TUTTI PAZZI PER LA TARTT-ARE DI CARTA - HA SCRITTO SOLO TRE LIBRI, UNO OGNI DIECI ANNI, MA È DIVENTATA UNA STAR. CON “IL CARDELLINO” HA VINTO IL PULITZER E SPADRONEGGIA NELLE CLASSIFICHE DA MESI - “TUTTO PARTE DAI CLASSICI”
Antonio Monda per http://d.repubblica.it/
Donna Tartt è una donna minuta ed estremamente elegante, con gli occhi vispi e una leggera inflessione del sud degli Stati Uniti. Nativa del Mississippi, vive tra la Virginia e New York, dove si è stabilita finalmente in un appartamento, dopo aver soggiornato per anni negli alberghi che le consentivano di alloggiare gli adorati cani.
È colta, appassionata e intellettualmente libera: sono ormai molti anni che ho avuto il privilegio di frequentarla, ma non le ho mai sentito affermare nulla di fazioso o politicamente corretto. Ha idee molto precise sulla letteratura, l’arte, la politica e la vita in generale, ma l’intelligenza umile della curiosità le consente una duttilità ammirevole nel dialogo e nel ragionamento.
DONNA TARTT FOTO DI ANNIE LEIBOVITZ
Nonostante sia autenticamente amica di alcuni scrittori, quali Bret Easton Ellis, Jonathan Lethem e Jay McInerney, e provi sincera stima nei confronti di altri autori quali Nathan Englander e Zadie Smith, non ha nulla che la possa accomunare a un gruppo o anche a una tendenza letteraria: i suoi libri sono diversi da quelli di tutti i narratori affermatisi negli ultimi trent’anni per ambientazione, stile, personaggi, riferimenti culturali e necessità espressiva.
Ha scritto solo tre libri, uno ogni dieci anni, ma è diventata una star della letteratura sin dal romanzo d’esordio Dio di illusioni, che in originale si intitola The secret history. Scherza sui suoi tempi lunghissimi, ma l’abnegazione che rivela nell’elaborazione della scrittura è impressionante.
Con Il cardellino, pubblicato in Italia come i libri precedenti da Rizzoli, tre mesi fa ha vinto il premio Pulitzer, consacrazione che fa seguito a una celebrazione critica pressoché unanime e a un successo commerciale impressionante: il libro è in testa alle classifiche di ogni paese in cui è uscito, nonostante si tratti di un romanzo di quasi 900 pagine.
2 DONNA TARTT FOTO DI ANNIE LEIBOVITZ
La incontro di ritorno dopo una tournée lunghissima, che ha avuto la sua ultima tappa nei paesi scandinavi. «Appena sono tornata a New York ero così stanca che sono rimasta a letto per due giorni, senza neanche far entrare la luce del giorno in casa», mi racconta mentre si prepara a ripartire per la Georgia , «ma lamentarsi sarebbe assurdo».
Tre scrittori indicati da Donna Tartt come autori che ammira: Flannery O’Connor, Cormac McCarthy, Vladimir Nabokov
3 DONNA TARTT FOTO DI ANNIE LEIBOVITZ
Vorrei iniziare chiedendole quando ha deciso di diventare una scrittrice.
«Non ho deciso, ho semplicemente scritto sempre, e anche ora la scrittura è tutto tranne che una carriera, semmai una necessità».
È vero che da piccola dipingeva?
«Sì, ma anche quello è nato spontaneamente, e forse è uno dei motivi per cui nella mia scrittura ci sono spesso riferimenti pittorici. Ma devo dire che nel mio caso spesso si trattava di illustrazioni sui quaderni che mi regalava la mia nonna materna Louise: era una bibliotecaria e devo in gran parte a lei la passione per la letteratura. La pittura e la scrittura sono nate insieme, e ricordo con un sentimento di grande calore il periodo in cui costruivo dei collage fatti di parole e immagini, così come le letture di mia nonna: convocava tutti i nipoti intorno a sé e leggeva un classico».
Quale libro ricorda in particolare?
«Oliver Twist, che mi appassionò enormemente. Alcuni di noi ragazzi consideravano quelle letture noiose, o addirittura una punizione, ma io non vedevo l’ora di sapere come andavano a finire quelle storie. Avrò avuto 9, 10 anni».
Quale è il primo libro che ha letto?
«The Wind and willow, un classico della letteratura per l’infanzia di Kenneth Grahame, che mia madre mi diede a sei anni, e poi Peter Pan, che invece scelsi personalmente subito dopo e al quale ancora penso, a volte inaspettatamente».
Quando ha cominciato a leggere i classici per adulti?
«A sedici anni ho letto Delitto e Castigo, che mi piacque enormemente. Ma poi subito dopo lessi un altro capolavoro come Madame Bovary, che invece non mi colpì affatto. Forse anche perché dovetti leggerlo in francese, come compito scolastico».
Esiste un libro che avrebbe voluto scrivere?
«La lista sarebbe lunghissima, potrei iniziare con Lolita di Nabokov, Il grande Gatsby di Fitzgerald e Franny and Zoeey di Salinger».
La scrittrice Donna Tartt Cormac Mccarthy
Lei è un’autrice americana del Sud: ci sono scrittori della sua terra con i quali sente affinità?
«Quando ero più giovane cercavo di allontanarmi il più possibile dalla realtà del Mississippi, e anche da grandi autori come Faulkner, ma poi ho scoperto Flannery O’Connor e ne sono rimasta folgorata. Anche grazie a lei ho riscoperto la grandezza letteraria della mia terra. E ancora adesso rileggo i suoi racconti cristallini e inesorabili».
