1- VEDERE LO SCEMO DEL VILLAGGIO ECCITA: 14 MILIONI 378 MILA TELEMASOCHISTI (48.51%%) 2- TOH, È LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA DELLE 62 EDIZIONI DEL FESTIVAL: TUTTI I GIORNALI, DI QUALSIASI COLORE E DOLORE, STRONCANO LO SHOW DI ADRIANO CIARLATANO 3- “VIA L'OLIMPIADE DEL 2020, MA VIA, CON ALTRETTANTA SAGGEZZA, ANCHE SANREMO, USIAMO MEGLIO I SOLDI DEL CANONE. O MONTI O CELENTANO. O LE PREDICHE DEL PRESIDE O QUELLE DEL RE DEGLI IGNORANTI CONTRO “AVVENIRE” E “FAMIGLIA CRISTIANA” 4- “LA FORZA DI GREVITÀ DI ROCCO PAPALEO, CHE DOPO L’ESIBIZIONE DI LUCIO DALLA E DEL SUO PUPILLO CARONE HA URLATO UN PRIAPISTICO “PORTATEMI DELLE DONNE, PER FAVORE!” 5- “MENTRE A ZONZO PER L’ITALIA SI MITRAGLIA CONTRO TASSISTI IMBIZZARRITI E PARRUCCHIERI SENZA SCONTRINI, LA RAI HA CONSENTITO A UN JESUS CHRIST DA HARD DISCOUNT IN PREDA A BOLLORI MISTICI DI RIFILARCI -AL POSTO DELLE TANTO ATTESE, E ORA RIMPIANTE, STONATURE- CIÒ CHE NEANCHE SECOLI DI CATECHISMO AVEVANO MAI OSATO”

L'ATTACCO DI CELENTANO AD AVVENIRE E FAMIGLIA CRISTIANA
http://video.repubblica.it/dossier/sanremo-2012/celentano-chiudere-avvenire-e-famiglia-cristiana/88129/86522

VIDEO IN CUI CELENTANO ATTACCA ALDO GRASSO
http://www.corriere.it/spettacoli/speciali/2012/sanremo/notizie/multimedia_sanremo_d2bf982c-4c06-11e1-8f5b-8c8dfe2e8330.shtml

1-SANREMO: MORANDI BATTE SE STESSO, 14,3 MLN E 48.5%
(ANSA) -
Gianni Morandi batte se stesso. La prima serata del festival di Sanremo, segnata dalla lunga performance di Adriano Celentano, ha ottenuto nella prima parte 14 milioni 378 mila telespettatori pari al 48.51%% di share. Un risultato superiore all'esordio del festival 2011 (per la prima parte 14 milioni 175 mila con il 45.20%). Nella seconda parte il debutto del festival ha avuto 8 milioni 451 mila spettatori e il 55.24% (lo scorso anno erano stati 9 milioni 471 mila con il 48.65%). La media ponderata della serata è pari a 12 milioni 762 mila spettatori con il 49.59% (11 milioni 992 mila con il 46.39% nel 2011).

2- IL GOLPE DI ADRIANO CIARLATANO
di Riccardo Bocca per Gli Antennati, blog de "l'Espresso"
http://bocca.blogautore.espresso.repubblica.it

Chiunque oggi s'azzardi a straparlare di Festival di Sanremo, a giochicchiare con pagelle e pagelline, illustrate da commenti e rimbrotti su questa o quella canzone ascoltata ieri sera, ha tutta la mia tenerezza e affetto, ma neanche un briciolo di comprensione.

La folgorante verità, quasi divina come invocato all'Ariston, è che ieri sera non s'è svolto nessun festival dei fiori: né sul palcoscenico a ciò predisposto, né tantomeno sui teleschermi delle case italiane; e dunque non è affatto il caso di spendere tempo e cervello, qui, per commentare una a dir poco fragile infilata di motivetti anoressici.

La notizia, piuttosto, è che mentre a zonzo per l'Italia si mitraglia contro tassisti imbizzarriti e parrucchieri senza scontrini; mentre, a frotte, finanzieri senza cuore invadono le vie cortinesi e le boutiques de Milan, la Rai radiotelevisione italiana ha consentito a un Jesus Christ da hard discount di rifilarci -al posto delle tanto attese, e ora rimpiante, stonature- ciò che neanche secoli di catechismo avevano mai osato.

In preda a bollori mistici, approfittando di un sessantaduesimo festival appunto ai piedi di cristo, senza neanche una valletta ceca da miracolare (causa defezione dell'ultima ora), Adriano Celentano ha compiuto il suo personalissimo golpe, portato a termine con la complicità del mezzo marinaio Pupo e della recluta Papaleo.

Gente che, mollati in corsa al guardaroba dignità e buonsenso, ha assecondato nonno Yuppi (Du) nella sua canzone più stonata: un gospel della cristianità decadente in cui i nemici da abbattere son diventati non la pedofilia smargiassa e il ladrocinio certificato, ma "L'Avvenire" e "Famiglia Cristiana"; o chiunque altro, attenzione, s'azzardi a non santificare in ogni pubblico altare la parola del Signore, perdendosi magari in faccende terrene come gli scandali alla vaticana.

Merce da contestazione istantanea, s'intende, quella di Celentano, che capitan Gianni Morandi e i suoi dirigenti avrebbero dovuto cassonettare: non certo ieri sera, ma all'alba delle carnascialate sulla sua libertà di espressione.

