
IL CINEMA DEI GIUSTI - QUESTO STRAMPALATO, SCOMBINATO, MA PIENO DI VITA “MONUMENTS MEN” DI CLOONEY NON È NÉ “IL PONTE DI REMAGEN” NÉ “PARIGI BRUCIA”, MA VA BENISSIMO ANCHE COSÌ. RICORDIAMO SOLO COME VIENE TRATTATA DA NOI L’ARTE CONTEMPORANEA NELLA “GRANDE BELLEZZA”
Marco Giusti per Dagospia
Saremmo pronti a dare la nostra vita per un Michelangelo, un Matisse, un Picasso, un Rembrandt? Giriamo la risposta al nostro ministro Bray, in questo giorni a Berlino in visita al Festival del Cinema dove è passato proprio questo strampalato, scombinato, ma divertente e pieno di vita "Monuments Men", che George Clooney ha diretto, prodotto e scritto, assieme al fidato Grant Heslov e ha interpretato in mezzo a un gran cast di star, da Bill Murray a Matt Damon, da John Goodman a Cate Blanchett, da Jean Dujardin a Bob Balaban.
C'è pure l'anziano babbo di George, Nick Clooney, che interpreta il figlio da vecchio che porta il nipotino a Bruges a vedere la Madonna con bambino di Michelangelo che coi suoi uomini ha salvato dalla furia e dall'avidità nazista. Proprio cercando una risposta alla domanda che abbiamo girato al ministro Bray, o al Baricco qualsiasi che vorrà mettere Renzi al suo posto, George Clooney ha deciso di impostare il suo serissimo film, la ricostruzione di una celebre missione di uomini di cultura americani, inglesi e francesi, i Monuments Men appunto, che sono pronti davvero a sacrificare la propria vita per riportare a casa le opere rubate dai nazisti dai musei, dalle chiese e dai galleristi ebrei, secondo un modello di war movie ironico più alla Brian G. Hutton di "Kelly's Heroes" che alla Robert Aldrich di "Quella sporca dozzina" o alla Quentin Tarantino di "Inglorious Bastards".
I Monuments Men di Clooney, eleganti, simpatici, neanche troppo in forma, come il grosso John Goodman o Bob Balaban, sono dei guasconi che vanno in missione col sorriso e un legame d'amicizia alla "Ocean's Eleven" perché sanno quanto poco interesse abbia il pubblico caprone del cinema di oggi per l'arte classica e per le missioni culturali. Per loro i Picasso e i Matisse possono ammuffire nelle miniere di sale dove gli avevano chiusi i tedeschi o nei sottoscala del Maxxi della Melandri.
Per questo Clooney e Heslov cercano di snellire il racconto puntando non sull'aspetto museale, ma sul cameratismo ironico del gruppetto, abilmente costruito con attori di grande richiamo. Del resto, le scene più riuscite, e non sempre solo divertenti, anzi, sono proprio quelle che vedono i nostri eroi inciampare in una guerra mondiale che sta finendo, ma non è ancora finita, così ci si può ritrovare con un piede su una mina inesplosa, in mezzo a una vera e propria battaglia tra soldati americani e tedeschi, sotto una pioggia di colpi provocata da un cecchino bambino, o a farsi la doccia nel campo militare ascolta il disco che ti è arrivato da casa con la voce dei tuoi.
E' vero che non è un film del tutto riuscito, ma non era facile farne una macchina di successo oggi partendo da un tema così nobile e oltre tutto reale. Basterebbe vedere le foto dei veri Monuments Men che aprono i titoli di coda con le montagne di tele recuperate, il treno delle opere di Jeu de Paume trafugato dai nazisti, la fila sterminata dei mobili e dell'oro rubato agli ebrei francesi.
O mettere sul piatto il ruolo ambiguo che il governo francese di Vichy ebbe nella vicenda, facendo depredare le chiese e i musei del proprio paese da Hitler e da Goering. Inoltre il tema è solo apparentemente lontano, visto che proprio un mese fa è stato rinvenuto un vero e proprio bottino di opere trafugate ai galleristi ebrei da qualche volpone nazista del tempo.
Il Frank Stokes di George Clooney mette in piedi una vera sporca mezza dozzina di esperti, accuratamente scelti come nei film di Robert Aldrich, per potersi catapultare nell'Europa infuocata del 1944 al recupero delle opere d'arte che i nazisti hanno portato via dalle casse e dai musei europei per riempire il Museo del Fuhrer, sogno di Hitler che non verrà mai realizzato, ma che provocherà morti, danni e distruzione.
Le opere, stipate nei treni dalle SS, come avevamo visto nel bellissimo film di John Frankenheimer con Burt Lancaster, "Il Treno", verranno nascoste nelle miniere sparse per la Germania e l'Austria. Compito dei Monuments Men è quello di scovarle e di riportarle a casa, cercando di battere nel tempo sia i nazisti che le vogliono distruggere, o nascondersele a casa propria, sia i russi che tendono a portarsele via.
Cuore della ricerca sono la grande scultura di Michelangelo a Bruges, la Madonna col bambino, e il grande polittico dei fratelli van Eyck, l'Agnello Mistico, che era stato smembrato e portato via da Ghent e poi nascosto in un monastero francese, i capolavori di Jeu de Paume a Parigi che la stessa curatrice del museo, Cate Blanchett, ha visto bene di schedare e di segnare con un bollino rosso in un libriccino che consegnerà a Matt Damon, e le tante opere che sono state rubate ai galleristi ebrei europei.
Ovvio che non sia un film semplice da girare oggi, anche se le ricostruzione dei teatri di guerra francesi e tedeschi negli studi di Babelsberg, dove è stato girato anche "Inglorious Bastards", sono magnifiche, ma Clooney e il suo direttore della fotografia, il Phedon Papamichael di "Nebraska", hanno fatto il possibile e gli sforzi si vedono.
Gli attori sono tutti magnifici. E già vedere vestiti da soldati John Goodman e Bill Murray ci porta a un'idea di vecchio cinema americano che amiamo, mentre Jean Dujardin porta la sua bella faccia da Errol Flynn in un film hollywoodiano sulla cultura europea. Certo, non è né "Il ponte di Remagen" né "Parigi brucia", e magari sarebbe stato meglio girarlo in bianco e nero, ma va benissimo anche così. Ricordiamo solo come viene trattata da noi l'arte contemporanea nella "Grande bellezza". In sala dal 13 febbraio.





