WILLIAM FRIEDKIN RACCONTA IL SUO “ESORCISTA”: “OFFRII LA PARTE A JANE FONDA, MI RISPOSE ‘È UNA STRONZATA DI SERIE B”

Estratto dell'autobiografia di William Friedkin, edita da Bompiani
Pubblicato da "la Repubblica"

Un mese prima che il mio Il braccio violento della legge uscisse nelle sale, durante il tour promozionale ero finito a San Francisco. Mi ricordai di un pacchetto che avevo ricevuto prima di partire e che avevo messo in valigia. Dopo una doccia, decisi di aprirlo. Conteneva un romanzo appena uscito e che conoscevo solo per sentito dire: L'esorcista di William Peter Blatty.

Aveva una strana copertina, con la foto di quello che sembrava il volto di una ragazza ripreso da un'angolazione insolita, con la luce che veniva dall'alto, gli occhi nell'ombra e persi nel vuoto. Alzai di nuovo lo sguardo verso il panorama. Fu l'ultima volta: nelle tre ore che seguirono non staccai gli occhi dal libro. Telefonai per disdire la cena e mi infilai l'accappatoio. Mi misi comodo su una poltrona con poggiapiedi davanti alla finestra, e continuai a leggere.

Come la maggior parte di coloro che hanno letto il romanzo, alla fine rimasi commosso e terrorizzato. Alcune parti del libro sono divertenti, soddisfacendo così tutti e tre i criteri che ho sempre ritenuto necessari a un buon racconto: far ridere, far piangere, far paura. La mia stanza ora era immersa nel buio, a eccezione della lampada che si rifletteva sul vetro, al di là del quale le silhouette degli uccelli marini volavano sopra le case color pastello, stagliandosi nella luce dei lampioni.

Questo panorama sereno non poteva contrastare con maggior forza il mio senso di sgomento di fronte al soprannaturale. Credendo da sempre, come dice Amleto al suo amico, che "ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quanto ne sogni la tua filosofia", intrapresi un viaggio che avrebbe cambiato ciò in cui credevo e la mia stessa vita.

JANE FONDA DISSE: "CHE STRONZATA"

Lo studio contattò per prima Audrey Hepburn, che rispose positivamente, ma disse che avrebbe potuto fare il film solo a Roma, dato che viveva lì, sposata con un medico italiano. Pensai che fosse impossibile venire incontro alla sua richiesta. Chiedemmo ad Audrey Hepburn di ripensarci, ma disse di no.

Anne Bancroft disse che le sarebbe piaciuto fare Chris, ma era incinta: potevamo aspettare un anno? Jane Fonda ci spedì un telegramma dopo che le mandammo il copione: «Chi credete che voglia fare questa stronzata capitalista di serie B?» Non seppi mai che cosa ne pensasse veramente.

A un certo punto ricevetti una telefonata da parte di Ellen Burstyn. «Sa chi sono?» mi chiese. «Sì, certo» mentii. «Mi piacerebbe discutere con lei di Chris MacNeil» disse. Rimasi un attimo in silenzio, mentre pensavo a cosa rispondere. «Miss Burstyn, le devo dire che lo studio sta trattando con Audrey Hepburn, Anne Bancroft e Jane Fonda». «Le sto solo chiedendo di incontrarmi » disse: «Lei crede nel destino?». «Se credo nel destino? Non so... penso di sì». «Io sono destinata a recitare questo personaggio» disse.

Il più grosso problema rimaneva quello di trovare Regan. Nel 1972, per quattro mesi, una mezza di dozzina di direttori del casting andò in giro per l'America a registrare su videotape i provini di ragazzine dagli undici ai tredici anni. Alla fine ne raccolsero più di mille. Guardai tutti i nastri, anche se solo per un minuto o due, e incontrai almeno cinquanta ragazze. Eravamo disperati.

Un pomeriggio ero in ufficio, a New York, quando la mia segretaria mi chiamò sull'interfono. «C'è qui una certa Elinore Blair. Non ha un appuntamento, ma ha portato sua figlia, chiede se la vuole vedere...». Era sveglia ma non precoce. Carina ma non vistosa. Una normale dodicenne spensierata. Si chiamava Linda Blair. Abitava a Westport, nel Connecticut, ed era una scolara modello. La trovai adorabile e irresistibile. Le chiesi se sapeva di cosa parlava L'esorcista. «Be'» disse tutta seria, «è la storia di una ragazzina che viene posseduta dal demonio e fa un mucchio di cose brutte...».

