“FIORELLO? DISSE CHE ERO UNA MEZZA SEGA, CON UN LIVORE NEI MIEI CONFRONTI CHE MI FECE MALE” – TORMENTI E TORMENTONI DI SERGIO VASTANO - LO SPETTACOLO CON DUE SPETTATORI, ANGELO BARBAGALLO E MORETTI (“NANNI ERA PEGGIO DI KUBRICK, FACEVA 100 CIAK DI OGNI SCENA. CHE NOIA SUL SET”), IL "DRIVE IN" E LE RAGAZZE FAST FOOD “INAVVICINABILI”, RICCI, ANDREA PAZIENZA E IL “LUPO SOLITARIO” FALETTI - "MI SAREBBE PIACIUTO FARE IL PRESENTATORE DI QUIZ, MA BISOGNAVA AVERE GLI AGGANCI GIUSTI” - VIDEO
Renato Franco per corriere.it - Estratti
«Siamo andati a bussare a tante porte, anche con Gianfranco D’Angelo, ma dopo un po’ sembri uno di quei pesci che con la bassa marea rimangono a rantolare nelle pozze d’acqua, sperando l’onda arrivi presto. Ma a un certo punto il pesce non ce la fa più».
Sergio Vastano, 71 anni, una delle tante maschere lanciate da Drive in , da tempo è «felicemente» in pensione («il regalo più bello è la gente che tuttora, a distanza di 40 anni, mi ferma per strada»). Tra i suoi personaggi l’«impresario cialtrone» e il suo «diavolo custode»; il top manager in stile yuppie anni Ottanta; soprattutto il «Bocconiano», lo studente universitario calabrese fuori sede e fuori corso che ripeteva come un mantra «È chiaro ‘stu fatto?».
Come conobbe Antonio Ricci?
«Per caso. Sono molto amico di Andy Luotto, un giorno mi chiama e mi dice: ho incontrato Antonio che sta mettendo su una nuova trasmissione per Italia 1. Io non sapevo né chi era Antonio, né cosa fosse Italia 1. Mi chiesero un nastro con un provino e proposi il mio personaggio. Abitavo vicino alla Sapienza, dove era pieno di calabresi benestanti che venivano dal sud a fare gli studenti fuori sede. Preparai un numero di 30 secondi, ad Antonio piacque ma lo trasformò in Bocconiano».
Come mai ebbe così successo?
«Saperlo... fu una confluenza di astri. Era un “terrone” diverso, non veniva con la valigia di cartone a elemosinare un posto, ma veniva da padrone. Era il momento del rampantismo, rappresentava la prepotenza di un personaggio che si credeva già arrivato, in un periodo di ostentazione massima. Oggi è solo cambiato il modello, proporrei un rapper che esibisce i soldi».
Una stagione irripetibile. A chi era più legato?
«Per un periodo ho fatto coppia con Enzo Braschi, ci divertivamo tanto, poi ci siamo persi di vista per un misunderstanding , un’incomprensione, che manco mi ricordo più».
Gianfranco D’Angelo?
«Mi colpiva la sua generosità, pagava sempre lui al ristorante, con lui non ho mai messo mano al portafoglio. Siamo stati in tournée insieme fino a 84 anni. Poi dopo il Covid ci ha lasciato. Un vero dolore».
Greggio?
«Era sempre con l’orologio in mano, aveva mille cose da fare, arrivava, faceva i suoi pezzi e scappava».
Il più matto?
«Francesco Salvi era la pallottola vagante, totalmente surreale, fuori dagli schemi».
Giorgio Faletti?
«Un lupo solitario, non era di compagnia. Faceva pezzi fantastici. Tanto che Antonio gli diede un secondo personaggio. Apriti cielo. Tutti i comici si precipitarono da lui per chiedere più spazio, I Trettré, Zuzzurro e Gaspare...».
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Le donne ai piedi?
«Ma no. Specialmente al Drive in il motto era guardare ma non toccare, bella la pastiera ma non la assaggi. Le ragazze Fast Food erano inavvicinabili, a me faceva impazzire Toti Botta, ma niente».
La spesa folle?
«Un unico sfizio grosso, presi una Porsche Targa rossa. L’ho tenuta per molti anni, la curavo come fosse un figlio».
Quel successo le manca?
«Lo prendi finché c’è, va bene così. Sapevo che la vita del comico non può durare per sempre, infatti a un certo punto è arrivato il momento in cui non mi chiamavano più come prima. Mi sarebbe piaciuto fare il presentatore di quiz, ma bisognava avere gli agganci giusti».
Lei finì con Ricci, ma sperava in Arbore.
«Erano due parrocchie di comicità differenti. Da Ricci si giocava sulla velocità, bisognava levare gli aggettivi inutili. Era un esercizio di disciplina: bisogna stare nei 4 minuti, se sgarravi di 10 secondi dovevi rifare il pezzo. Se Ricci era la perfezione, Arbore era l’improvvisazione: veniva dal jazz, non voleva sapere cosa dicevano gli altri».
Dopo «Drive in» fece «Striscia» con Teo Teocoli.
«Non è un rissoso come lo descrivono, ma misi subito le cose in chiaro: mi fece cadere apposta dal bancone, come faceva con Boldi che prendeva a schiaffi per divertimento. Ma lo feci cadere a mia volta. Così capì subito che rispondevo alle provocazioni».
Poi 300 puntate con la signora Coriandoli.
«Si sta bene con Maurizio Ferrini, è un grande raccontatore, un affabulatore. Abbiamo fatto anche tante vacanze insieme. Era il personaggio più forte, gli facevo da spalla senza problemi. Poi a un certo punto abbiamo esaurito le pile».
Fece il doppiaggio di un fumetto con Andrea Pazienza.
«Un incontro di quelli sballati degli anni Settanta. Arrivammo a casa sua a mezzogiorno come da appuntamento, lui dormiva, si è palesato alle due e mezza, rovinato dal sonno».
FIORELLO PUBBLICA IL COMMENTO VELENOSO DI SERGIO VASTANO SU DI LUI
Perché disse che Fiorello era sovrastimato?
«Ci fu un’incomprensione, il giornalista mi mise in bocca cose mai dette. Fiorello si incazzò molto, disse che ero una mezza sega, con un livore nei miei confronti che mi fece male».
Agli inizi della carriera stava per fare uno spettacolo con due soli spettatori, Nanni Moretti e il suo storico produttore Angelo Barbagallo.
«Era l’epoca in cui si erano appena estinti di dinosauri... C’era un teatro, l’Alberichino, che era il sottoscala dell’Alberico. In pratica una cantina con pesci e rospi attaccati al muro per quanto era umido, insieme al biglietto ti davano anche una sedia pieghevole per sederti».
Era in scena con Remo Remotti.
«Non c’era nessuno, stavamo per andarcene quando arrivarono Moretti e Barbagallo.
Li pregammo di venire il giorno dopo e chiamammo un po’ di amici. Cercavano un attore per Sogni d’oro e chiaramente presero Remotti e non me. Andai una volta sul set e mi bastò. Moretti era peggio di Kubrick, faceva 100 ciak di ogni scena. Per noi lui era comunque un mito, ma che noia sul set».
SERGIO VASTANOcalopresti MORETTI BARBAGALLO