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IO SONO LA MIA FICTION - DAGO SULLA POLITICA DEL REALITY: "QUESTI “MORTI DI FAMA”, CHE NON SANNO FARE NIENTE MA LO FANNO, HANNO ANTICIPATO LA VERSIONE TELEVISIVA DEL POPULISMO: SI BASA SULLA STESSA DISINTERMEDIAZIONE, SULLO STESSO DISCONOSCIMENTO DELLE ÉLITE. PER QUESTO IN QUEI CONTENITORI IL “FAMOSO PER ESSERE FAMOSO” FUNZIONA MEGLIO DEI VIP VERI''

Roberto D’Agostino per Oggi

mariana grande fratello

 

Il reality è il solo posto in cui ha senso stare in quest’epoca di realtà parallele; l’unica spiaggia popolare, piuttosto che l’ultima spiaggia dei vip. Una chance di giocarsi la vita. Perché il divismo vero, quello di Al Bano e Romina, di Hollywood o di Cinecittà non esiste più. Il cinema è morto, la tv è passata da sei a 100 reti diluendo la popolarità e riducendo gli spazi per soubrette e showgirl.

 

BARBARA D URSO E ALBERTO VINCITORE DEL GRANDE FRATELLO

Nel mentre, il web, via Instagram, ha creato eserciti di “famosi per essere famosi” che non sanno fare niente ma lo fanno e cercano di piazzarsi in tv. E la loro naturale collocazione è il reality. Perché forniscono in formato ridotto una simulazione perfetta dei casi della vita. Come dire che il mondo è un gioco e il gioco è un mondo. E imparando a destreggiarsi nell’uno si impara a vivere anche nell’altro.

fabiana britto grande fratello

 

Se questi “morti di fama” avessero uno slogan, sarebbe «Io sono la mia fiction», perché ogni account Instagram è pensato come un mini-reality in cui si raccontano come si sognano e non come sono. Se nel mondo reale siamo tutti col #meToo, su Instagram il corpo diventa vetrina di una macelleria, foto sexy dopo foto sexy, con un ruolo da protagonisti.

 

ken umano sotto la doccia al grande fratello

Assistono in tempo reale alle loro imprese digitali. Non sono semplici spettatori. Ma piuttosto spettatori di se stessi. Spingendo fino al cortocircuito tecnologico i ruoli tradizionali della società dello spettacolo. Con un’identificazione totale tra chi vede, chi è visto e chi agisce. Tempo fa prendevano tutti in giro Belén perché si esibiva su Instagram, ora lo fanno anche le Marcuzzi, le Panicucci e quelle che un lavoro ce lo avrebbero, perché hanno capito che se non sono là, sono fuori dai giochi.

IL REALITY POLACCO IN CUI I PARTECIPANTI VIVONO COME RIFUGIATI

 

Nel 1963 Andy Warhol affermava: «A chi interessa la verità? Ecco a cosa serve il mondo dello spettacolo. A dimostrare che non conta chi sei, ma chi il pubblico pensa che tu sia». A dimostrazione della tesi, aggiungeva profetico: «Non so dove l’artificio finisce e inizia la realtà».

 

selvaggia e francesco temptation island

Internet ha cancellato il mondo reale e ci ha lasciato il mondo reality, in cui nulla è serio, tutto è permesso, e non ci si presenta mai come se stessi ma come si vorrebbe essere. Cancellando l’intermediazione dei giornali, il reality dà ai “morti di fama” l’illusione di controllare quello che sappiamo di loro e li allena alla fake society.

 

Il meccanismo regge anche di fronte alle smentite evidenti: alla gente non frega niente se dopo aver visto pinca-palla perfetta in ogni foto di Instagram le scopre la cellulite in un reality. Invece che come il disvelamento di un inganno, quella cellulite è percepita come tocco di verità che mette tutti, spettatori e vip, sulla stessa barca.

 

lara michael temptation

La finzione non è percepita come colpa, perché la messa in scena è collettiva e condivisa. Di più: una persona è più autentica quanto più assomiglia all’idea che ha di se stessa. Il reality ha anticipato la versione televisiva del populismo: si basa sulla stessa disintermediazione, sullo stesso disconoscimento delle élite. Per questo in quei contenitori il “famoso per essere famoso” funziona meglio dei vip veri.

TEMPTATION ISLAND

 

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