Annuii. «Che tipo di cose brutte?». «Be'... spinge un uomo fuori dalla finestra di camera sua, picchia sua madre e si masturba con un crocefisso». Guardai sua madre. Sembrava rendersi conto che la sua non era una figlia come le altre. Linda non era minimamente turbata. «Lo sai che cosa significa?» le chiesi. «Che cosa?». «Masturbarsi». «È come farsi le seghe, no?» rispose senza esitare e soffocando un risolino.

Guardai di nuovo sua madre. Imperturbabile. «L'hai mai fatto?» chiesi a Linda. «Certo, perché tu no?» ribatté. Avevo trovato Regan.

QUEGLI STRANI INCIDENTI SUL SET

Una mattina, prima dell'alba, suonò il mio telefono. Ero ancora nell'appartamento in affitto a Park Avenue. Quel giorno si iniziava alle nove di mattina, ed ero mezzo addormentato. Era Salven. «Oggi puoi anche non venire», disse con voce triste. «Perché? Mi hanno licenziato?». «No. È bruciato il set». Mi tirai su dal letto, completamente sveglio. «Stai scherzando?». «Le fiamme si sono mangiate tutto. Non è rimasto più niente». «Che cosa è successo?». «Non lo sappiamo», disse Dave. «Ora ci sono i pompieri».

Quando arrivammo, il teatro di posa era pieno di fumo, e c'erano pompieri ovunque. Il set, i quadri preziosi, i mobili, i tappeti, erano tutti distrutti. Le cause dell'incendio non vennero mai chiarite. Per la prima volta da quando avevamo iniziato le riprese, ero spaventato e confuso.

Malley calcolò che, facendo gli straordinari, ci volevano almeno sei settimane per ricostruire il set e arredarlo. Si è scritto molto sulla cosiddetta "maledizione" legata a
L'esorcista. Se all'epoca ci avessi creduto, non avrei continuato. Dovevo tenere alto il mio morale e quello di tutti gli altri; ormai la paura cominciava a serpeggiare tra gli attori e i tecnici.

Mentre preparavamo la scena tra Karras e Dyer nel college gesuita a Fordham, si verificò un altro evento strano e inquietante. Una fredda mattina di novembre la moglie di Jason Miller portò il loro figlioletto Jordan a giocare a Rockaway Beach. A ottocento metri di distanza un ragazzo stava facendo acrobazie con la sua moto, quando accadde l'impensabile: la moto precipitò a velocità folle verso il piccolo Jordan e lo investì.

Il piccolo venne portato al pronto soccorso, e le riprese vennero sospese. Per una settimana Jordan rimase in condizioni gravissime, con una probabilità su due di non sopravvivere. Jason tornò nel collegio gesuita, e passò varie notti con gli altri preti a pregare per il figlio. E decise di voler girare ugualmente la scena in cui Karras e Dyer si ubriacano, e il primo piange la morte della madre in preda al senso di colpa. La disperazione di Jason è autentica, e si percepisce in tutta la scena. Grazie a Dio, alla fine Jordan fu dichiarato fuori pericolo.

Il vomito? Passata di piselli

Ero consapevole che la sorte del film dipendeva dalla credibilità delle scene soprannaturali. E anche se avevamo fatto mesi di prove per perfezionare gli effetti speciali, molto dipendeva da come si sarebbero integrati con la recitazione degli attori. Per far sì che il fiato degli attori fosse visibile, la camera da letto fu costruita in una stanza isolata sopra la quale c'erano quattro grosse unità refrigeranti.

Ogni sera, le accendevamo per spegnerle solo la mattina dopo, quando la temperatura era scesa a trenta gradi sotto zero. Dopo un'ora, le luci rialzavano la temperatura e il fiato non si condensava più; per cui dovevamo richiudere la stanza e ricreare il freddo. Nulla di tutto ciò era previsto nel budget, ma non c'era altro modo di farlo. Dagli anni Trenta ai Sessanta, a New York era stata in funzione una fabbrica del ghiaccio, la Glendale, dove si andavano a girare le scene che richiedevano aria fredda, neve, fiato che si condensava.

