RICORDO DI ROBERTO DELERA - PINO CORRIAS: “FACEVA IL TIMONIERE DI GIORNALI, DI QUELLI CHE NON SI FABBRICANO PIÙ, LUI LO SAPEVA, E NE ESTRAEVA UNA SUA ORGOGLIOSA MALINCONIA, MA CON LA LEGGEREZZA DELLE MANI IN TASCA”
Pino Corrias a Dagospia
Aveva una sua gentilezza speciale, un’ironia che bilanciava la timidezza, l’incanto per i viaggi di ieri, la curiosità per quelli di domani. E specialmente aveva una passione per la vita che era il suo modo di governarla.
Si chiamava Roberto Delera, timoniere di giornali. Ma anche di molto altro, comprese certe rotte di amicizia che hanno navigato, nel mio caso, per una trentina d’anni, dai tempi di Epoca, Corriere della Sera, Vanity Fair, e quell’ultimo bagliore di Traveller dove lui fu direttore dentro al più bell’ufficio a mia memoria, le vetrate proprio davanti al terzo bastione del Castello Sforzesco con il prato verde, il cielo qualche volta blu, gli arredi bianchi, che ogni volta gli dicevo “Mannaggia Roberto, perché non mi assumi?”
D’abitudine ci telefonavamo a giorni alterni, lui da Milano io da Roma. Gli piaceva fare il gioco del caporedattore di forma quadrata, tendenza milanese, con l’ansia degli orologi e la legge del menabò da rispettare, “Hai scritto? Quando mandi?”.
Io da Roma prendevo tempo: “Datti una calmata, ho lavorato a una cosa”.
“Lavorare mi sembra una parola grossa, nel tuo caso”, mi diceva, e dicendolo se ne usciva con la sua risata improvvisa e forte che era la sua maniera di accomodarsi nella conversazione, prenderla larga, informarsi se avevi letto quel certo pezzo su Dagospia, La Sampa o Repubblica, se avevi notato la sciatteria di quel titolo sbagliato, o quel servizio così malmesso che invece andrebbe rifatto per bene, aggiungendo un paio di cose che mancavano, ma poi tralasciando le contingenze di inchiostro – negli ultimi tempi l’inchiostro digitale dell’Huffington Post - per aggiornarti sulla sua ultima passeggiata, l’altra domenica, a Camogli, sotto al sole che tiene al caldo i gatti e il lungomare già carico di estate, la pescheria, e il profumo della focaccia.
V. Montanari, R. Delera e V. Corbetta
L’interferenza della malattia non era prevista, né prevedibile. E’ arrivata come una cravatta sbagliata, proprio a lui che le cravatte le azzeccava sempre. Ne abbiamo parlato qualche volta a lungo, con aggiornamento di ricoveri, piccole guarigioni, peggioramenti. Ma anche tante dimenticanze, al diavolo la malattia, prevalendo in lui sempre la vita, e con la vita: Michele, il figlio che studia a Londra, le molte attenzioni per Betti, la moglie, ultimamente una casa di appoggio a Roma da trovare (“Mi dai una mano?”) il prossimo pranzo per fare il punto e qualche volta la cena per il punto e virgola (“Ma voi a Roma mangiate sempre?”) sapendo che il tempo gli stava scappando di mano, ma facendo finta di non accorgersene, mai un lamento, mai una imprecazione.
Roberto Delera se n’è andato di mattina presto venerdì 22 maggio 2015 all’età di 62 anni, lasciando molti vuoti dietro di sé e una coda di abbracci. Faceva il timoniere di giornali, di quelli che non si fabbricano più, lui lo sapeva, e ne estraeva una sua orgogliosa malinconia, ma con la leggerezza delle mani in tasca.
Per l’ultimo appuntamento: lunedì 25 alle ore 11, a Milano, cimitero di Lambrate, addio.