SPIE (DI NOI STESSI) - IMPRONTE, DOCUMENTI, CARTE DI CREDITO, I SEGRETI DI UNA VITA PER SALTARE LA CODA IN AEROPORTO…

Vittorio Zucconi per "La Repubblica"

Ho venduto l'anima al Grande Fratello in cambio di un'ora di lenticchie. Per la "convenience", per la comodità di scavalcare la massa di umanità compressa negli intestini degli aeroporti americani ho ceduto al richiamo della sirena che mi sussurrava di dirle tutto di me, in cambio di qualche minuto di attesa evitata. Ho imparato a vivere con il Grande Fratello e a essere felice.

Quando la paranoia del post 11 settembre si abbatté sull'America di Bush nel panico della propria impotenza, sugli aeroporti calò una nuova burocrazia in uniforme. Fu chiamata Tsa, Transportation Security Administration, un'altra burocrazia che Casa Bianca e Congresso, avarissimi nel concedere un dollaro in più per curare bambini e vecchi, allagarono di fondi e personale. Oggi è parte di quel faraonico apparato chiamato Agenzia per la Sicurezza Nazionale e impiega quasi 60 mila persone, al costo di 8 miliardi all'anno.

Mentre all'ingresso negli Stati Uniti, un'altra burocrazia in uniforme, l'Ins, Immigrazione e Naturalizzazione anche nota ai latino americani come "la Migra", controlla passaporti, scruta pupille, scannerizza visti e stampa impronte digitali, all'uscita uomini e donne della Tsa zappano passeggeri all'imbarco, sequestrano biberon, svuotano flaconi di creme detergenti, sfilano cinture e scarpe. Ore di vita sprecate nella speranza di salvarsi la vita.

Per questo, quando uno spiraglio si aprì, mi ci tuffai dentro. In cambio della completa cessione dei miei dati e della mia storia personale, Cerberi e Caronti mi avrebbero risparmiato il tormento all'ingresso e all'uscita. Sarebbe bastato il semplice passaggio del passaporto nella fessurina accogliente di un computer e via, appunto, il computer.

Per ottenere il servizio detto "Global Entry" dovetti compilare un curriculum vitae completo di codice fiscale e ogni altro "segno vitale". Dopo un'attenta e inappellabile ruminazione della mia vita nel proprio immenso stomaco per un mese, l'Onnisciente mi convocò per l'ultimo esame.

Documenti, certificati, carte di credito, storia creditizia, perché nella terra del dollaro non c'è blasfemia più grande del "chiodo" piantato e non ripagato, interrogatorio, sguardi diffidenti. E infine il rito della dita, tutte, sul vetrino luminoso che fotografa le impronte e, ora lo sanno tutti, striscia quanto basta del Dna per entrare nel catalogo nazionale, statale e locale dei possibili padri. O futuri criminali. Siamo tutti potenziali delinquenti in questo
Minority Report.

Finito lo "screening" per l'ingresso, arrivò quello del "pre screening" per l'uscita, altra procedura per dribblare la processione dei dannati con le brache senza cintura tenute su con una mano, il portatile nell'altra, il biglietto in bocca e le calze con i buchi in bella vista. Io, accolto fra i beati nell'Empireo delle anime denudate, convertito alle gioie del Fratellone elettronico, volo sopra le loro miserie di individui a Lui ignoti.

Ora tutti sanno tutto di me. La National Security Agency, la Cia, il Dipartimento di Stato, lo Fbi, la Homeland Security Agency, la Apple, la Microsoft, la Verizon, la AT&T, la Cina che fruga nei loro database, la Russia che fruga nei database della Cina, il Mossad che traffica nei dati di tutti, la Nsa che fruga nei computer dei cinesi per scoprire quello che i cinesi hanno pescato dai propri computer, in un "loop", in un cerchio ormai senza più inizio né fine dove gli altri scoprono non i segreti altrui, ma i propri. Tutto perfettamente sancito da leggi e autorizzato da tribunali che approvano misure che non capiscono.

Quando il mio passaporto sveglia il terminale del Grande Computer Universale all'aeroporto, qualcuno a Shanghai, che ha hackerato sicuramente il server della "Migra" americana saprà, se gliene importasse qualcosa, da dove vengo, dove vado, quanto ho dichiarato di reddito, quant'è la mia colesterolemia poiché anche le cartelle cliniche sono ormai trasmesse in Rete, quanti libri ho comperato, quali app ho scaricato, quante foto di nipoti al baseball o al calcio o allo spettacolino di fine anno ho ricevuto e ritrasmesso. Saprà di me cose che neppure io so.

Questo perché il vero, inarrestabile, inesorabile Grande Fratello di me stesso sono io. Sono io, non Obama, non Bush, non la Nsa o la Tsa o l'Ins o il compagno Zhang che ho scelto di rinunciare alla mia privacy, di rivelare i piccoli segreti della mia vita banale per la "convenience", per avere il libro recapitato a casa, la app scaricata dal wi-fi, il bonifico con un clic e il passaporto che mi fa volare. Siamo noi le spie di noi stessi.

 

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