La troupe indossava tute da sciatori in nylon isolante. Gli attori dovevano proteggersi con biancheria di lana. Tutti si presero raffreddori o influenze, tranne Linda Blair, che era quella che portava meno protezioni contro il freddo. Pareti e soffitti erano rimovibili, così potemmo mettere macchine da presa e microfoni dappertutto. Dietro la parete del letto c'erano elevatori di metallo che i tecnici degli effetti speciali usavano per alzare e scuotere il letto.

Per la levitazione di Regan vennero usate corde di pianoforte, resistenti ma molto sottili, sospese al falso soffitto. Il fiotto di vomito fu realizzato con un lungo e sottile tubo di plastica che Vercoutere e Dick Smith nascosero nella camicia da notte di Linda, facendolo poi passare attraverso lo spesso trucco applicato sul collo e la mandibola, fino a una specie di imbracatura munita di un ugello, attorno alla bocca.

Da qui sarebbe uscito il "vomito", costituito in realtà da farina d'avena e passata di piselli, pompato da una bacinella alla base del tubo. Per il controcampo in cui viene colpita la faccia di padre Karras usammo una pompetta. La rotazione della testa di Regan fu realizzata con un manichino a grandezza naturale, costruito e manovrato da Dick Smith, che da sotto il busto girava un bastone cui era attaccata la testa. Un altro tubo usciva dalla bocca del manichino, e Marcel vi soffiava fumo di sigaretta per simulare il fiato che si condensava.

LA VOCE DI SATANA

All'inizio, non avevo idea di come realizzare la voce del demone. Blatty descrive la voce del demone come «impostata su un'incredibile tonalità di basso profondo», «curiosamente gutturale», «cavernosa, bestiale, assordante», «satura di minaccia e di potenza». Come ottenere tutto ciò dalla voce di una dodicenne? Conoscevo una sola soluzione: il doppiaggio. Ma come, e chi? Mercedes McCambridge era un'eccellente attrice teatrale e cinematografica.

Ci incontrammo a Los Angeles e le mostrai un primo montaggio del film. Per un po' rimase in silenzio, e poi mi chiese: «Che cosa sa di me?». Dal punto di vista biografico, assolutamente nulla. «Permetta che le parli di me», cominciò. «Sono cattolica. Sono stata negli Alcolisti Anonimi, e ho smesso di fumare dopo trent'anni. Ho due amici sacerdoti. Per fare quello che mi chiede, avrò bisogno che stiano al mio fianco, a consigliarmi. E per ottenere il suono che vuole, dovrò rimettermi a bere bourbon, a fumare e a fare altre cose che al mio corpo non faccio fare da parecchio tempo».

«Guardi, non vorrei...». «Non si preoccupi », tagliò corto. «Lei faccia il suo lavoro, ma dobbiamo fidarci uno dell'altra, e non so dirle quanto tempo serva. A lei non serve solo il timbro di voce: lei vuole che trovi i demoni che ho dentro di me. Dovrò liberare cose tenute nascoste per anni».

Per tre settimane lavorammo nello studio di registrazione . Un esperto dei sistemi di registrazione, mi aiutò a definire il timbro della voce della McCambridge con vari pannelli di legno disposti attorno a lei, che muoveva a seconda che fosse necessario più o meno riverbero. La McCambridge chiese anche che la legassimo mani e braccia alla sedia su cui stava. E voleva che stringessimo i nodi quando sembrava che Regan soffrisse o venisse punita.

Quando aveva le mani libere, sorseggiava Jack Daniel's, inghiottiva uova crude e fumava sigarette. Il risultato era una voce dal tono gutturale e minaccioso. A volte si limitava a respirare nel microfono a distanza ravvicinata, e si sentivano tre o quattro sibili che uscivano dalla gola. Doppiavamo le sequenze una battuta alla volta, persino una parola alla volta, arrivando a fare venti o trenta registrazioni dello stesso frammento.

