IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - SE N’È ANDATO A 81 ANNI IL MITICO AUGUSTO CAMINITO. QUALCOSA IN PIÙ DI UNO SCENEGGIATORE, DI UN PRODUTTORE, DI UN REGISTA. TROPPO FURBO, TROPPO INTELLIGENTE, TROPPO AFFASCINANTE, HA ATTRAVERSATO TUTTO IL CINEMA ITALIANO, DA SORDI A SERGIO LEONE, DA VINCENZO CERAMI A PAOLO VILLAGGIO - ERA L’UNICO AL MONDO IN GRADO DI TRATTARE CON KLAUS KINSKI NELLA FASE PIÙ PAZZA DELLA SUA VITA, E DI PORTARE A TERMINE UN FILM COME “NOSFERATU A VENEZIA” DOPO AVER PERSO PER STRADA QUALCOSA COME TRE-QUATTRO REGISTI - SCOPRI' UNA GIOVANISSIMA ANNA FALCHI
Augusto Caminito rip
Marco Giusti per Dagospia
Difficile pensare che se ne sia andato per sempre il mitico Augusto Caminito, 81 anni, qualcosa in più di uno sceneggiatore, di un produttore, di un regista. Troppo furbo, troppo intelligente, troppo affascinante per farsi etichettare in un solo ruolo dentro il mondo del cinema.
Era l’unico al mondo in grado di trattare con Klaus Kinski nella fase più pazza della sua vita, e di portare a termine un film come “Nosferatu a Venezia” dopo aver perso per strada qualcosa come tre-quattro registi, Maurizio Lucidi-Pasquale Squitieri-Mario Caiano, prima di subentrare lui stesso assieme a Luigi Cozzi e a Kinski per chiudere in qualche modo un set impossibile da gestire.
KLAUS KINSKI E LA FIGLIA NASTASSJA
E lo segue anche, da produttore, per l’ancora più sofferto e fuori di testa “Paganini”, che Klaus Kinski dirigerà lui stesso in preda a un delirio artistico, mentre mette in piedi un ultimo film kinskiano per Mediaset, che caccia i soldi, che passerà solo in tv a tarda notte, “Grandi cacciatori”.
E’ l’unico al mondo anche in grado di passare dalle sceneggiature per gli 007 all’italiana scritte con Paolo Bianchini e per gli spaghetti western, scritte con Fernando Di Leo a quelle scritte con Rodolfo Sonego per Alberto Sordi (“Tutti dentro”, “Io so che tu sai che io so”, “Il testimone”), per Adriano Celentano e Monica Vitti (“L’altra metà del cielo”), e infine per Paolo Villaggio (“Superfantozzi”, Professor Kranz”, “Ragionier Arturo De Fanti”).
Anche quando diventa produttore, con grandi film popolari, come “Tutti dentro”, “Troppo forte” con Carlo Verdone e Alberto Sordi, legandosi a Pasquale Squitieri, “Naso di cane”, a Sergio Corbucci, “Rimini Rimini”, non perde la capacità di muoversi velocemente nel mondo del cinema da un reparto all’altro, scrittura, produzione, regia, supervisionando tutto, costruendo una squadra di giovani sceneggiatori e gagman della quale fa parte pure Robert D’Agostino, che collabora infatti segretamente a qualche suo film (quelli targati Penta).
Simpatico, positivo, pronto a tutto, Caminito fin dall’inizio ha lavorato a soggetti e sceneggiature insieme a altri sceneggiatori, mettendo su con Paolo Bianchini, Fernando Di Leo, Vincenzo Dell’Aquila, Adriano Bolzoni, una specie di squadra che produce copioni quando i produttori, piccoli e grandi ne volevano davvero un tanto al chilo.
Difficile capire davvero i suoi primi film da sceneggiatore. Ufficialmente il suo primo film dovrebbe essere “Il gioco delle spie” diretto da Bianchini nel 1966, seguito dal western “I lunghi giorni della vendetta” di Florestano Vancini, che scrive assieme a Fernando Di Leo. Con Di Leo scrive anche “Un poker di pistole”, “L’ultimo killer”, “Il mio nome è Pecos” e il migliore di tutti, “Ognuno per sé”, diretto da Giorgio Capitani.
Caminito ricordava in ogni riunione che l’intruso era sempre il regista. “In fondo li disprezzava tutti. Ma aveva le sue idee e quando non condivideva quelle degli altri, rimaneva zitto.” Con Di Leo scrivono spesso, anche anonimamente, per Palombi e Silvestri, produttori estremamente rapidi e di non grandi pretese, come “Un poker di pistole” diretto da Giuseppe Vari.
Assieme a Augusto Finocchi scrivono un western per Maurizio Lucidi, “La più grande rapina del west”. Caminito non lo amava. “Era terribile. Mi sono sempre pentito di dargli le mie sceneggiature. Finocchi era un dopolavorista delle Ferrovie dello Stato con la passione della sceneggiatura”. Con Vincenzo Cerami scrive invece il secondo film dello Straniero di Tony Anthony, una follia ambientata in Giappone,
“Lo Straniero di Silenzio”, diretto da Luigi Vanzi e in segreto da Cerami. Ricordava Caminito: “Il precedente film dello Straniero, che era costato quattro soldi, distribuito in un cineclub in America aveva fatto un successo clamoroso perché era stato scambiato per un film comico. Ci andavano tutti, messicani, cinesi. Così Tony Anthony chiese a Luigi Vanzi di occuparsi del film direttamente in America e lui chiamò noi a scriverlo per due mesi a New York. Venimmo un po’ abbandonati a noi stessi, ma ci divertimmo molto. Quando mi chiesero di andare in Giappone a seguire la lavorazione mi defilai e dissi a Vincenzo Cerami di andarci lui. Fu molto contento all’inizio. Poi mi scrisse dal Giappone questo messaggio: Ti accorgi dell’importanza della tua mano sinistra solo quando te l’hanno tagliata”.
