LA VERSIONE DI MUGHINI - "GRATIS IO NON VADO NEPPURE DA CHI STA DI FRONTE A CASA MIA. A NESSUNO DI NOI VIENE IN MENTE DI CHIEDERE UN LAVORO GRATUITO A UN MEDICO O A UN ARCHITETTO, ANZITUTTO PER NON AVERNE IN RISPOSTA UNA PERNACCHIA. ORA SUCCEDE CHE IL MIO LAVORO, IL SAPER CHIACCHIERARE PER ISCRITTO O PER ORALE DEL PIÙ E DEL MENO, È UN LAVORO DETTO “INTELLETTUALE”, MA PUR LAVORO È. EPPERÒ QUELLE CHIACCHIERE LE HO COVATE E RIFINITE AL MEGLIO PER QUALCOSA COME 60 ANNI. BENINTESO, IO NON CHIEDO NULLA A NESSUNO. MA…"
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, ovvio che a nessuno di noi venga in mente di chiedere un lavoro gratuito a un commercialista o a un medico specialista o a un architetto, anzitutto per non averne in risposta una pernacchia.
Ma che dico?, a nessuno di noi viene neppure lontanamente in mente di chiamare un idraulico o un elettricista o un tecnico dell’ascensore o un restauratore di vasi in ceramica a darci gratis magari dieci minuti del loro tempo prezioso. Sono professionisti che vivono del loro lavoro, e che appena lo hanno concluso stendono la palma della mano a riscuotere la loro mercede più Iva. E ci mancherebbe altro che le cose non andassero così.
Ora succede che il mio lavoro, il saper chiacchierare per iscritto o per orale del più e del meno, non dico sia del rango di quello di un medico o di un architetto, e nemmeno di un idraulico o di un elettricista. Lo so bene che è un lavoro detto “intellettuale” e dunque un lavoro che non serve a nulla e a nessuno, ma pur lavoro è e tanto più che io non sono nato ricco e con quel lavoro ci debbo pagare due pasti al giorno nonché le bollette e gli abbonamenti a canali televisivi e streaming e gli acquisti di tantissimi libri.
E invece quattro o cinque volte alla settimana, talvolta anche un paio di volte al giorno, mi arrivano telefonate cortesi di chi mi chiede di conversare o di scrivere di questo o di quello, di andare su o giù per l’Italia, di metterci la mia faccia e la mia voce innanzi all’uno o all’altro pubblico. Parlano a nome di un circolo culturale, di un qualche festival locale, di un museo, di un assessorato, di un blog online, di un canale televisivo non dei più frequentati. Mi raccontano al telefono la storia della loro iniziativa, mi dicono chi ci sarà accanto a me, quanto tempo passeremo sull’eventuale schermo skype, che cosa esattamente si aspettano da me. Per poi concludere - se si tratta di una iniziativa che si terrà fuori Roma - che mi “pagheranno il viaggio” lasciando intendere che di altra trippa ce n’è zero. Che mi pagheranno il viaggio me lo dicono col tono di chi si mette nei miei panni, di chi porta rispetto al mio lavoro, in effetti non è mica una cosa da nulla pagarmi il viaggio e tanto più che sono scomparsi i vagoni di terza classe sui quali mi spostavo ai tempi in cui andavo a contattare un eventuale collaboratore di “Giovane critica”.
Li ascolto, e siccome sono una persona gentile mi limito a replicare che gratis io non vado neppure da chi sta di fronte a casa mia. So bene che le mie chiacchiere sul più e sul meno non hanno nessun valore di scambio, nessuna tribù intellettuale che le attenda come imprescindibili, nessun salotto che vorrebbe adornarsene. Lo so bene. Epperò quelle chiacchiere le ho covate e rifinite al meglio per qualcosa come sessant’anni. Per qualcosa come sessant’anni ho pagato libri e riviste di che alimentarle, per qualcosa come sessant’anni ho alimentato il dolore e la separazione e la solitudine che mi costavano lo starmene lontano dallo sciocchezzaio corrente, dall’imbecillità diffusa, un’imbecillità che oggi è diventata frastornante.
Beninteso, io non chiedo nulla a nessuno. Ma nessuno si arrischi a chiedere gratis il mio tempo e il mio talento, ammesso che io ne abbia uno. Nessuno. Ve lo sto annunciando per iscritto, che è il mio modo sacrale di comunicare.
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