VIVA VERDI - PER LA PRIMA VOLTA DOPO 24 ANNI IL FESTIVAL DEDICATO AL MAESTRO DI BUSSETO HA UN TEMA: "POTERE E POLITICA". L'IMPASTO DI "FERRO E SANGUE" ALIMENTA L'INTERA PRODUZIONE VERDIANA, SPIEGA IL DIRETTORE ARTISTICO DEL TEATRO REGIO DI PARMA ALESSIO VLAD – “VERDI È UNO DEI PIÙ GRANDI RAPPRESENTANTI DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE. DUE PAROLE DI CUI OGGI PURTROPPO SI ABUSA, COME “ARTE” E “CULTURA”, IN QUESTO MODO POSSONO DIVENTARE ESERCIZI DI VERITÀ” - LA VIDEO INSTALLAZIONE COMMISSIONATA DAL FESTIVAL A SHIRIN NESHAT: ARTISTA IRANIANA ESULE NEGLI STATI UNITI, CHE...
Nicola Gallino per la Repubblica - Estratti
Dopo 24 anni il Festival Verdi si dà un tema conduttore: “Potere e Politica”. L’impasto di ferro e sangue che muove e alimenta praticamente l’intera produzione del Maestro.
È una scelta facile solo in apparenza, che il direttore artistico del Teatro Regio di Parma Alessio Vlad spiega nella sua complessità: «Un festival deve offrire sempre elementi di riflessione, soprattutto quando è dedicato a una figura come Verdi, celebrata in tutti i teatri del mondo. Dobbiamo proporre tutti questi spunti evitando le classificazioni e le semplificazioni che spesso i festival tematici portano con sé».
Di spunti e chiavi di lettura i quattro capolavori prescelti ne garantiscono a iosa. La metafora dell’Italia invasa dai barbari nel giovanile, irruento Attila del 1846 in forma di concerto. Lo slancio risorgimentale della Battaglia di Legnano che per Vlad è l’opera più apertamente patriottica di Verdi: «È un’allegoria creata al Teatro Argentina il 27 gennaio 1849 in pieno fervore rivoluzionario, nei giorni in cui viene proclamata la Repubblica Romana».
La sofisticata maturità di Un ballo in maschera del 1859 nel nuovo allestimento del Regio con la direzione di Fabio Biondi e la regia contemporanea di Daniele Menghini. E l’abisso scespiriano di Macbeth affidato alla bacchetta di Roberto Abbado e presentato per la prima volta in forma scenica nella versione francese del 1865 pensata per l’Opéra di Parigi. «Verdi non ammette letture univoche. Dici “politica” e pensi subito al Macbeth , ma poi ne sgorga fuori la dimensione fantastica di streghe e fantasmi».
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Ecco allora la scelta di affiancare alle opere il ciclo Ramificazioni : quattro concerti che innescano reazioni chimiche fra autori che - prima e dopo lui hanno materializzato in modo visionario i mostri del potere. «Abbiamo voluto considerare Verdi in una prospettiva che unisca passato e futuro ».
Come la Quinta sinfonia con cui Dmítrij Šostakóvic nel 1937 si sottomette alla prima autocritica di fronte al terrore staliniano, qui riletta dalla strepitosa MusicÆterna Orchestra di Teodor Currentzis. O i tre grandi anniversari del 2024: i 400 anni del Combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi, i 150 dalla nascita di Arnold Schönberg e i cento di Luigi Nono. Tutti loro hanno affrontato i temi della degenerazione del potere colta nel rapporto fra scelte politiche e destino individuale. Lo strazio del cavaliere cristiano che scopre di aver ucciso in duello la donna amata celata nell’armatura da rivale saraceno. L’Espressionismo al suo apice nel racconto allucinato del Sopravvissuto di Varsavia . Le Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea che Nono musica nel 1956 nel Canto sospeso .
«Il direttore Maxime Pascal li mette allo specchio con il Verdi dello Stabat Mater e il Te Deum dai Quattro pezzi sacri . E una compagine vocale di primissimo ordine quale il coro del Teatro Regio ci accompagna così nell’evoluzione della scrittura corale dentro il pieno Novecento ».
A rendere il rapporto ancora più ramificato e pregnante è la videoinstallazione commissionata dal Festival a Shirin Neshat: artista iraniana Leone d’Argento a Venezia ed esule negli Stati Uniti, che denuncia così la condizione delle donne nel suo Paese sotto il tallone degli ayatollah. Insomma, nessun timore che il tema annuale sia per il Festival Verdi una strettoia o una limitazione. «Verdi è uno dei più grandi rappresentanti della civiltà occidentale e va collocato in una prospettiva assoluta. Due parole di cui oggi purtroppo si abusa, come “arte” e “cultura”, in questo modo possono e devono diventare esercizi di verità»
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