FEDERICO FELLINI E SERGIO LEONE
Con l’amico Bianchini firma il copione di “Ad ogni costo” di Giuliano Montaldo, che avrebbe dovuto essere il secondo film di Sergio Leone per la Jolly Film. Se ci sembra di vedere un Di Leo’s touch in questi western, non sappiamo quale sia il Caminito’s Touch. Ma in un lungo pomeriggio mi raccontò di aver dato una mano a Di Leo a sistemare anche il copione del suo film da regista più famoso, “Milano calibro 9”. Probabilmente era un grande tecnico più che un creativo. Del resto è difficile trovare un film che scriva da solo.
Sembra più interessato alla macchina cinema che ai generi, ai film popolari o di qualità. Lo troviamo sceneggiatore di “Barbagia” per Carlo Lizzani e soggettista e sceneggiatore di un cult come “La vittima designata” di Maurizio Lucidi, che porta però anche le firme autorevoli di Carpi e Malerba oltre alla sua e a quella dello specialista Aldo Lado.
Gira con Francesco Scardamaglia una sorta di falso documentario non bellissimo, “Maschi e femmine”, che non lascia grande traccia di sé, mentre è l’ideatore e lo sceneggiatore di “Blue Gang”, curioso western alla Butch Cassidy diretto da Luigi Bazzoni, al poliziottesco “La polizia sta a guardare” di Roberto Infascelli.
E’ un mondo del cinema molto fluido. Sergio Leone, per la sceneggiatura di “Il mio nome è nessuno”, chiama chiunque. Age, Scarpelli, Benvenuti, De Bernardi. Anche Caminito. “Io stesso venni sequestrato da Leone con Elio Scardamaglia e Oreste Del Buono. Ci portò in quello che pensava fosse un posto tranquillo, l’Hotel Le Dune di Sabaudia. Non sapeva che per il weekend dovevano arrivare per il loro congresso annuale 200 parrucchieri. Abbiamo costruito soprattutto delle gag. Siamo rimasti chiusi con Sergio per tre o quattro giorni. Sergio era insofferente di tutto. Non si sapeva ancora chi sarebbe stato il regista. Oreste Del Buono era vestito da gangster e lo prendevamo in giro perché gli dicevamo che aveva sbagliato film, quello era adatto a C’era una volta in America”.
carlo verdone alberto sordi troppo forte
Ma è la collaborazione con Rodolfo Sonego e con Franco Rossi per “Porgi l’altra guancia” con Bud e Terence e “L’altra metà del cielo”, sorta di remake di “Bello, onesto, emigrato in Australia…”, che gli aprono le porte del cinema più ricco e di successo. Scrive “Il gatto” per Luigi Comencini, “Il testimone” per Jean-Pierre Mocky. E contemporaneamente civetta col cinema popolare, “Professor Kranz tedesco di Germania”, non bellissimo, “L’anello matrimoniale” di Mauro Ivaldi, “Gardenia, il giustiziere della mala” di Domenico Paolella con Franco Califano.
Si lega a Alberto Sordi, sia come sceneggiatore, assieme al fido Sonego, sia come produttore, e seguirà l’operazione “Troppo forte”. Con l’amico Vittorio Caprioli metterà in piedi lo sfortunato “Stangata napoletana” con Treat Williams e Margaret Lee, un film che nessuno purtroppo vide.
Negli anni ’80 si lega a Silvio Berlusconi e a Fininvest per una serie di film di alterna fortuna. E’ allora che firma un contratto di tre film da girare con Klaus Kinski e inizierà il calvario di “Nosferatu a Venezia”, che dovrà firmare lui anche se non si più bene di chi siano le inquadrature.
Lo stesso Kinski se ne partirà nella notte per girare chilometri di inutili albe e imporrà di cacciare la coprotagonista, Amanda Sandrelli, perché preferiva la bellissima fidanzata di Yorko Voyagis, Anne Knecht. Per fortuna arriverà un successo come “Rimini Romini” a salvargli la carriera.
Seguirà ad alternare film del tutto diversi, “L’africana” di Margareth Von Trotta a “Parika” di Tinto Brass con Debora Caprioglio, “La casa del sorriso” di Marco Ferreri, film folle dove Ingrid Thulin, sdentata, si metterà una dentiera da vampiro, il mélo “Per sempre” diretto dal brasiliano Walter Hugo Khouri con Ben Gazzara e un cast di bellezze berlusconiane capitanato da Eva Grimaldi, Gioia Scola. In tutto questo riesce a trattare perfino con l’impossibile, al tempo, Abel Ferrara e produce prima il bellissimo “King of New York” e vent’anni dopo “Pasolini” con Willem Dafoe.
Debora CaprioglioDebora Capriogliodebora caprioglioDebora Caprioglio