Ci sono scrittori contemporanei del Sud che ammira?
«Certamente Cormac McCarthy, che ho avuto modo di conoscere e mi ha colpito per l’eleganza e la grande sensibilità: non me lo sarei mai aspettato, leggendo i suoi libri meravigliosi e pieni di cupezza».
Esistono film o opere d’arte che hanno contribuito alla sua formazione come i libri?
«Anche in questo caso la lista dei film sarebbe lunghissima e mi limito a citare La morte corre sul fiume di Charles Laughton, Il mago di Oz, Barry Lyndon e La rabbia giovane di quel grande artista che è Terrence Malick. Per quanto riguarda la pittura citerei John Constable, un artista che non mi stanca mai. Amo molto i pittori fiamminghi, specie le nature morte di Balthasar van der Ast, così meticolose e sorprendenti. Mi entusiasma come raffigura animali quali le rane, le salamandre, le farfalle. Ma amo ugualmente alcuni artisti italiani: ogni volta che vado a Venezia rivedo il ciclo di Carpaccio alla Scuola di San Giorgio, e quando ho visitato a Padova la cappella degli Scrovegni ho pensato che Giotto mi ha fatto il regalo di capire cosa possa essere il paradiso».
Ritiene che il linguaggio delle immagini stia uccidendo quello della parola?
«Assolutamente no, le due forme di espressione convivono e s’influenzano a vicenda. Pensi per esempio al Grande Gatsby, dove l’influenza non è solo nella scrittura, ma anche nell’uso di immagini come il grande poster che campeggia nella storia. O a quanto Proust sia stato influenzato dai maestri fiamminghi e parli costantemente di pittura, magari paragonando personaggi o situazioni a quadri famosi».
Come nasce la storia del Cardellino?
«Non lo so esattamente. Certamente la prima ispirazione venne quando mi imbattei quasi per caso, ad Amsterdam, in una riproduzione ottocentesca del quadro di Carel Fabritius. Ne rimasi sconvolta: quello che mi colpì di più fu il senso di dignità che aveva quell’animale in gabbia».
Nel libro è evidente un’influenza di Dickens, riferimento nobilissimo ma molto desueto, di questi tempi.
«Come vede gli insegnamenti di mia nonna sono stati validi. Non voglio parlare degli altri scrittori, ognuno ha un proprio mondo e compie un proprio percorso personale e artistico. Posso dirle però che questi erano i libri che leggevo e che mi hanno formato. Sin da piccola ho cercato di leggere i libri appena usciti e sceglievo sempre in base alle classifiche del New York Times: devo ammettere che quasi sempre mi annoiavo, anche quando mi imbattevo in scrittori di qualità come John Updike. Viceversa mi sentivo a casa con Conrad o Stevenson: per esempio Il dottor Jeckyll e Mr.Hyde è certamente uno dei libri della mia vita. Aggiungo che anche in questo caso si trattava di un libro letto come compito di scuola: avevo 14 anni».
Ha frequentato una scuola molto attenta alla cultura…
«Sì, un po’ all’antica ma ammirevole: mi fecero leggere anche Grandi Speranze. E torniamo ancora una volta a Dickens…».
Perché ha dichiarato che scriverà al massimo altri cinque romanzi?
«Perché mediamente ci metto dieci anni, è una semplice questione matematica».
I suoi libri hanno sempre una dimensione spirituale.
«Perché riflettono quello che sono, credo che nulla in quello che vivo e cerco di ricreare potrebbe prescindere da una dimensione spirituale».
Nella Bibbia gli atei non esistono: ci sono i credenti e gli idolatri.
«Crediamo sempre in qualcosa, ma molto, quasi tutto, si rivela fallace».
IL VOLO DEL CARDELLINO
Pubblicato nell’ottobre 2013 negli Stati Uniti e nel giro di pochi mesi in 34 paesi (in Italia, da Rizzoli lo scorso marzo), Il cardellino di Donna Tartt, storia del tredicenne Theo Decker dal giorno in cui sopravvive a un attentato al Metropolitan Museum in cui resta uccisa la madre alla sofferta adolescenza, a una conquista della maturità che si tinge di thriller ma passa per riflessioni filosofiche profonde, è il caso editoriale più importante della stagione anche per il crescendo con cui le sue quasi 900 pagine si sono imposte al grande pubblico.
Accolto con entusiasmo corale dalla critica (per Stephen King sul New York Times «una rarità di quelle che capitano mezza dozzina di volte in un secolo»), ha debuttato al secondo posto nella classifica del New York Times, presto ha conquistato il primo ed è rimasto tra i primi 10 più venduti per quasi tre mesi consecutivi (oggi le presenze in classifica sono 35). Lo stesso è accaduto in Francia, Uk e Italia, dove ha avuto 9 edizioni in quattro mesi e ha raggiunto una vendita di 70mila copie.
Nello scorso aprile ha aiutato ad allargare le dimensioni del successo la vittoria nella categoria dei romanzi al prestigioso premio Pulitzer (nella motivazione si legge: «È un libro che stimola la mente e tocca il cuore»). Negli Stati Uniti quella settimana Nielsen BookScan ha registrato un salto da 7.095 a 15.079 copie vendute. L’editore americano Little, Brown dichiarava in quei giorni raggiunto il milione e mezzo di copie (su carta e in e-book) e annunciava altre 150.000 copie in ristampa. Alla fine di giugno ai record di Il cardellino si è aggiunta la vittoria della Andrew Carnegie Medal per la categoria fiction.