E invece no: avanti tutta, si è andati, a coltivare con cocciutaggine il luogo comune, l'intramontabile classico dei treni che oltre che fast dovrebbero essere slow, o del referendum che la Consulta ha bocciato da un mese e passa, e che il pueblo unido neanche più sa cos'è.

Dio sa, invece, e lo sa forse anche Celentano, quanto avremmo amato assistere ai suoi silenzi, alle sue innocue guittate per realizzare il massimo con il minimo sforzo. E invece no: dopo un'infinita lezione su sovranità popolare e vita ultraterrena -che a questo punto rifiutiamo, se il clima è così gramo-, dopo psicobiblici attacchi al criticone Aldo Grasso e a chi -saltando da un argomento all'altro- sopprime ingiustamente i vagoni letto (avranno anche loro un'anima?, viene da chiedersi), tutto è degenerato in un bel "Prisincolinensinainciusol".

Suoni sciolti e dissensati che ben riassumono la gerontocrazia di chi s'è rubato un Sanremo, lasciando briciole di palcoscenico ai cantanti e ai loro accordi, presentati in fretta e furia ed ascoltati con altrettanta distrazione.

Certo, come negarlo?, c'è traccia del divino nella coppia D'Alessio-Bertè, vera becchina di questo Festival nel suo total black sepolcrale. E come non pregare, in ginocchio, per la tenerezza, di fronte al vintage di Nina Zilli, quella Maria Chiara Fraschetta della Val Trebbia capace di gorgheggi da finta Mina?

Ma poi il reale, e l'attualità bruciante, si son rifatti strada, accantonando i manierismi dell'Adriano Ciarlatano e la forza di grevità di Rocco Papaleo, che dopo l'esibizione di Lucio Dalla e del suo pupillo Carone ha urlato un priapistico «Portatemi delle donne, per favore!».

Per la cronaca, le uniche due pupe consegnategli sono state Elisabetta Canalis e Belen Rodriguez, avanzi dello scorso anno. In compenso, Morandi ha chiuso da campione annunciando ai teledevastados la lieta novella: feroci guasti tecnici hanno inficiato la gara.
Domani, come direbbe Daniela Santanchè, je tutto da rifare. Anche il codice morale che consente alla televisione pubblica di proporci questo junk food.

3- IL PREDICATORE DECADENTE
Aldo Grasso per Corriere della Sera

Joan Lui è convinto di predicare meglio dei preti. Ma nel ruolo di profeta salva Italia ne vogliamo solo uno, due sono troppi: o Monti o Celentano.

Dopo ieri sera ho scelto definitivamente. Ogni anno il Festival di Sanremo ci mette di fronte a un tragico dilemma: ma davvero questo baraccone è la misura dello stato di salute della nazione? E se così fosse, non dovremmo preoccuparci seriamente? C'è stato un tempo in cui effettivamente il Festival è stato specchio del costume nazionale, con le sue novità, le sue piccole trasgressioni, persino le sue tragedie. Ma tutto ha un tempo e questo (troppo iellato) non è più il tempo di Sanremo o di Celentano, se vogliamo rinascere.

Monti o Celentano? Se davvero il nostro premier vuole compiere il titanico sforzo di cambiare gli italiani («l'Italia è sfatta», con quel che segue), forse, simbolicamente, dovrebbe partire proprio dal Festival, da uno dei più brutti Festival della storia. Via l'Olimpiade del 2020, ma via, con altrettanta saggezza, anche Sanremo, usiamo meglio i soldi del canone. O Monti o Celentano. O le prediche del Preside o quelle del Re degli Ignoranti contro Avvenire e Famiglia Cristiana.

Non mi preoccupa Adriano, mi preoccupano piuttosto quelli che sono disposti a prenderlo sul serio. E temo non siano pochi. Ah, il viscoso narcisismo dei salvatori della patria! Ah, il trash dell'apocalissi bellica! Cita il Vangelo e bastona la Chiesa, parla di politica per celebrare l'antipolitica: dalla fine del mondo si salva solo Joan Lui. Parla di un Paradiso in cui c'è posto solo per cristiani e musulmani. E gli ebrei?

Il trio Celentano-Morandi-Pupo assomiglia a un imbarazzante delirio. A bene vedere il Festival è solo una festa del vuoto, del niente, della caduta del tempo e non si capisce, se non all'interno di uno spirito autodistruttivo, come possano essersi accreditati 1.157 giornalisti (compresi gli inviati della tv bulgara, di quella croata, di quella slovena, di quella spagnola, insomma paesi con rating peggiore del nostro), come d'improvviso, ogni rete generalista abbassi la saracinesca (assurdo: durante il Festival il periodo di garanzia vale solo per la Rai), come ogni spettatore venga convertito in un postulante di qualcosa che non esiste più.

Sanremo è il Festival dello sguardo all'indietro (anni 70?), dove «il figlio del ciabattino di Monghidoro» si trasforma in presentatore, è il Festival delle vecchie zie dove tutti ci troviamo un po' più stupidi proprio nel momento in cui crediamo di avere uno sguardo più furbo e intelligente di Sanremo (più spiritosi di Luca e Paolo quando cantano il de profundis della satira di sinistra), è il Festival della consolazione dove Celentano concelebra la resistenza al nuovo.

Per restituire un futuro all'Italia possiamo ancora dare spazio a un campionario di polemiche, incidenti, freak show, casi umani, amenità, pessime canzoni e varia umanità con l'alibi che sono cose che fanno discutere e parlare? Penso proprio di no.

P.S. Mentre scrivevo questo pezzo mi sono arrivati gli insulti in diretta da Sanremo. Ma non ho altro da aggiungere.

 

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