MAXXI IMBARAZZO - ALLA PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA DI JAN FABRE, IL DIRETTORE ARTISTICO HOU HANRU S’ATTEGGIA A “INTERNESCIONAL” E INIZIA A PARLARE IN INGLESE MA NESSUNO LO CAPISCE
Alessandra Mammì per Dagospia
VIDEO - JAN FABRE. STIGMATA | ACTIONS & PERFORMANCES
https://www.youtube.com/watch?v=g7ucz9CYATU
Roma. Maxxi.14 febbraio. Talk: Jan Fabre -Germano Celant - Hou Hanru. in chiusura della mostra (16 febbraio)
SCENA PRIMA. LA GAFFE
"Buonasera,sono Hou Hanru, direttore artistico, e nel nuovo stile del Maxxi vi avverto che d'ora in poi i talk saranno in inglese,una lingua più internazionale per un museo più internazionale". Germano Celant lo guarda perplesso e chiede alla platea "Sicuri che posso parlare in inglese?":la platea tace. Lui parla ma, alla fine dell'intervento tra borbottii e esplicite proteste si materializza un interprete.
La quale prima di tutto stenografa e traduce le scuse (in inglese) del direttore artistico "Ho scherzato, l'ho detto solo perché non so bene l'Italiano". Fortunato Hanru, che siamo in Italia paese meno internazionale di altri, che sopporta che in un suo museo statale
non si parli la lingua nazionale. In Francia per molto meno avrebbero già ricostruito la ghigliottina. Comunque Celant, rapido supera la gaffe e ripete l'intervento in italiano. Anzi praticamente ne fa un altro, più ampio e migliore. Eccolo riassunto
SCENA SECONDA. COME ALLESTIRE UNA MOSTRA NEL MUSEO DI ZAHA HADID.
La mostra in questione : "Stigmata"di Jan Fabre. Actions & Performances 1976-2013 viaggio nella memoria dell'artista fiammingo attraverso disegni, fotografie, modelli di studio e film.
Allestire una mostra significa ascoltare l'edificio che la ospita. Non contrastarlo, ma interpretarlo, creare un dialogo. Quando sono entrato qui, appena entrato in questa sala ho guardato l'architettura e mi sono chiesto "Qual è in questo spazio l'elemento a cui affidarsi per fare una mostra?" Non le pareti curve, non i muri che non ci sono e sarebbe una violenza costruire interrompendo il flusso che è la ragione stessa del progetto di Zaha Hadid. Ebbene: l'elemento portante qui è il pavimento.
Un lago, una superficie liquida su cui immaginare un percorso altrettanto fluido e liquido. E' da qui che Jan Fabre ed io siam partiti per ricostruire le sue performances dall'inizio ad oggi. E la performance è già di per sé materiale aleatorio che rivive solo per tracce, relitti, memorie. Dunque, acqua su acqua.
Un sistema d'acqua tradotto in lastre di vetro sorrette da due cavalletti che si trasformano in zattere, isole abitate da tracce di realtà di quel che fu la performance ( disegni, martelli, appunti, foto, lembi di stoffa), mentre sui muri gli schermi altrettanto liquidi, ne
testimoniano l'evento. E non c'è percorso suggerito in questa mostra, ma il visitatore è invitato a vagare, zig-zagare, nuotare tra i relitti e le immagini. Un viaggio non lineare, molteplice , per un artista non lineare e molteplice.
SCENA TERZA. JAN FABRE.
Nonostante il look dimesso, lo sguardo un po' accigliato e l'impressione di uno che non è affatto a suo agio, Fabre appena inizia a parlare travolge tutti. Non essendo più abituati alla passione romantica, la strabordante passione di quest'uomo in un attimo ha in
pugno la platea. Parla dell'arte come necessità e bisogno ("non mi chiedo cosa fare, non ho strategie è come suonare uno strumento a cui non puoi resistere"), Del corpo come sublimazione dell'esperienza ( "Il cervello forse è l'organo più importante per pensiero e immaginazione, ma poi lo sforzo è fisico, la prova è fisica, il corpo è oggetto di ricerca. Sono le mie lacrime, il mio sangue, il mio sudore a fare l'opera..."), Parla di Dio ( "la mostra si chiama "Stigmata" anche perchè sia io che Germano veniamo da cultura cattolica dove si insegna che la sofferenza è apprendimento"). Di Guerrieri Vergini,"come metafora dell'artista che crede nell'essere artista e lotta per la bellezza".
Chiarisce che la bellezza non è perfezione di forma, ma incontro fra etica ed estetica. (Se non è questo a lui non interessa). Spiega che la performance non si può ripetere altrimenti da sacrificio diventa teatro, mentre il performer non è attore ma appunto creatura sacrificante.
E che l'atto artistico non è poesia ma è bulimia: mangiare, mangiare fino a non poterne più e dover vomitare tutto per non scoppiare."Questo è il contatto con la materia" Perché in fondo dice, in tutte le sue trasformazioni da "scienziato,filosofo, idiota", in tutte le sue maschere, in tutte le sue pelli e in tutta la sua vita lui non ha fatto altro che cercare la
realtà .
Hanru curatore del Maxxi Hou Hanru Germano CelantJAN FABREOPERA DI JAN FABREOPERA DI JAN FABRE