PUSSY-MEMORIE - LE DUE CANTANTI ANTI PUTIN DENUNCIANO LE CONDIZIONI DISUMANE NELLE CARCERI RUSSE "LÌ DENTRO ABBIAMO VISTO L'INFERNO"

Articolo di Mark Franchetti corrispondente da Mosca per ‘The Sunday times' pubblicato da ‘La Stampa'

Le due Pussy Riot appena liberate denunciano le prigioni russe dove sono state detenute per quasi due anni come «un mondo infernale di schiavitù e abusi». E si impegnano a denunciarlo e a riformarlo.

Nadezhda (Nadia) Tolokonnikova e Maria Alyokhina - le due leader del gruppo punk di opposizione - sono state rilasciate il mese scorso nell'ambito della amnistia generale accordata dal Cremlino, dopo aver passato 22 mesi in cella per aver cantato una canzone contro Vladimir Putin nella cattedrale di Mosca.

Ancora più determinate di prima dell'arresto, le due giovani rivelano di essere scioccate dalle «terrificanti e degradanti» condizioni di vita all'interno delle prigioni femminili russe. Nel corso di un incontro in un affollato caffè moscovita a tarda notte le due orgogliose attiviste anti-Putin ci raccontano come le detenute erano costrette a lavorare 16 ore al giorno nella fabbrica tessile della prigione per cucire uniformi della polizia. Lì, le detenute sono picchiate, sia dalle guardie che da altre prigioniere al servizio dell'amministrazione penitenziaria.

Subiscono continui abusi e sono private dei diritti più elementari, come andare in bagno e lavarsi. «Quando sono stata per la prima volta trasferita dalla prigione di Mosca al campo di prigionia dove ho scontato la maggior parte della condanna, ho pensato che forse non sarebbe stato così male - racconta Nadia - . Ma poi mi sono ritrovata di fronte all'inferno». «Ti tolgono tutti i diritti. Non sei trattata come un essere umano ma come un corpo. Il nonnismo è molto diffuso e il sistema è orientato a degradarti. Sono lavori forzati. I detenuti sono sfruttati fino all'osso, dormono quattro o cinque ore per notte. E se ti lamenti la vita diventa ancora più orrenda».

Tolokonnikova era pagata meno di un euro all'ora, dice, per lavorare come cucitrice. Le impedivano spesso di andare al bagno. Descrive il cibo come «rivoltante». Alle detenute erano affibbiati obiettivi di produzione assurdi ed erano punite severamente se non li raggiungevano. Le prigioniere venivano colpite dalle compagne, con l'approvazione dell'amministrazione penitenziaria, nei reni e in faccia. Contro chi protestava venivano scatenati «calunniatori» e «provocatori» che spesso usavano «trappole sessuali» per incastrali: ufficialmente il sesso non è ammesso in prigione e chi trasgredisce è punito.

«Da quando ti alzi a quando vai a letto, esausta, sei costantemente sotto pressione psicologica», racconta Maria Alyokhina, che ha passato cinque mesi in isolamento «per la sua stessa sicurezza». E rivela che le detenute sono soggette a periodiche visite ginecologiche forzate. «Molte volte mi hanno minacciato che sarei stata incriminata nuovamente, per cose nuove. Il momento peggiore è stato quando ho visto una detenuta che stava morendo di cirrosi costretta a lavorare. Le prigioni russe sono posti dove tutto viene fatto per distruggere ogni senso di umanità».

Le due Pussy Riot, entrambe madri di figli piccoli, dicono che la pubblicità mondiale che il loro caso ha attirato è valsa un trattamento migliore rispetto alle altre prigioniere e che sono state risparmiate dalle violenze fisiche. L'amministrazione, però, ha cercato spesso di fomentare contro di loro l'odio delle compagne. «Le punizioni collettive erano le peggiori», dice Nadia, che a settembre ha fatto lo sciopero della fame per nove giorni per protestare contro gli abusi. «Fai qualcosa che non piace al capo della prigione e 100 persone sono punite. La pressione per costringerti al silenzio è insopportabile».
Entrambe dicono che per aumentare il loro isolamento le altre prigioniere erano istruite severamente a non parlar loro.

Quelle che osavano essere amichevoli venivano picchiate. «Le autorità della prigione incoraggiavano il nonnismo, tradimenti e paura fra le prigioniere, autorizzando alcune ad agire contro le altre», si sfoga Alyokhina. In una lettera aperta per spiegare lo sciopero della fame Nadia Tolokonnikova ha rivelato che le detenute erano forzate a stare in piedi fuori al freddo come punizione. Una zingara era stata picchiata a morte un anno prima dell'arrivo di Nadia e l'omicidio liquidato e coperto dall'amministrazione come «morte per infarto». Le detenute appena arrivate che non reggevano i ritmi di lavoro erano costrette a cucire nude.

Lo scorso autunno la pubblicità negativa causata dallo sciopero della fame e le condanne suscitate dalla lettera aperta hanno condotto le autorità della prigione a trasferire Tolokonnikova in una prigione in Siberia dove le sue condizioni sono migliorate.
Dal momento del loro rilascio le Pussy Riot sono determinate a orientare il loro attivismo sulla riforma del sistema per mettere fine agli abusi. Le due hanno fondato «Zona di legge», un gruppo per i diritti umani che raccoglierà testimonianze di ex detenuti e porterà avanti denunce nei tribunali russi. L'obiettivo è assicurare che i diritti dei prigionieri siano rispettati.

Tolonnikova sottolinea che le condizioni in tutte le prigioni russe non sono così brutte come in quella dove ha scontato la maggior parte della pena. «Non siamo né piegate né spaventate e non lasceremo la Russia», dice Alyokhina con aria di sfida. «Anzi, siamo tutte e due molto più lucide e determinate. Siamo più forti, con più esperienza». «Non posso dormire», aggiunge Tolokonnikova. «Solo due o tre ore a notte. Quando dormo mi sento colpevole di perdere tempo. Sento un peso, il senso di responsabilità, il dovere di agire. Penso agli occhi, alle espressioni delle donne che ho incontrato in prigione e che mi hanno raccontato gli abusi che hanno dovuto sopportare. Persone sul confine fra la vita e la morte».

 

 

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