“UNA PUTTANA DEVE ESSERE SEMPRE PUTTANA” – GIUSEPPE VERDI SBROCCO’ QUANDO SCOPRII COME LA CENSURA AVEVA STRAVOLTO LA SUA “TRAVIATA”: “L’HAN FATTA PURA E INNOCENTE. COSÌ HAN GUASTATO TUTTI I CARATTERI” - POCHI HANNO SUBÌTO RISCRITTURE COME GLI OPERISTI ITALIANI DELL'800 - L’OPERA DI ROSSINI, “L’EQUIVOCO STRAVAGANTE”, FU MODIFICATA PERCHE’ A IL PROTAGONISTA SCAMBIA LA PRIMADONNA PER UN CASTRATO - LA CENSURA SI SCATENÒ A VENEZIA CONTRO “RIGOLETTO” DEFINITO "DI RIBUTTANTE IMMORALITÀ E OSCENA TRIVIALITÀ", MA PER RAGIONI MORALI ED ESTETICHE, NON POLITICHE. ARGOMENTO DI LITIGIO FU...
Estratto dell’articolo di Alberto Mattioli per “Specchio – la Stampa”
Quant'è dura la censura. E pochi hanno dovuto andarci a sbattere come gli operisti italiani dell'Ottocento. Altro che Scurati, signora mia. Eh, sì: l'opera lirica, oggi spettacolo "comme il faut" come pochi, più rispettabile e noioso della vecchia zia zitella, era ieri uno spettacolo pericoloso, super controllato dall'autorità decisa a impedire trasgressioni politiche, morali o perfino al buon gusto. Del resto, in un Paese come l'Italia preunitaria […] il teatro era il luogo per eccellenza dove si formava l'opinione pubblica. Quindi, da sorvegliare […]
Così non c'è uno dei patriarchi del melodramma che non sia stato censurato. Per esempio, un Rossini diciannovenne con la sua seconda opera, L'equivoco stravagante, che nel 1811 a Bologna, Regno d'Italia napoleonico, viene vietata dopo tre recite. Il Redattore del Reno approva: "Che il libretto sia, permettetemi, cattivo, lo dimostra la risoluzione presa da cotesta ben veggente Prefettura, che ha proibito la continuazione delle recite".
In effetti, il testo del sedicente "dramma giocoso" di Gaetano Gasbarri, infarcito di doppi sensi scurrili, ricorda irresistibilmente un film scorreggione degli anni Settanta. Per dire: a un certo punto il buffo scambia la primadonna per un castrato, bonjour finesse. Chi scorra le cronologie teatrali sarà sorpreso di scoprire che Rossini avrebbe scritto un Vallace e un Rodolfo di Sterlinga: è il Guillaume Tell censurato, rispettivamente nel '36 alla Scala e nel '40 a Roma, Ancona e Bologna.
Il già ricco catalogo di Donizetti si arricchisce di nuovi titoli: Alfonso, duca di Ferrara, Dalinda, Elisa da Fosco, Eustorgia da Romano, Giovanna I di Napoli.
Ma si tratta sempre di Lucrezia Borgia, opera tratta da Victor Hugo che mette in scena la figlia di un Papa incestuosamente innamorata di suo figlio, non il genere di argomento che potesse passare senza problemi.
[…] Poi c'è il capitolo di Verdi, che prima del 1861 passò buona parte della carriera a litigare con i censori. E non, come spesso si crede, per ragioni politiche: se non è un mito tout court, quello del Verdi "risorgimentale" è comunque fortemente esagerato […]
La censura si scatenò invece a Venezia contro Rigoletto, ancora il pericolosissimo Hugo, definito […] argomento "di una ributtante immoralità e oscena trivialità": ma per ragioni morali ed estetiche, non politiche. Incredibile come un argomento di litigio fosse il sacco dove viene chiusa la povera Gilda morente, considerato un oggetto troppo triviale e quotidiano per apparire sulle scene dell'aristocratica Fenice.
Rigoletto diventò poi Viscardello nella versione censurata che girò per l'Italia. Quanto a Stiffelio, scabrosissima storia di un pastore protestante di una setta inesistente, gli assasveriani, che perdona la moglie fedifraga leggendo dal pulpito il passaggio evangelico sulla prima pietra, fin dal debutto, a Trieste nel 1850, il libretto fu distribuito con delle pecette a coprire i versi più inaccettabili.
Tanto Verdi era cosciente che l'opera avrebbe girato poco o nulla, benché mascherata da Guglielmo Wellingrode, che la riscrisse e diventò così Aroldo, dove l'ex assasveriano è un crociato "laico" al ritorno dalla Palestina. Sulle traversie di Un ballo in maschera (1859) con la censura borbonica di Napoli si potrebbe scrivere un libro, anzi è stato fatto: alla fine Verdi non accettò le mille modifiche richieste e fece rappresentare l'opera a Roma, e anche lì dopo lunghe discussioni. E La traviata? Ovviamente inaccettabile, nel suo femminismo oltraggioso e rivoluzionario.
Curiosamente, la censura austriaca era la meno vessatoria, e a Venezia nel 1853 non fece troppi danni. Ma alla Pergola di Firenze e all'Apollo di Roma, e poi in molti altri teatri, il titolo diventò Violetta e la trama fu modificata: Violetta non è una cortigiana e Alfredo deve lasciarla perché deve sposare una fanciulla ricca per salvare dal dissesto finanziario la famiglia. Quando Verdi, caratterino già non facile di suo, lo venne a sapere, esplose: «Han fatto la Traviata pura e innocente. Tante grazie! Così han guastato tutte le posizioni, tutti i caratteri. Una puttana deve essere sempre puttana». E noi, ovviamente, non lo censuriamo.