaudito dalla critica alla 72' Mostra del Cinema di Venezia.
A ottobre, al Festival del Cinema di Roma, il suo ultimo film, Lo chiamavano Jeeg Robot, regia di Gabriele Mainetti, era stato presentato in anteprima. La sala l’aveva accolto con un’ovazione, e “Variety”, severa bibbia dello showbusiness internazionale, ci aveva messo il sigillo: “Marinelli è graffiante nel ruolo del cattivo”.
Via ai primi paragoni con Gian Maria Volonté, con il talento di Elio Germano. Di certo, c’è la stima di Toni Servillo, che ha lavorato con lui ne “La Grande Bellezza”. Ora però si fa sul serio, Jeeg Robot sta per affrontare la prova delle sale. Si respira aria di successo, eppure nulla è scontato: «Da ragazzino litigavo con mio padre perché non smettevo di leggere fumetti. I miei migliori incubi li ho fatti con Dylan Dog”, dice.
Avete trovato una via italiana al superhero movie?
“Sì, ne sono convinto. Non c’è nulla di scimmiottato dai fumetti Marvel. E’ un film che sa d’Italia, come fosse uno spaghetti western. E’ scritto così bene che ha inventato un linguaggio”
Com’è il suo personaggio, lo Zingaro?
“Si aggira per Tor Bella Monaca trasportando un'estetica estrema: cappotti con fodere leopardate, camice rosso sgargiante, scarpe a punta. Non vuole stare nell’ombra, deve esistere, sogna la fama con i social network. Andrà forte, me lo sento”
Roma, 24 febbraio. Pronostico rispettato. La chiamavano Jeeg Robot ha guadagnato quasi 800 mila euro in una settimana (resterà nelle sale fino a fine maggio incassando 4,8 milioni). Un miracolo per un film a basso budget.
Roma, 18 aprile. Agli Studios sulla Tiburtina c’è la cerimonia di consegna dei David di Donatello. Votano in 1.111. Lo chiamavano Jeeg Robot trionfa ancora. Miglior regista esordiente, 756 voti, vince Gabriele Mainetti. Miglior attore non protagonista, 529, vince Luca Marinelli. In più il film fa vincere come migliori attrici due quasi sconosciute: la protagonista, Ilenia Pastorelli, e la non protagonista Antonia Truppo. E consacra l'attore protagonista, Claudio Santamaria. E un testa a testa: per 2 soli voti Marinelli infatti non vince anche questo titolo, con Non essere cattivo.
Torino, 12 maggio. Dal portone di Palazzo Cavour esce Luca. E’ in città perché sta recitando ne “il padre d’Italia” di Fabio Mollo.
Cos'è cambiato dopo il successo?
“Se ci metti coraggio, poi le cose pagano. Fare l’attore può essere di una crudeltà spaventosa. E’ un attimo finire sul rogo. Bisogna sapersi godere le cose, come i 1600 sms di congratulazioni quella sera. Letti tutti, uno alla volta”.
Dopo ruoli più introversi e delicati, ha raggiunto il successo interpretando due bad boy.
“Ho amato questi personaggi, anche se non sono un cattivo. Ho cercato di affondare al massimo nella frustrazione che può generare esplosioni violente. E’ un gioco di emozioni, un po' più profondo, proprio perché non mi appartengono”.
L’emozione della premiazione invece?
Del palco non ricordo nulla. Ho memoria solo del dietro le quinte. Non riuscivo a essere completamente contento. Mi è spiaciuto per Non essere cattivo. l premi sano così, hanno una certa spietatezza. Ma Claudio Caligari ha fatto un gran film che non doveva essere dimenticato.
Si è trattato di un set molto particolare.
Caligari stava morendo (il 26 maggio 2015, ndr) e invece di pensare ai suoi ultimi giorni si è preoccupato solo di dare, attraverso la sua arte. Non aveva paura. II suo sguardo da vero intellettuale, mai supponente e per questo capace di raccontare il disagio, è stato una lezione di vita.
Proprio qui a Torino lei ha fatto il suo esordio con “La solitudine dei numeri primi”.
Saverio Costanzo e Alba Rohrwacher mi hanno iniziato al cinema, insegnandomi a spostare I'emozione. Non devi mostrare, ma far vedere attraverso altro: non con la faccia. Io mi demoralizzavo, loro no. Non mollavano mai.
La prima cosa che ha imparato?
luca marinelli in lo chiamavano jeeg robot
Fare cinema non è interpretare un copione né pensare a come potrebbe venire. Ricordo un terribile rimprovero: "Per favore, Luca, non ti immaginare mai più una scena. Grazie".
Lei ha lavorato anche con Virzì e Sorrentino.
Ho un gran culo. Paolo Virzì ha la capacità di rendere calda I'atmosfera, è come una favola. Ne La grande bellezza ho fatto tre scene, che mi tengo strette. Sorrentino è il silenzio concentrato.
Ha sempre voluto fare l'attore?
luca marinelli in non essere cattivoluca marinelli 4
Si. E’ il mio mestiere. Quando diventa altro, mi trovo a disagio. In famiglia ho avuto dei begli esempi. In particolare mio nonno. Faceva il falegname: creava mobili, ma a incastro, perché, diceva lui, con un chiodo siamo buoni tutti. Ecco: la pazienza e I'impegno. L'attore si può fare fino a novant'anni, non c'è fretta.