QUELLA VOLTA CHE VITTORIO GASSMAN FECE PIANGERE DINO RISI - IL SECONDOGENITO DEL REGISTA, MARCO, RACCONTA IN UN MEMOIR DI UN EPICO SCONTRO A CENA TRA IL MATTATORE E IL REGISTA: "NON SO QUALE FU IL MOTIVO SCATENANTE, FORSE UNA CORTE DIVERTITA A DILETTA, MOGLIE DI GASSMAN O FORSE QUALCOS'ALTRO. FATTO STA CHE VITTORIO COMINCIÒ AD AGGREDIRE PAPÀ, A DIRGLIENE DI TUTTI I COLORI, PER UMILIARLO, SPIETATO. PAPÀ CI RESTÒ MALISSIMO. VITTORIO MI DISSE CHE"… - VIDEO
Estratto di “Forte respiro rapido. La mia vita con Dino Risi”, ed. Mondadori, di Marco Risi, pubblicato da “il Messaggero”
Dino e Vittorio non si frequentavano quasi nella vita privata, però fra loro era come se ci fosse un'intesa che scattava ogni volta, a ogni nuovo film, e non aveva bisogno di nient'altro se non della loro anche silenziosa complicità.
Da piccolo mi faceva un certo effetto vedere Vittorio sullo schermo, perché mi sembrava di vedere mio padre. Per quello che diceva o faceva: un gesto, una battuta, un calcio a un barattolo. Era come rivederlo nelle vesti di un altro che lo interpretava, era come avere due padri, uno vero e uno sullo schermo, e quello sullo schermo assomigliava molto a quello vero. Il film che più di ogni altro metteva insieme parecchie cose che riguardavano la nostra famiglia è senza dubbio Il tigre, dove mi si intravede anche come comparsa che balla in una scena al Piper mentre il mio ruolo, o, per meglio dire, quello che sicuramente a me era ispirato, lo fece Dudù, il figlio di Enrico Maria Salerno.
IL LATO FRAGILE
Di Vittorio, come di papà, mi piaceva il lato più nascosto, quello fragile, quello che bisognava scoprire. Vittorio era timido. Me ne accorsi quando venne nella nostra casa al Circeo con la figlia americana Vittoria. Quell'omone alto, forte, bello, quando non recitava era capace di sprofondare in attimi di imbarazzo che non riusciva a mascherare neanche con sorrisi di una dolcezza assoluta.
Certo, era grande, occupava spazio, ed era come se questa cosa, in certe occasioni, gli creasse disagio, addirittura nei movimenti; papà diceva che era goffo, più nella vita che sul set, come se si accorgesse di essere ingombrante, quasi inadeguato, e questo lo portasse a mettere in dubbio il suo talento di attore e quindi il suo lavoro.
Probabilmente sono stati proprio questi momenti a dare il via alla sua prima depressione. Era come se improvvisamente si fosse accorto che quello che aveva fatto fino a quel giorno, e cioè l'attore, non fosse la cosa che avrebbe voluto fare più di ogni altra ma quella che si era imposto di fare, e di farla meglio di chiunque altro.
vittorio gassman marco e dino risi gianni minà
La sua voce, per dirne una, non era la sua voce vera, era costruita, l'aveva modificata per fare quel mestiere, e spesso diceva che non la sopportava. Me lo raccontava mio padre: quando erano al doppiaggio, ogni tanto lo sentiva dire nel microfono, al leggio: «Che voce di merda!». Quella sua voce proprio non gli piaceva, come non gli piaceva rivedersi mentre recitava, al contrario di Manfredi.
Vittorio Gassman: la sua fragilità a dispetto della sua prestanza fisica, della sua presunta arroganza. Ecco. Su questo volevo fare il mio film con lui. (...)
IL LEGAME
Ma fra mio padre e Vittorio Gassman c'era qualcosa di diverso, di intimo, qualcosa che andava oltre il rapporto di lavoro e che non condividevano con gli altri moschettieri perché solo a loro due era successo di aver perso il padre da adolescenti, verso i quattordici anni.
vittorio gassman diletta d'andrea
Papà raccontava, come ha ricordato Francesca, che quando morì il suo si era finalmente sentito al centro delle attenzioni di parenti e amici, com'era successo qualche mese prima a un suo compagno di scuola che per questo aveva invidiato... Salvo poi accorgersi di quanto suo padre gli mancasse.