La McCambridge poi faceva versi, risate e urla che avrei mixato o sovrainciso in un secondo momento. In certi casi sovrapposi e sfasai leggermente due o tre registrazioni della stessa battuta, in modo che il demone sembrasse parlare con più voci contemporaneamente. Dopo un'ora o due di lavoro, faceva pausa e andava su un divano in fondo allo studio, dove i due preti la confortavano e a volte leggevano le sacre scritture con lei. Spesso scoppiava a piangere. Lavoravamo dieci ore al giorno, e ci fermavamo solo quando Mercedes diceva di non avere più forze.

Chiesi a Gonzalo Gavira di che cosa avesse bisogno. Rispose che gli bastava un vecchio portafogli di pelle pieno di carte di credito. Avvicinò il portafogli al microfono e cominciò a piegarlo: era il suono delle ossa che scricchiolano nel collo del demone mentre gira la testa di trecentosessanta gradi.

La voce demoniaca di Mercedes McCambridge fu mixata con versi di animali e con una cassetta che mi mandò padre Bermingham e che conteneva la registrazione di un vero esorcismo in latino, praticato in Vaticano. Le urla e le grida della McCambridge vennero così potenziate dagli strilli terrificanti di un ragazzino posseduto.

ASSOLDAI UN VERO SICARIO

Con due tecnici della Warner Bros. feci il giro delle ventisei sale di tutto il paese in cui il film era stato noleggiato in esclusiva per sei mesi. Ogni volta regolammo il livello del suono e la luminosità del proiettore. Mi feci dare il nome e il numero di telefono dei ventisei proiezionisti: e, da perfezionista o semplicemente da rompipalle, li chiamai tutti i giorni, per tutti i sei mesi, chiedendogli come era stato regolato il livello dei suono e della lampada del proiettore.

L'esorcista uscì il 26 dicembre 1973. Un cinema porno di Long Beach si mise a proiettare una copia pirata in 16 millimetri. Anche lì la coda girava attorno all'isolato. Appena lo venni a sapere da un amico, lo comunicai a Frank Wells. «Avviso subito il nostro ufficio legale»,disse Frank. Passarono dieci giorni, e la copia pirata era ancora lì. Quello che mi faceva arrabbiare non erano i minori introiti: il film stava guadagnando una fortuna.

Era il fatto che il pubblico non lo vedesse in modo corretto. Dave Salven e io avevamo un amico nella malavita, e mi chiese se volevo che si occupasse lui della faccenda. Gli dissi di procedere. Quel sabato sera, Dave aspettò in macchina col motore acceso mentre il nostro amico entrava nel cinema e saliva in cabina di proiezione. Quando vide il proiezionista, gli disse di smontare il film, di metterlo nelle pizze e di darglielo. «Chi diavolo pensi di essere? » disse il proiezionista. Il nostro amico aprì la giacca mostrando una 45 automatica, al che il proiezionista si affrettò a eseguire i suoi ordini, malgrado le proteste del pubblico.

Wells accompagnò nel mio ufficio due poliziotti di Los Angeles, e un tizio pelato, grosso e nervoso che risultò essere il proiezionista. Gli sbirri si sedettero sul divano, io ero dietro la mia scrivania. Sotto il divano c'era la copia rubata. Gli dissi che non sapevo di nessun furto, ma aggiunsi: «Scusate, ma perché ve ne occupate, dal momento che il cinema proiettava una copia rubata?». «Minacciare qualcuno con una pistola è un reato peggiore », disse un agente. «Si chiama rapina a mano armata ed è punita con una pena di otto anni».

IL DISSIDIO CON L'AUTORE

Per quasi trent'anni, Blatty e io abbiamo continuato a essere in disaccordo sul mio final cut. Col tempo, comunque, la controversia si è sedata, e ci siamo fatti una ragione del fascino che il film continua a esercitare presso le nuove generazioni. Nostra intenzione dichiarata era solo raccontare una storia sul "mistero della fede": ma poi il film cominciò a finire nelle classifiche del miglior horror della storia del cinema o dei film "più spaventosi" mai girati. Non potevamo più ignorare la percezione del pubblico.

Quando Blatty mi stuzzicava dicendo che avevo eliminato il centro morale del film, gli replicavo che intanto lui continuava ad arricchirsi con la mia «versione amorale» del suo capolavoro.

Copyright © 2013 by © 2013 Bompiani / RCS Libri S.p.A. Published by arrangement with Agenzia Santachiara (Traduzione di Alberto Pezzotta)

 

 

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