C'è un episodio che mi ha sempre commosso e che un giorno vorrei vedere sullo schermo per quanto mi sembra bello, anche girato da qualcun altro (Vittorio De Sica sarebbe stato l'ideale). Rigorosamente in bianco e nero, però. Quando quell'improvvisa assenza si trasformò in una mancanza profonda e dolorosa decise di fare qualcosa di assolutamente irrazionale.
Siamo nei primi anni Trenta. Bisogna immaginare le strade di Milano: poche macchine e molti passanti, i tram pieni di gente e la nebbia. Il giovane Dino, quattordicenne, si guarda intorno, cerca qualcosa, no, qualcuno, che più degli altri gli ricordi suo padre, per postura, abiti, atteggiamento, taglio dei capelli. Finalmente trova quello che cerca: un uomo sui cinquanta, di spalle, il cappello in testa, e da quel momento comincia a seguirlo, sperando che non si volti perché così l'illusione che sia lui, ancora vivo, può durare di più.
Un pedinamento molto particolare, in cui non ha importanza che il pedinato non si accorga di essere pedinato, quanto che il pedinatore si accorga il più tardi possibile che il pedinato non è poi quello giusto. Tutto il contrario di quello che fanno gli investigatori privati. Deve però stare molto attento, agli angoli, alle svolte, ai riflessi delle vetrine. Se vuole prolungare il più possibile l'illusione che quello che sta seguendo sia proprio il suo papà.
Riesco a vederlo, magro, con i libri di scuola sottobraccio, concentrato, emozionato, cauto, attraversare una strada, addirittura salire su un tram, sedersi dietro quell'uomo e pensare di tornare a casa, insieme, come un papà con il figlio... ma, così facendo, invece di andarci, si allontana da casa, per finire magari in periferia, e lì perderlo di vista, solo per un attimo però, e poi riguadagnarlo e infine avvicinarsi, forse per prendergli la mano (no no, troppo, niente mano, o forse sì. De Sica ce l'avrebbe messa). Guardarlo di tre quarti, ancora di più, di profilo, e poi accorgersi ogni volta, per chissà quante volte, che non è lui.
PEDINAMENTI
Ultimamente, da quando è morto il mio, di padre, capita anche a me, non di seguire qualcuno che me lo ricordi, ma di sobbalzare nel vedere una chioma bianca, da lontano, con un impermeabile come il suo e magari i pantaloni di velluto. Mi è successo, più di una volta, di spalle e anche di fronte, da lontano.
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Sedici film insieme, papà e Vittorio! Sedici avventure, mesi e mesi passati insieme negli anni, da giovani fino a diventare vecchi. Quando ci sono due personalità forti come le loro, è difficile che manchino gli scontri, anche violenti. Grave fu quello durante la cena di fine riprese di un film che non era di mio padre ma alla quale fu invitato proprio da Gassman. Sarà stato il '70 o il '71. Non so quale fu il motivo scatenante, forse una corte divertita a Diletta o forse qualcos'altro.
IL LATO OSCURO
Fatto sta che Vittorio, che poteva diventare antipatico, per non dire violento se in stato di ebbrezza, cominciò ad aggredire papà, a metterglisi di fronte, le mani sul tavolo, sporto in avanti, a fissarlo negli occhi e a dirgliene di tutti i colori, per umiliarlo, spietato. Papà ci restò malissimo. Ricordo ancora il dolore nei suoi occhi e la rabbia per quello che era successo quando lo raccontò a mio fratello e a me, senza riferirci mai esattamente quello che gli aveva detto.
Eravamo in montagna, dove ci raggiunse con nostra madre per godersi una settimana di vacanza. Concluse che non avrebbe più lavorato con lui, che basta, era stato troppo ferito. Quello che non disse me lo confessò parecchi anni dopo Vittorio durante uno dei nostri incontri per parlare del progetto da realizzare insieme fu che papà addirittura pianse! Me lo raccontò a casa sua, nel suo studio, a Roma, con una certa malcelata soddisfazione. Mi sembrava impossibile. Facevo fatica a immaginare mio padre piangere. (...)
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